mercoledì 30 giugno 2010

MALINDI: STESSA SPIAGGIA, STESSO MARE


Stessa spiaggia, stesso mare”, cantava Piero Focaccia quando Malindi era soltanto un “buen retiro” di mercenari inglesi sotto spirito. Oggi la costa keniota, grazie anche agli italiani, ha la sua stagione turistica proprio come quella adriatica o quella ligure. Noi si apre i battenti a metà luglio, poi ci si rilassa ad ottobre e novembre (perché va bene il turismo, l’estate, il lavoro…ma ricordiamoci che siamo in Africa, se la nostra missione era faticare ce ne andavamo in Brianza…) e si riparte con “E la chiamano Estate” di Bruno Martino.
Come ogni stagione, qui a Malindi le piogge hanno mondato pettegolezzi, avventure e disavventure della comunità italiana più numerosa dell’Est Africa. Si riparte tutti da zero (o quasi) e come in un ipotetico campionato, comincia anche il calciomercato. Direttori di alberghi cambiano casacca come gli allenatori, ne arrivano di nuovi dall’estero e quelli storici si riciclano. Qui i residenti di lungo corso f“anno tutti come Trapattoni: in pensione non ci vuole andare nessuno. Tra fare poco e fare un cazzo, la differenza è minima…Ma il calciomercato di Malindi è più creativo di quello vero e proprio. Sì, perché qui capita che un terzino, cambiando squadra, diventi un centravanti e un portiere venga assunto come centrocampista.
“Jambo Ottavio, dove sei a lavorare quest’anno, sempre al Sun & Sea?”
“Macché, Anita! Faccio il costruttore edile”
“Ma l’anno scorso non eri Food & Beverage Manager?”
“E cosa cambia? In ogni caso continuo a darla a bere!”
Come vedete, può capitare addirittura che il massaggiatore sociale diventi presidente della propria squadra. Perché no, il sogno malindino è anche questo.
Tra giugno e luglio arrivano anche gli emigranti. Italiani che hanno deciso di provarci, di cambiare vita. Hanno scelto Malindi e ci arrivano in bassa stagione. Si guardano intorno circospetti, annusano l’aria umida e spesso hanno l’aspetto di uno che prima o poi se ne torna a San Benedetto del Tronto o a Gorizia.
Poi la sera fanno certi incontri…e decidono di prendere tempo.
Qualcosa troveranno anche loro. Perché a Malindi, a differenza dell’Italia, ci sono i saldi d’inizio stagione…
I presidenti, ovvero i proprietari o gestori di Hotel, ristoranti, attività redditizie, conoscono bene i tempi dek Kenya turistico, e conoscono i loro polli stagionali. Così ogni anno puntano al ribasso.
Se un animatore di villaggio turistico dieci anni fa guadagnava come un operaio di Pomigliano, oggi guadagna poco meno di un guidatore di tuk-tuk. Quasi quasi qualcuno ti fa intendere che per avere vitto e alloggio nel suo esclusivo resort, lavorare lì dentro è un favore che ti sta facendo.
Non c’è hotel o villaggio che non abbia un paio di giovani leve, spesso figli di papà, che fingano di essere in vacanza per un anno, e invece stanno svolgendo mansioni fondamentali! Hanno imparato a mimetizzarsi così bene con i turisti che non riusciresti a beccarli mai. Abbronzature invidiabili, notti brave stile Ibiza, orari di sveglia al mattino non proprio da safaristi e metà dell’esiguo stipendio che se ne parte in caffè. Sono loro gli “stranieri” che inflazionano il campionato malindino, coi loro ingaggi ridicoli. Poi un professionista è costretto a riciclarsi come venditore di pannelli solari porta a porta o come produttore di “basucola”, innovativo innesto africano tra basilico e rucola, presente soltanto a Malindi. Sì, perché qui ogni stagione ci si inventa nuovi mestieri, e alla fine tutti campano felici e contenti! Un anno li vedi in duecento a fare decoupage e volerti spacciare mobilia bianchiccia tutta uguale, l’altro anno è di moda il kitesurf, e tutti a piazzarsi in spiaggia con i loro catafalchi, la stagione successiva nascono dodici locali “lounge” che poi non si sa che cazzo siano, ma fanno tutti pessimi cocktail che non capisci quanto costino perché la musica è troppo alta e ipnotica per capire il prezzo detto a voce dal barista (che di listini prezzi non c’è neanche l’ombra).
Evviva Malindi la creativa! Malindi delle stagioni sempre diverse, sempre uguali. In questo angolo di mondo dove, tra mille piccole peripezie, tra micro corruzione e cialtronismo, con ritmi che la moviola è andante con brio al confronto, alla fine facciamo un po’ quello che ci pare con quella libertà che l’Italia sembra aver dimenticato.
Perché Piero Focaccia, che già sapeva come sarebbe andata a finire, cantava anche “lontano, lontano…nessuno ci vedrà”.

martedì 29 giugno 2010

"THE ABBORDABLES": MEGLIO RON JEREMY DI K.P.BOATENG


Guarda te che coincidenza.
Boateng lo seguivo anch’io da un po’ di tempo.
Almeno da quando ha preferito la Tennent’s Super alla Franziskaner Weiss.
Non che mi faccia impazzire, ma sicuramente è meglio di Van Den Borre, anche come possibile protagonista di film hard-core.
Ne parlo al Twelve Gates di Durban, con il giornalista sportivo tanzaniano Bumba Lalango, mentre seguo distrattamente le evoluzioni di Robinho e spalpebreggio sulle chiappone della cameriera bionda Nadia, che sarebbe perfetta coprotagonista per un pornazzo, ma al fianco (o meglio: dietro, sopra, sotto) del grande Ron Jeremy.
Altro che Kevin Prince Boateng. Quello al massimo può competere grazie al nome e ai tatuaggi.
Bumba, a dispetto del suo nome, è una scheggia d’ebano di un metro e sessantacinque e lo puoi sistemare tranquillamente nello spazio tra il frigorifero e il muro, utilizzandolo come apribottiglie con i suoi dentoni alla Luis Suarez.
Mi dice che sotto i pantaloni, a Ron Jeremy lo farebbe impallidire.
Lui ha coniato il nome per la mia squadra ideale dei mondiali. “The Affordables”, gli acquistabili dal Genoa. Io l’ho maccheronizzata in “The Abbordables”, immaginando allo stesso tempo un vascello somalo con un Gaspirata sulla tolda, Juric rampante sull’albero di trinchetto, il Comandante Prez a prua. Lupi di mare a caccia di scialuppe che navighino in cattive acque con cui fare affari, dopo aver doppiato Capo di Buona Speranza e dopato Capo Zucca.
Fare acquisti ai mondiali è come cercare i saldi a Natale in via Montenapoleone a Milano.
Non dovrebbe essere aria per chi è abituato alle rate Agos dei centri commerciali.
Nadia mi porge foglio e penna e mette in evidenza l’avantreno. Questa la faccio volare come Webber, tanto atterra sui respingenti.Pub del cazzo. Come rum hanno solo il Pampero Aniversario e come vodka l’Absolut.
Vedo su una mensola in alto l’etichetta del Remy Martin e dico a Bumba “vaffanculo” in swahili.
Capisce al balzo e tratta sul prezzo dell’intera boccia impolverata.
Scrivo la formazione degli “Abbordables”.
In porta, ovviamente, Romero. Non per l’espressione da cugino bello di Rubinho o fratello idiota di Demichelis, ma perché tra i buoni numeri 1 è quello che più degli altri è stato avvicinato al Genoa. Infatti l’ho dovuto comperare dall’altra mia formazione, i “The Buffalos”. Verrà brillantemente sostituito da Diego Alves (che sarebbe piaciuto al Gaspagnolo) con Eduardo a fare i saldi di Natale in casa Cupiello.
Nella difesa a 3 da Gaspavento ci metto il cileno Ponce, capelli al vento e buon killer anche se preferisco Lola, che ha voce e culo ragguardevole. Ovviamente al centro Diego Lugano, che ormai probabilmente è un fuori quota, e il Papa che forse in parte è già nostro, pur avendo poche Gasperanze. A centrocampo io dico che, nonostante abbia trent’anni, Diego Perez sarei andato a prelevarlo a Monaco insieme a due amiche lituane di Celle Ligure e gli avrei fatto trovare Jorge Drexler, il più grande cantante uruguaiano, sul divano della suite dell’hotel di famiglia a Cornigliano, a cantargli “Todo se transforma” (così è anche pronto al possibile cambio di ruolo architettato dal Gasprofeta).
Perché da quel che ho visto io qui è un giocatore di corsa, sostanza e piede.
E direi che a trent’anni si è ancora nel fiore, se è vero che Ivan Drago Juric l’abbiamo scrotonizzato a 32. Ora, sembra che Perez abbia firmato già per il Bologna. Vuol dire che viene via al massimo a 2,5 milioni. Era super-abbordable! Poi magari al Monaco hanno il gusto retrò e piace Zapater…ma mi sa che l’iberico è mobilia solo per quell’antiquario nostalgico di Corioni, che sogna anche Recoba, Appiah, Martiradonna e Trifunovic.
Bumba ha in mano anche un Courvoisier e il numero di telefono di Nadia. Quasi quasi lo assumo come segretario. In Tanzania guadagna duecentocinquanta euro al mese ed è un signore. Due terzi se li beve e col resto non paga affitto e ristoranti.
Sarà, ma io Boateng lo vedo sulla fascia, perché a fianco di Perez sogno un regista con le Gaspelotas, uno che detta i tempi, uno talmente preciso che per pulirsi il culo usa il goniometro.
Altro che Annan, con buona pace delle Nazioni Unite. Ma forse questo ruolo non esiste più.
Infatti mi chiedevo come mai il Cile non avesse convocato Pizarro. Uno che anche il Gaspatriota approverebbe, perché ormai si è fatto le ossa e anche la pancetta nella nostra bella Penisola.
“Si gira troppe volte su se stesso” è stato il commento di un reporter di Santiago frequentatore di un hammam turco a Jo’Burg. In base a questi criteri, Milanetto dovrebbe giocare da almeno dieci anni nel Borgomanero e Montolivo tornare nell’azienda paterna di extravergine d’altura.
A sinistra, ovviamente, il messicano Salcido che oltretutto ha una cannella fungiforme che Scarpi in allenamento potrebbe gustarsi comodamente a bordo campo, per evitare figuracce.
Davanti, il mio idolo Beausejour, che Dos Santos lo mette a nannuccia rimboccandogli le coperte e che torna in difesa prima ancora che glielo chieda il Gaspretenzioso, ed Eljero Elia, che mi piace più di Barrera (non torna nessuno dei due, se non per dire al Gaspirla, “cazzo avevi da urlare”?).
Al centro non so se ci sono “abbordable”, ma mi accontenterei dello svizzero Derdiyok, se raddrizzasse il piede. Col piede attuale potrebbe piacere molto al Gasprendilo.
La nave pirata va. Ha solcato l’Oceano Indiano ed è diretta in Kenya.
Punta forse al prestito di Mariga?
Dopo aver trovato una zulu per Bumba, abbastanza esile da non distruggerlo, attendo che Nadia finisca il turno al Twelve Gates. Lei sì che è decisamente abbordable. Sarebbe da proporla per un nuovo genere, il Gasporno. Tipo orgia tattica, gente che torna, torna e non viene mai, squadra lunga come la vuvuzela di Bumba, attacchi sterili con Gaspreservativo, posizioni rispettate, dal missionario all’usum pecora, e altre amenità che, dopo sussulti ed erezioni iniziali, poco a poco tendono ad ammosciare.
Fino a quando arriva Ron Jeremy, il fuoriclasse, e risolve lui.
E stavolta senza fallo da dietro.
Passi per Toni, ok per Sorrentino (meglio il regista, con Tony Pagoda direttore sportivo), ma Boateng…non so.
Per avere un Grifone penetrante ci vuole uno come Ron! Il Brasile di stasera ne aveva almeno sette. Mezze punte a centrocampo, ali usate come interni, attaccanti da tridente del Gaspregiudicato utilizzati da terzini, centrali goleador che ti impostano anche l’azione…
“Jeremy? Non lo conosco…” mente quella porcellina di Nadia, versandosi del Courvoisier raccattato dove lei sapeva.
“E Giuliano dell’Internacional?”
“Uhm…Nemmeno”
Il mio veliero entra in porto, quello dei Gaspreziosi è ancora in alto mare.
Altro che Boateng.
Ron, per favore, aggiusta il baffetto, prendi il tuo fuoribordo, carica sopra una decina di mignottone gaudenti e pensaci tu.

sabato 26 giugno 2010

PER RODRIGUEZ NIENTE VUVUZELA, SOLO BASTONI


Sono rimasto in Sudafrica perché voglio prendere a bastonate l'arbitro Rodriguez, quel frocio messicano leccato come un ballerino di tango con i pantaloncini all'ombelico e un invisibile manico di scopa nel culo. Devo ripeterlo e ripeterlo ancora, non ho niente contro i gay, ma mi fanno venire la rabbia i non confessi. Quelli che magari si sposano pure e rovinano famiglie e figli (quando lo scoprono). Moralisti del cazzo che coltivano disonestà intellettuali come gerani sul davanzale, credendo di rendere la loro vita più semplice e redditizia. Per carità, forse è anche vero in questa società...così io non sopporto Del Piero e molti altri che, per soldi o per carriera, si nascondono dietro a maschere più tollerate, dimostrando di vivere la loro condizione con una tristezza che dovrebbe indignare chi invece ne fa da sempre bandiera di libertà e ama distinguersi.
Ma io non voglio bastonare Rodriguez perchè è un gay inconfesso, ma perchè è un arbitro scadente, nevrotico e chiaramente influenzabile. Ha rovinato lo spettacolo di una partita bellissima (e difficile per gli iberici) come Cile-Spagna, intimidendo i sudamericani con una serie di cartellini gialli, estraendo poi come perla finale il rosso subito dopo il 2-0 spagnolo. Non lo posso accettare. Non perché avessi scommesso centomila rand sul Cile in semifinale (pagato a 71), o almeno, non solo.
Comunque me ne resto qui, mi prendo un giorno di vacanza dal calcio, dal mondo rossoblu e dai froci. Domenica c'è Inghilterra-Germania...chi se la perde?

venerdì 25 giugno 2010

I MONDIALI DI BECCIONI 4: I NOSTRI PEGGIORI SOGNI


Ognuno ha gli incubi che non si merita e mi mulina il belino che qualcuno per questo motivo si arroghi il diritto di sceglierci i sogni. Anche perché spesso i sogni che decide per noi, sono i suoi stessi incubi. Dopo un tale proemio morale, questo psicofarmaco di saggezza, potrei anche recarmi all’agenzia SAA di Jo’burg e prenotare il rientro in Italia per domani, perché già prima che si autocatapultasse fuori dai mondiali, ho capito che della Nazionale, delle miserie sudafricane, dopo aver visto gli splendori del Kruger e il lungoceano di Cape Town, dopo aver piluccato la vita notturna di Port Elizabeth e inalato la violenza di Soweto, me ne importa come del destino calcistico di Acquafresca.

Vuvuzela in culo a Lippi, non c’è dubbio, e alla presunzione in generale. Io tifo Diego, perché lui è il calcio ed anche l’uomo con i suoi fallimenti e le sue vette innevate, e Uruguay perché mia nonna era di Montevideo e Pato mi procurava certe sventole da paura.
Io, l’ho già detto, vivo e soffro per il Genoa.
Ci ho lardellato il pancreas prima di cuocerlo a fuoco lento, col Grifone. Ho ridotto il mio fegato a un pasticcio di amarene Fabbri e la mia circolazione ricorda Los Angeles alle sei di sera.
La notte prima di Slovacchia-Italia ho sognato la risoluzione delle comproprietà. L’angoscia di immaginare due o tre Genoa 2010/2011 diversi a seconda delle variabili alla Mike Bongiorno di “Busta numero 1, numero 2 o numero 3” si è scontrata, come in un duello intestinale tra aragosta alla catalana e riso pilaf con spezzatino di struzzo, con il presunto orgasmo di abili pokeristi che si divertono a giocare le loro cartacce tra un buio, un cip e parecchi bluff. Dietro al tavolo si alternano complici, soci più o meno occulti, procuravvoltoi e teste di legno. Cosa volete che siano, per certa gente, due milioni di euro in più o in meno? Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal cabotaggio, dal cinismo e dall’ipocrisia. E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai...
Mi sono svegliato sudato e per una volta non c’entrava né il rum (tra l’altro a Jo’Burg ho scovato tre bottiglie di Demerara), né la fotomodella mulatta che fa la pubblicità di un bagnoschiuma sul canale sportivo. Quando mi hanno assicurato che con cinquecento euro avrei potuto spupazzarla, mi ci sono lanciato come Tioté sulla caviglia di Elano.
La mezza sosia di Tyra Banks non è bastata ad assicurarmi un sonno scevro da ipotesi e presagi. Già prima, mi sentivo come un aruspice che legge il futuro nell’incerto volo dell’uccello.
Il mio compagno di battaglia, cercava di stremare da dietro la mulatta come fa Marotta con Capozucca, mentre la longa manus di Branca le ghermiva il bacino, lavorandola ai fianchi.
Niente da fare, avevo come l’impressione che ci volesse l’aiuto di un mandingo o di un coniglio meccanico, per sottometterla definitivamente e portare a casa il risultato.
Sarà stata anche quella telefonata del mio produttore Chazz Massaccesi, interista sfegatato, da Milano.
“Come ti va? Ce l’hai il satellite in Sudafrica?”
“Eccome se c’è…certo…” ho risposto d’istinto, cadendo nella trappola come una mezzala serba in fuorigioco.
“Anche noi qui a Milano ce l’abbiamo il satellite…siete voi! Ahahahaha!”
“Noi non siamo il satellite di nessuno…se facciamo certe operazioni è perché ci conviene, capito?”
Mentre lo dicevo, alcune mie certezze scricchiolavano come il letto su cui Tyra avrebbe sfogliato volentieri Maxim e Vanity Fair, mentre me la sbattevo concentrandomi sulle percussioni di Criscito. Il tabellone del suo coinvolgimento, però, indicava impietoso un altro esterno sinistro da sbolognare. Modesto.
Non è servito nemmeno un tiro di “Caricola Extra Light”, una polveraccia rimediata a Houghton, tagliata più o meno come Aleksic.
Avanti così, mestamente, fino quasi all’alba, con lei a sonnecchiare sperando nella risoluzione immediata di quella compartecipazione e io a cercare di godermi il più possibile quel prestito oneroso.
Così sono sprofondato negli incubi. Con le palpebre pesanti e inutili come affermazioni di Moggi e il mio vecchio pirata con un occhio solo, in ritirata a mo’ di Juric, sono riuscito a scorgere la mulatta che si rivestiva e intascava la sua Trecento. Non mi aveva detto neanche il suo nome, ma avrebbe potuto benissimo chiamarsi Amelia, dalla sofferta soddisfazione con cui si era liberata di quella prigionia.
Eccomi tra le braccia di un Morfeo negro fantasista degli Orlando Pirates, un beffardo dio del sonno poco ristoratore dalle disarmoniche fattezze di Tshabalala. Nello sprofondo onirico mi è apparso dapprima Palladino, che mostrava le sue foto ritoccate con alternativamente la maglia di Juve, Napoli, Fiorentina, Palermo, Udinese e Atletico Madrid. “Con quale mi abbino meglio?” chiedeva. Genio di Adobe, il Palla. In ogni scatto aveva una pettinatura diversa ma la stessa espressione da antilope in posa perché convinta che il fucile del bracconiere sia un 35x100mm. della Canon.
Poi arrivava Ranocchia, saltando su un piede solo e canticchiando “Non sarà come Ventura, giocherò sei mesi nella Primaveraaaa”. L’uomo brizzolato al bancone del bar, con un succo d’ananas in mano, domandava “ma è la gamba sana che avete venduto o quell’altra?” Bonucci invece attraversa la stanza come un fantasma sorridente. Non proverà mai l’ebbrezza della difesa a tre. Tre carte, come alla teresina. Tre in difesa. Sul tavolo dei giocatori uscivano ogni giro soluzioni diverse, ma la carta del Papa non c’era mai.
A un certo punto un orribile cameriere-facocero, con la faccia di Brenzini, il collo di Biabiany, la gobba di De Ceglie e il culo di Lotito, serviva Chateau Lafite per tutti. Nessuno aveva vinto, tutti festeggiavano. Giochi d’azzardo moderni del cazzo, quando non sai a chi dovresti sparare e a chi offrire una bevuta.
Ho ripreso i Sensi (sarà stato merito di Lotito?) intorno a mezzogiorno.
Mi sono alzato, mi son vestito e sono uscito solo solo per la strada, Ho camminato a lungo senza meta finché ho sentito cantare in un bar. Era un cazzo di gruppo tipo Ladysmith Black Mambazo, quelli che facevano il gospel zulu, tutto fiato e giochi polmonari, nel mitico disco “Graceland” di Paul Simon. Li ascolti trenta secondi e ti sembrano angeli di un paradiso nero e giusto, dopo un minuto li hai apprezzati e attendi sereno la conclusione, dopo cinque minuti fai il tifo per l’enfisema e alla terza canzone rimpiangi l’apartheid.
Nessuno mi rapina, a Jo’burg. Come sapessero che mi attendono le buste.
E’ ora di recarsi a Soccer City. Qui, dove i satelliti regalano gioie sportive a tutto il mondo, stanno convergendo migliaia di italiani. La maggior parte parla la nostra lingua peggio di una badante kirghisa, ma sono verniciati a fresco come Treviso dopo una notte di graffitari.
Il centurione romano, il contadino etneo, la bionda col castello in testa che sembra l’Atalanta delle figurine, la coppia di froci con un solo poncho tricolore e le mani che si frugano, mamma e figlia scortate da due abbronzatoni primordiali. Un assaggio di popolo preso dallo sconforto. Doppio Vittek, azzurri inguardabili. Un incubo, tranne per me che ne ho vissuti di peggiori e detesto talmente questa realtà, da farmela scivolare addosso come il bagnoschiuma di Tyra, come un rinnovo di comproprietà col destino, fino a quando non sarà lei a stancarsi di me, e confonderà se stessa con gli incubi che ci vuole propinare, autoeliminandosi. E lasciandoci finalmente alla purezza e alla maestosità del sogno. Ecco la battaglia che ho deciso di combattere, a suon di alcool, di scopate, di stupidaggini e provocazioni. E allora perdonatemi se non torno in Italia, rimango qui a tifare Uruguay e Ghana. Poi ho da fare un giretto in qualche altra dittatura, in finte democrazie più dignitose della nostra. Chissà che non vi mandi una cartolina, da quei luoghi. E ricordatevi: i nostri peggiori sogni saranno sempre meglio dei vostri migliori incubi!

lunedì 21 giugno 2010

I MONDIALI DI BECCIONI 3: GASPERLIPPI, IL KRUGER E VUVUZELAS PER TUTTI!


Se è vero che il rum è rivelatore, il Matusalem promette bene fino ai 23 anni, col Gran Reserva, ed oltre non si azzarda ad andare. Etichetta Solera. Anche Matuzalem è una gran riserva oppure, come dicono a Roma, più che “solera”, è una “sola”. Come una bottiglia rotta. Il collo te lo fumi e il resto evapora. Bisogna essere malati, non soltanto alcolizzati, per spulciare le minchiate di fantamercato qui in Sudafrica.
Le prime vuvuzele in culo sono per i giornalisti, le voci, gli spifferi, le chiacchiere al rialzo dei procuratori e le chiappe al ribasso dei presidenti.
Basta! Tanto so già come va e ci sto scrivendo una canzone: “La ballata del mercato delle balle”.
Scommettiamo che il Genoa compra due o tre bestie da bassa classifica, che già Guarente sarebbe stato buono, la squadra sembra fatta, parte per l’Austria e…BUM! Il Capo regala un colpo a centrocampo sul genere di Toni in avanti. E tutti più felici, come canta Irene Grandi, una che mi svuvuzelerei, nonostante stia invecchiando di collo e di mani. E il collo qui non te lo fumi neanche. Ci sentiamo tutti Giovani, e qualcuno anche Dos Santos.
Stop alle chiacchiere di mercato! Inutile sprecare parole su parole. Che la bocca serva per mangiare e bere, per il piacere! Che i burattinai mangino pure con le mani, con i commercialisti, gli avvocati, i procuratori e i loro simili.
Io intanto, me la godo e al loro gioco non ci sto. Intercettatemi ‘sto gran cazzo, soprattutto!
In questo momento, ad esempio, sto godendo di sponda della dittatura coreana.
Devo dire grazie a quel figlio di troia a mandorla di Kim Yong II, se la cinese che sale e scende dalla mia vuvuzela, piroettando come consumata artista circense, mi ha rimesso a posto la schiena con epilogo orale. Pensa cosa si sono inventati i suoi generali: hanno pagato un centinaio di comparse di Guangzhou, tra cui la massaggiatrice bonsai, per recitare allo stadio vestite da tifosi coreani. Col cazzo che mandavano dei connazionali veri, avrebbero chiesto asilo politico. Meglio farsi violentare dai mandinghi a Soweto e vivere nelle bidonville che in una dittatura militare come quella. E i quattro giocatori che non erano in panchina contro il Brasile? La cinesina ha una sua teoria. “Non sono neanche partiti per Johannesburg. Non avevano i requisiti morali”. Mica come te, tesoro. Mi hai rigenerato come ha fatto Alessandro Pilati con Thiago Motta, mi sento guarito perché sono genoano. Altrimenti ero Guarente.
La cinese massaggia e io scruto la Grecia.
Ho sputato bile corretta amarula quando quell’imbecille di un karateka nigeriano si è fatto cacciare fuori, interpretando magistralmente davanti a milioni di persone la grande favola africana che racconta di incredibili potenzialità, di enormi aspettative e di coglionate estemporanee che in pochi secondi rovinano il faticoso percorso di secoli.
A me dell’Africa che si fa male da sola me ne frega come dei cazzi del procuratore di Criscito, invece per il Papa ci ho un debole e vederlo uscire al trentasettesimo per far posto a un attaccante, dopo che aveva già fatto assaggiare a tre negri diversi la bontà del suo bastone e meritato un’ammonizione, mi ha dato ai nervi. E me lo vogliono scambiare con una Gran Riserva Sola?
Ho spento la tv e sono ripiombato nella lombosacralità dello stalinismo di Pyongyang.
Spedisco vuvuzele in culo come cartoline e affranco con bestemmie di varia natura, spulciando tra siti internet e televisione. Papa alla Lazio, Lotito al Genoa, Mudingay, Financial Times, la recensione del concerto di Celso Duarte al Festival delle Arti di Grahamstown.
Finalmente qualcosa di eterno, d’imponente, di Vero. Nelspruit, che non è una merda energetica al cacao e ananas della Nestlè, ospita la prossima partita degli azzurri. E’giovedì e sono già qui, al Protea Hotel, un cazzo di quattro stelle vittoriano con le foto del principe Carlo che gioca a golf e si eccita guardando una proboscide. La cittadina è una commistione di brutti palazzoni e simpatiche chiesette gotiche, di stradine belghe e cascine stile Michigan. Ma piena di coloured come New Orleans. Soprattutto, Nelspruit è a un tiro di Caricola dal Kruger National Park, la savana più savana che c’è, il Taj Mahal dei safaristi, la riserva naturale più affascinante del mondo. Se pensate che qui convivono da millenni sei diversi ecosistemi e che noi in Italia abbiamo un solo sistema, che non è neanche troppo eco e fa cagare…
Ecco. Ripenso all’Italia e mi si rafforza la vuvuzela in culo come se avessi ingerito un viagra per la coscienza. E’ lunga e duratura. Partono le cartoline, controfirmate da Neil Van Schalkwyk.
Vuvuzela in culo alle partite del venerdì e del sabato, vuvuzela in culo a Kim Yong II, vuvuzela in culo al commento tecnico di chi se ne torna in altra dittatura (la sua), a chi firma sotto dettatura, Vuvuzela in culo ai negri che si fanno del male da soli perché hanno nostalgia di quando erano gli altri a inchiappettarseli, vuvuzela in culo agli intrecci di portieri, agli incroci menzogneri e a quei froci dei boeri, vuvuzela in culo preventiva a Rubinho e a chi se lo prende, vuvuzela in culo a Rehagel, a tuttomercatoweb, alle radioesternazioni, alle previsioni. Vuvuzelas in culo allo stato d’assedio taciuto di Johannesburg, all’Amarula, al Dark Sailor Rum, a Domenech, a Magellano, Vasco Da Gama e al Dottor Livingstone, vuvuzela in culo ai surfisti, ai turisti e agli opinionisti, a Platini e Pelè che invecchiano tristi, allo Waka Waka e a chi lo balla, ma non a Shakira, per dio! Per lei in vuvuzela mi ci trasformo io!
Quindi nel tardo pomeriggio scarico la comparsa cinese, vado a letto presto e mi addormento di botto sparandomi l’album “Lenti a contatto” di Sandro Giacobbe. Oh, come mi rilassa la musica genoana…specie se di merda.
Alle 4.30 sveglia e partenza. Siamo in 4 sul Land Cruiser guidato da Wesley Snipes.
C’è un giornalista di Libero vestito come Feltri quando va a funghi, la moglie di un dirigente della Fifa che se non me la faccio io ci pensa Wesley (o più probabilmente viceversa) e due tifosi australiani che sputano merda sull’allenatore zonista olandese e lo detestano a tal punto da aver rinunciato ad andare a vedere la partita contro il Ghana.
Il Kruger è una coltellata per vendetta in petto alla civiltà, o forse un infinito e radioso sguardo di compassione nei confronti del genere umano. Io al genere umano ho sempre preferito il poliziesco.
Poche parole possono raccontare questo paradiso. Vi dico solo una cosetta: per due giorni (uno e mezzo, per dire la verità) ho bevuto solo birra e ho lasciato la zoccola fifona a Wesley.
Il resto è Big Five: Bufali, Leoni, Rinoceronti, Leopardi ed Elefanti. Vederli muoversi a loro piacimento tra savana e foresta è ben altro che ammirare le evoluzioni di Iaquinta e Montolivo, a sessanta chilometri di distanza. Piuttosto, getterei nella mischia Gattuso e gli direi “e adesso ringhia a questi qui, se hai i coglioni”.
I due australiani, durante il viaggio di ritorno, con gli occhi ancora pieni di cielo a tutto tondo e la gola traboccante di natura selvaggia, vengono a sapere che l’Australia ha pareggiato con il Ghana dopo un’epica battaglia. “Bene – dicono – ora battiamo la Serbia e ci qualifichiamo. Così possiamo visitare anche la Namibia”.
Ma che, vi hanno pagato per venire in Africa proprio durante i mondiali?
“No, abbiamo vinto un concorso alla radio. La domanda era: qual è la canzone preferita di Mark Bresciano? Abbiamo telefonato…è andata bene!”
Vorrei non chiederlo, ma la curiosità è la mutanda di pizzo di una femmina accondiscendente.
Ti stimola ma prima o poi devi toglierla di mezzo.
“Qual’era la canzone?”
“Perdere l’amore di Massimo Ranieri”
“Azz…complimenti! Ma come avete fatto?”
“Mia cugina è di Palermo…è andata a chiederglielo…”
Tutto il mondo è Paese. E questa è la Nazione in cui è in corso una convention di teste di cazzo a un tiro di schioppo dal regno incontaminato di quelli che dovrebbero essere i veri padroni della terra. Lascerei volentieri ai Big Five il comando delle operazioni, in cambio di una fornitura vita natural durante di plantation rum direttamente da Trinidad e di comparse cinesi dalla Corea del Nord.
Sabato sera sono a Nelspruit. Mi dicono che l’Italia giocherà con il 442 e che Criscito è confermato, come il resto dei giocatori che hanno paraguaiato.
Decido di telefonare a zia Esterina, per raccontarle del polverone sollevato da duecento bufali e della statuarietà della giraffa.
Risponde il figlio Pierflavio. Quello che chiamare cugino sarebbe più che corretto.
“Ciao preziosiano! Come te la passi in Sudafrica? Hai sentito che ti vendono il Papa?”
Quanto mi sta sul cazzo questo. Una vuvuzela anche per lui.
“Sì, però comprano Dos Santos e Marquez. Voce per voce…”
“E Sculli poi, come si fa? Ah, già…va in panca Palacio”
Questo lo fa apposta…lui mica vuole il bene del Genoa. Con tipi come lui divento il Perry Mason di Villa Rostan.
“Preziosi a me piace perché ha i soldi. Compra, vende, parla a vanvera. E chi se ne frega, intanto siamo in serie A e se non siamo in champions non è certo colpa sua”.
“I soldi…i soldi…ma che c’entrano con la fede rossoblu?”
“Ah…non lo so…ma con la mia goduria, le troie il rum i viaggi la vodka le trasferte, i ristoranti, la coca quando ne ho voglia…con quello c’entrano eccome. Se ti va di far chiudere le fabbriche a vita come a Pomigliano…fai pure. Stai con chi non ha speranze…”
“Ma non eri tu che lodavi Scantamburlo?”
“Passami la zia, per favore”

Pierflavio mi mette sempre di malumore. E’ come se mi volesse tirare addosso tutti i mali della società. Ma il Genoa non è come Pomigliano, non lo si può far chiudere per non veder peggiorare lo stato dei tifosi.
Sono stanco e ho il passo pesante dei rinoceronti, con la vuvuzela al posto del corno.
Dormo da solo e sogno Sandro Giacobbe che confessa di essersi addormentato con un mio album.
Il pomeriggio sono alla Mbombela, imbacuccato come un siracusano nel bellunese, a fine ottobre.
E vi dovrei anche parlare della partita? Dell’epico 1-1 con i neozelandesi? Degli azzurri senza fantasia? Lippi mi ricorda sempre di più un altro allenatore. Anche lui avrebbe messo Pepe e Iaquinta nel tris d’attacco (o forse no, troppo offensivo) e lasciato gente come Di Natale in panca. Sì, mi sembrava una delle tante trasferte contro quelle che per noi dovrebbero essere squadrette (Siena, Livorno, Empoli, Chievo) e che affrontavamo senza nerbo, senza ammoniti, inventiva zero, sostituzioni tardive e risultato negativo. Per fortuna che sono venuto a Nelspruit per il Kruger.
E una vuvuzela dritta dritta, a Gasperlippi non gliela leva nessuno. Oddio, magari levargliela sì…

martedì 15 giugno 2010

I MONDIALI DI BECCIONI: 2 - LE AVVENTURE DI "NICOCA" E IL VENTO DI CAPE TOWN


Nicola dice che ha smesso con la roba, è diventato quasi a modo. Commercializza le cialde della Lavazza e tra Cape Town e Johannesburg conduce soltanto affari “puliti”.
Domani vado a cercarlo, ma non mi fotte nulla di sapere se non pippa più, voglio soltanto chiedergli come fa ad essere amico di quel guaio vivente di Massimo Mauro.
Uno dei motivi per cui a me il Prez non dispiace, è che non rivedrò più la sua faccia associata al Grifone. Anzi, lui ci odia più di Iachini e le sue corde vocali laminate diarrea non perdono occasione per emettere suoni ostili.
La notte a Port Elizabeth è materia di studio per giovani registi americani sballati: collegiali boere ripiene di rummaccio da quattro soldi (“Dark Sailor”, un distillato di urina d’elefante diabetico sarebbe meglio) la danno via per due risate in compagnia, aitanti rugbisti ricchioni agitano il ciuffo biondo sculettando lo Waka Waka e sognando una vuluzela nera in mano (ma senza dirlo al papà predicatore o farmista), e la coca gira come una giostra di cavallucci multietnici da cavalcare al volo. A me invece ronza in testa una canzone scema di Vinicio Capossela. Di conseguenza, decido di noleggiare una cadillac e un giornalista.
Sono ancora incazzato bianco con quel nonno da quarto reich di Otto Rehagel che ha lasciato in panca il Papa e ha schierato una Grecia inguardabile. Poi ho gustato l’eccellente prova di Grella e mi sono chiesto perché non ingaggiamo il nipote di Franca Valeri che gioca nel Sassuolo. Ma forse fa più ridere Grella. Non voglio pensare anche al calciomercato, mi chiama ancor più l’alcool.
Sono felice di essere approdato in questa cittadina di stronzi, di respirare aria di mare.
Tommy Mlambo, il cronista del quotidiano locale “The Herald”, che mi accompagna per le vie del porto elisabettiano, mi fa un altro ritratto dell’imprenditore italiano di Città del Capo.
“Nicola Caricola andava e veniva da Genova e Cape Town – mi racconta – i suoi container trasportavano di tutto, non solo macchinette del caffè espresso. Voi ricordate sicuramente l’inchiesta italiana in cui fu intercettato mentre si metteva d’accordo per ritirare la polvere bianca dall’amico di Padovano e fare la cresta distribuendola ad altri calciatori, tra cui Vialli…ma anche qui ne ha combinate delle belle, per via della cocaina. Lo chiamavano Nicoca”.
Sì, quella storia la ricordo. Non che abbia mai considerato Caricola un uomo che quando passerà a miglior vita, ascenderà al terzo piano della Nord…lo vedevo più come uno che in vita sarebbe finito nel terzo raggio di San Vittore. Invece se l’è sempre cavata e i cinque anni prima della prescrizione del reato di detenzione e spaccio se li è passati in riva all’oceano, surfeggiando su onde bianchissime. L’ardore da caccia all’autografo, come quando inseguivo Damiani o Basilico da ragazzino, mi è passato da tempo e l’unico giocatore per cui mi sono emozionato è Scantamburlo. Ma quello è un simbolo. E poi guadagna meno di Diodato Abagnara ed è pure simpatico.
Luca Mosole invece me lo ricordo meglio. Entra ed esce di galera, il pusher delle star juventine. Quanti festini con sbarbine d’ogni razza, lui era un wiskaro e io ai tempi andavo solo a “sciampo”.
Ma questa è un’altra storia. Anzi sono un’ottantina di altre storie.
“Quel che non tutti sanno è che in Sudafrica non ha perso le buone abitudini – fa Mlambo – si è sposato con una delle modelle più famose di qua, Tania Fourie, che gli ha dato due bimbi. Ma, dopo la separazione, le ha fregato duecentomila euro dai suoi conti e le ha incasinato la vita con giochetti di contabilità creativa importata direttamente da Torino”.
“Ah, il Made in Italy…” spezzo io, per sdrammatizzare.
“Tania ovviamente l’ha denunciato e lo ha sputtanato in tutta Cape Town…così lui ha diretto gli affari verso Johannesburg e vuoi sapere una cosa?”
“Anche due” gorgoglio con una Grey Goose (avete capito bene) nel cavo orale
“Già da un anno, Johannesburg grazie anche agli affari del Mondiale, è diventato il nuovo smercio della cocaina di tutto il centro e il sud del Continente! Credi che Nicola si sia lasciato sfuggire questa occasione?”
“Hai le prove di quello che dici?”
“No, ma ho due mignotte che ci aspettano al Radisson Blu Hotel”
Di Nicola e del suo passato genoano già non me ne fotte più una cippa. Andrei a trovare Tania, piuttosto.
Ho ritrovato la Grey Goose, domani rivedo Celso Duarte e mi godo due rossoblu in nazionale. Queste sono soddisfazioni. Fanculo alla dietrologia dei mercenari, delle bandiere, degli incedibili…quando il tuo cuore è rossoblu sopporti anche questo.
Quando il tuo cuore è per gli azzurri sopporti anche Gasparri. A Mlambo questi discorsi piacciono, eccome. Vorrebbe sentirmi dire che Di Pietro è come Sculli, ti fanno sperare per un attimo in un mondo più giusto, poi ti rendi conto che i casi sono due: o sono manipolati, o sono due paraculi.
Invece io bevo e magnifico Berlusconi, tanto per fare l’italiano alternativo all’estero.
Le due polpette sono colorate. Non che mi aspettassi Yolanthe, la moglie di Snejder.
Voglio un’altra Grey Goose. Voglio Tania, che è bianchetta e ha i polmoni sviluppatissimi.
Ma intanto mi ingozzo di cioccolata. Perché così è l’Africa e con lei bisogna soffrire.
Dedico il secondo e ultimo orgasmo alla mamma di Massimo Mauro e mi addormento.
In poche ore è già doccia, è già aereo, è già Cape Town.
Una piccola parentesi sulle linee low-cost sudafricane. Ne ho viste due, la Mango e la Kulula.
Ho scelto quest’ultima, perché la Mango mi ricordava il cantautore ricchione.
Gli aerei sono, manco a dirlo, cangianti e pieni di tromp l’oeil e scritte del cazzo.
Sul muso di quello che ho appena preso, c’è l’immagine di Babbo Natale spiaccicato con i regali che piovono sulla fiancata e la slitta con la renna spetasciata sulle ali. Idea carina…niente di strano, se non fossimo in giugno.
Cape Town è una fetta di torta servita di taglio su un piatto nero spolverato di zucchero a velo, e stavolta non è colpa di Caricola. L’unico a tirare come un matto, mentre sfilo sul lungoceano, è il vento. Il cielo è terso, il mare è quarto…mi beo della prima battuta della giornata e vado di birra.
Sono le due del pomeriggio, c’è un pub pieno di palestrati teutonici già ubriachi. Mi guardo Olanda-Danimarca giusto per verificare la reale quotazione di Kjaer e ammirare uno dei “Buffalos” del Grifone, Eljero Elia. Sarà nero come le polpette di ieri, ma mi piace, mi piace, mi piace!
Applaudo una sua giocata e due afrikaans mi guardano in tralice.
Eccoci, penso.
“Zumbler grunfen metzelder kastler vultrenheim truk trukkenwald”.
Questo è quello che capisco. Potrebbe voler dire “tua madre si è rasata la patonza perché così gli garba al macellaio di Castelvolturno che se la tromba di gusto”.
Per tutta risposta preventiva, chiedo alla barista calva e tatuata di offrire guinness a tutta la compagnia.
Sorridono e mi perdonano il grave gesto di esultanza nei confronti di un coloured.
Gimme hope Jo’anna…
Squilla il telefono. E’ il grande Celso.
“Estoy ja all’estadio. Non mi hanno fatto entrare l’arpa”
“Arrivo, companhero!”
Mi faccio portare dal vento, il miglior mezzo di trasporto della città.
Vaffanculo piove. E come piove! Manco ci fosse il monsone.
Lo stadio è tutto italiano, i paraguayani saranno duecento e Celso vorrebbe andare a salutarli tutti di persona, secondo me per vedere quanti lo riconoscono.
La partita secondo voi ha storia? Uno zero a zero rubato alla casualità. Due gol del cazzo, due colpi da fermo, agonismo e confusione, due squadre senza capo ne coda.
Mimmo ha fatto il suo, ditemi il nome di un terzino sinistro da portare al posto suo.
Montolivo è utile come un marinaio sull’Everest.
Alla fine il pari mi sta bene perché l’avevo giocato, unitamente alla vittoria dell’Olanda e a quella del Giappone. Se domani vince anche il Portogallo siamo a posto.
Celso ci è rimasto male, sperava nel colpaccio. Io invece credevo al miracolo Di Natale.
Il bello di tutta questa storia, dico a Celso poche ore dopo nel solito pub del centro, gremito di afrikaans infoiati fin dal mattino, è che domani vado a Durbanville a conoscere Tania, alla faccia di Nicola e degli amici suoi.
Però…che cazzo di pioggia e che cazzo di vento!
(fine seconda puntata)

sabato 12 giugno 2010

I MONDIALI DI BECCIONI: 1 - JOHN BARNES E LA CREATURA MITOLOGICA


Celso Duarte si scaraventa giù dal Boeing 747 come un “volante central”, non appena Bricolo apre il portellone.
Deve andare a controllare che i facchini motorizzati estraggano con cura la sua enorme arpa dal ventre dell’aereo. Lo saluto con la mano e, roteandola in orizzontale, gli do appuntamento al ritiro bagagli.
Sorride e mi urla “Bricolo!”
Rispondo con sonora risata.
Ci siamo conosciuti nel lungo viaggio da Roma a Johannesburg. Volo SAA piuttosto tranquillo, hostess piuttosto racchie, vodka absolut piuttosto poca e anche abbastanza cara, ma almeno il piacere di conoscere Celso.
Ubriacandoci col contagocce siamo diventati amici.
Grande esperto di calcio, Celso è tifoso del Paraguay.
Non perché sia un tipo snob o l’originalone di turno. Celso Duarte è paraguayano, benché sia cresciuto in Messico. Ha anche giocato nelle giovanili dell’UNAM di Città del Messico, ma la sua passione era l’arpa. Dell’arpa mi frega poco un cazzo, quindi parliamo di calcio.
C’è Italia-Paraguay, ne consegue che saremo rivali, Celso.
“Vedrai che sorpressa” mi lancia con la spagnoletta nella esse.
Lo steward boero che ci vende l’absolut ha una fronte così alta che ci sono due possibilità: o è il nipote di Frankenstein, o è il fratello di Frederick Von Bricolo, il capogruppo leghista.
Ogni volta che arriva, noi sempre più sbronzi, lo chiamiamo “Bricolo!” e giù a ridere.
Non sono sicuro che gli piaccia, ma che ne pensa lui mi frega come del fatto che Juric appenda le scarpe al chiodo.
“Celso, vieni con me a Cape Town, lunedì sera…ci vediamo la partita insieme!”
“Te ho deto che no soy aqui para veder el mundial…stoy aqui para sonar!”
“Dai…ti pago io il biglietto…ne ho presi due, doveva venire un caro amico con me, ma all’ultimo minuto mi ha dato buca…sono convinto che tu lo conosca”
“Ah, sì? E chi è?”
“Bricolo!”
E giù a ridere.
Il Celso Duarte Ensemble si esibisce a Johannesburg domani sera e il 20 al grande Festival delle Arti di Grahamstown, cento chilometri da Port Elizabeth, nell’entroterra della costa orientale del Sud Africa.
Io mi esibirò nudo in albergo per qualche troietta zulu, per il resto sono qui in missione per conto di Bruno Caneo.
Visiono i nostri, per capire se sono ancora da Genoa, e gli altri per dare qualche dritta alla società.
L’arpa sta bene, Celso è sollevato. Viene sollevato anche da due magnaccioni da rugby che lo rivoltano come un calzinho per vedere se ne esce cocaina.
”Tirateme giù, estronsi” urla col suo italiano maradonico, mentre faccio presente ai tizi che, vabbene i controlli antiterrorismo, ma quello è un musicista che viene a suonare invitato da voi.
“E tu chi sei?” sputa il più Pilone dei due.
“Osservatore Genoano”
Il mediano di mischia sta per prendermi a pugni, quando se ne avvicina un terzo.
Sembra il cugino intelligente dei due.
“Genoa! I know Genoa…you mean the football team?”
“Yes! The oldest football team in Italy”
Si presenta.
“Piacere, John Barnes”.
“Cazzo, John Barnes del Liverpool?”
Proprio lui. Fa il commentatore per la televisione sudafricana Supersport.
“Seguimi” mi fa.
Ah, Africa…terra d’avventure inaspettate.
Abbraccio Celso e gli do appuntamento a Cape Town. “Ti chiamo io”.
“Quella partita…non la posso dimenticare” dice, accendendosi una Dunhill.
“Il ritorno a Liverpool, dici?”
“Sì…eravamo convinti di farcela. Anche se si stava chiudendo un ciclo…io, Ian Rush…”
“Per noi, invece, avrebbe potuto aprirsi un ciclo…poi Pre…ehm Spinelli ha venduto i pezzi migliori e il sogno della stella…”
“Bella squadra…molto italiana…come l’Inghilterra di Capello”
Salgo sul taxi con lui. Fa un freddo novembrino.
“E i bagagli?”
“Li facciamo lasciare da qualche parte allo stadio. Non ti preoccupare, sei mio ospite. Sono qui da una settimana, faccio avanti e indietro da una città all’altra. Hotel, ristoranti, ragazzini…”
Come ragazzini? Taccio e penso: Ci sarà da bere allo stadio?
Per le strade si respira un’euforia povera e toccante. Non c’è un cristo che non sia colorato, che non abbia in mano un fischietto, un tamburello o una trombetta. Hanno venduto milioni di trombette.
Ci sono in giro reduci del concertone di ieri sera a Soweto. Ha aperto il grande Hugh Masekela, c’era Alicia Keys e si respirava la mancanza di Miriam Makeba. Mancavano i Pooh, chissà se era presente anche Gasperini o preferisce il death metal di Juric.
“Sei andato al concerto, John?”
“No, però farei un servizietto a Shakira…che ne pensi, amico?”
E mi strizza le palle. Amichevolmente, intendiamoci.
“Permetti una domanda?”
“Certo!”
“Cosa intendevi con ragazzini?”
“Ahahaha! Finanzio una scuola calcio a Soweto! Pensavi che ero come il fratello di Ratzinger?”
“Scusa…Permetti un’altra domanda?”
“L’ultima?”
“L’ultima. Cosa ne pensi di Vince Grella?”
“Chiiii?”
“Grella. Blackburn Rovers”
“Ah, okay…mmh…riempitivo”
“Riempitivo?”
“Riempitivo”
“Bevi, John?”
“Non più, amico. Non più. Di cosa hai bisogno?”
“Vodka?”
“Vedo quel che riesco a fare”
Entriamo al Soccer City Stadium.
John si avvia verso la tribuna stampa, io ho un accredito per quella d’onore.
La cerimonia sta per iniziare e si sentono solo quelle cazzo di trombette.
Arriva un inserviente con una strana bottiglia in mano.
“For mister Barnes, cerchi di berla di nascosto…non si faccia vedere”
Guardo di sottecchi l’etichetta che recita “AMARULA, the original South African Liquor”
Il colore è quello di un Baileys, c’è la foto di due nocciole che si amano.
Ingurgito e provo schifo come fosse toccato a me fare il servizietto a John.
Inizia la cerimonia!
Un cazzo di effetti speciali, la musica si sente malissimo e vedo quattro zulu agitati che eseguono danze tribali di merda. Canzoncine pop finto afro e ancora balletti.
Ah, l’Africa, terra di felicità e allegria a bassissimo costo.
Noi in Italia con poco riusciamo solo a farci inchiappettare, a farci ridere ci pensano quei cazzo di checchi zalone e il resto è squallore e tangenziali. Se non ci fosse l’alcool e qualcuno che guida per te, l’Italia sarebbe una tragedia.
Comunque sto spettacolo fa proprio cagare. Potevano chiamare Paul Simon con sei pigmei in tutù che facevano più bella figura.
Ci gioco l’arpa di Duarte che gli organizzatori si sono intascati almeno due terzi dei soldi della cerimonia.
Ecco il clou: quattro stracci si sollevano e compongono un’Africa rappezzata e via.
Finito.
Come sto cazzo di dessert alcolico alla nocciola.
La partita inizia in salita per i sudafricani. Il Messico sembra potergli fare quello che avrebbe fatto Barnes a Shakira. Ma le trombette sono micidiali e solo l’undici di Parreira sembra essere allenato a sopportarle. Anzi, pare che siano state approvate solo perché tengono sveglio lo stesso Parreira.
Così alla distanza escono Pienaar e compagni. Tshabalala, uno dinoccolato come Palladino e reattivo come Mesto, cresce in disinvoltura. Il centravanti Mphela si muove meglio di Acquafresca ma ha la stessa puntualità sotto rete. Il giovane messico avrebbe bisogno di Cuatemoh Blanco, l’uomo collofit di provata esperienza.
Io di una tequila Jose Cuervo 250 Aniversario.
Alla fine del primo tempo lo vedo! Vedo LUI!!! Non è un’allucinazione da Amarula, il liquore che t’incula. In tribuna stampa, dalle parti di Barnes, c’è il Santone!
La voglia di andare a stringergli la mano è tanta. Sapere cosa ha tratto da questo primo tempo, ma soprattutto se domani viene con me a Porth Elizabeth a veder giocare il Papa.
Sicuro, se non ce lo manda la Rai, col cazzo che viene.
Lui il Papa lo ama come io ammiro Antonacci.
Avvolto da questi pensieri, e da un maglione di pyle che mi manda John (sarà mica frocio, porca paletta) insieme a una bottiglia di Gin dal nome impronunciabile, rinuncio alla sortita.
Mi gusto il gin di merda, risciacquandoci gengive e cavità dentali una a una per togliere i sentori di nocciola, e il secondo tempo in surplace. Di fianco a me ho un brasiliano che deve essere capitato qui per sbaglio, seguendo le bandiere gialle, e un vecchio afrikaan che non riesce a capire come mai abbiano abbassato i pali della meta e arrotondato la palla ovale.
E’ un altro Sudafrica, trasformato così come io trasformerei le trombette in cannoni d’erba. Ahahaha, vorrei vedere l’effetto sui messicani…la cucaracha, la cucaracha…
Tshabalala corona la prestazione da taccuino del Gasp (previo due anni in prestito valorizzante) inserendosi proprio alla Mesto e realizzando.
Per il Messico pareggia uno dei Buffalos del Genoa, Rafa Marquez, detto il De Rosa di Zamora, ma Tshabalala ha la fava lunga e prende un palo infame a due minuti dal termine. E’ pareggio.
Attendo John per mezzora, fuori dallo studio improvvisato di Supersport.
Mi passano davanti personaggi indimenticabili: Falcao, Butragueno, Eusebio (più ubriaco di me), Platini, Mario Kempes, Gasperini, Ferguson…cazzo! Gasperini e Ferguson stanno parlando…avessi una digitale…ecco l’incarnazione di Gasperson! La creatura mitologica metà moderno manager calcistico e metà antico aziendalista mafioso! La quintessenza della progettualità, il mutante in grado di trasformare la panchina in una poltrona frau. Pagine e pagine di leggende adamolitiche trasformate in realtà. Chissà com’è emozionato…no, emozionato no. Chissà com’è orgoglioso! Chissà quante cose gli starà chiedendo…come fare a ossidarsi in un team per vent’anni e più…magari gli propone Bocchetti e fa svincolare Gary Neville…si inizia bene in Sudafrica!
Attendo ancora. Vado al cesso, ma c’è una fila che nemmeno allo skilift di Cortina.
Vorrei essere ancora vivo il giorno in cui allo skilift di Cortina ci saranno così tanti neri.
E spero sia vivo anche il figlio di Bossi…altro che Balotelli.
Ah, l’Africa. L’ho sempre sognata e finalmente sono qui, grazie a Mimmo Criscito.
Volete saperlo? Il Beccio ci vede davvero lungo, come il pipino di quelli in coda al cesso-skilift.
Durante quel Genoa-Cosenza famoso, quando tutti piangevano cantando come in Alabama e io col cazzo che ero andato al funerale, ma non potevo fare a meno di vedermela in tivù, dissi al mio amico Donuts.
“Scommettiamo che quel ragazzino tra qualche anno va in nazionale?”
“Ma chi, il gracilino” mi fa il pirla.
“Criscito…forse anche Volpe. Ma Criscito di sicuro”
“Guarda, se Criscito mai andrà ai mondiali, ti pago il viaggio e i biglietti di tutte le partite”
“Affare fatto, amico. E tu chi ti prendi?”
“Io? Ahaha per stare alla pari, mi prendo Boisfer nella nazionale francese”
Grande Donuts.
L’inserviente si presenta dopo tre quarti d’ora con una lattina di birra Castle.
“Il signor Barnes non può venire…la saluta. I suoi bagagli sono al deposito. Questo è lo scontrino per ritirarli. E questo è l’indirizzo del suo hotel”
“Ah, grazie…permetti una domanda?”
“Certo, Sir!”
“Ma John Barnes è ricchione?”
“Ahahaha! Credo proprio di no, sir. Arrivederci”
“Scusa…permetti un’altra domanda?”
“L’ultima?”
“L’ultima. Cosa ne pensi di Gasperini?”
“Chiiii?”
“Niente…niente…ho capito…riempitivo”.

(fine prima puntata)

mercoledì 9 giugno 2010

SENTENZE

Berlusconi: "Un inferno governare rispettando la costituzione".
Vorrei suggerire anche "Un casino guidare rispettando il codice della strada",
"Che peccato che se ammazzi qualcuno vai in galera" e
"Duro da sopportare il non poter scopare la prima che passa per strada".

giovedì 3 giugno 2010

FREDDIE BECCIONI: 10 - IL TIFOSO VERO E I MILLE TESSERATI DEL GRIFONE


Io non sono un tifoso qualunque, io sono Beccioni.
Io vivo di Genoa, anzi vivo IL Genoa.
Oppure è il Genoa a vivere dentro di me, devo ancora pensarci a questa cosa.
A dio ci credo quando mi fa comodo, quando penso alla mamma e quando me la faccio sotto e ho la tachicardia e mi formicola il pancreas.
Al Genoa non hai bisogno di crederci, il Genoa c’è, si vede ed è comunque una fede.
Che figata! Mica stiamo parlando chennesò del lardo di Colonnata, o del musciame di Carloforte.
Il Genoa ha sapore ma non si mangia, ha odore ma non si annusa, ti ubriaca ma non si beve. E mi fermo qui sennò sembra uno di quei cazzo di giochi da festa delle medie.
La parola Fede, che non è solo un cognome così come Preziosi non è un aggettivo, riferita al Genoa è quanto di più vicino al mio non essere mistico ci possa essere.
Vita nuova, dopo queste scoperte, maturate grazie a un finale di campionato in cui l’ansia prepartita, la speranza del risultato, la tensione dell’obbiettivo non erano parte dei miei pensieri.
Grazie, società e grazie Gasp per questo! Ma solo per questo, intendiamoci.
Altra novità: sono passato dalla Grey Goose al Caroni. Non è un midfielder argentino da plusvalenza, ma un rhum cubano (o dominicano sa il cazzo) a 65 gradi.
Di Caroni e di Genoa vivo in questo frangente. Ma il Genoa di più, “because is red and blue”.
Un rap potrebbe scaturire il mio sentirmi così tanto genoano, come mai nella vita! Ne sono pregno, ne sono degno, mi impegno, m’ingegno, il premio di primo tifoso mi assegno, mi lagno, mi bagno, mi sdegno e della croce mi faccio il segno fino a quando come lei divento legno.
A volte credo di essere io, il Genoa.
Non può contenermi la Nord, non mi basta il Ferraris, centoventi anni di storia mi sembrano pochi in confronto alle vicissitudini di questa vita mia. Così spiego la mia attenzione ad ogni notizia, ad ogni pettegolezzo, spiffero e frammento di informazione che riguardi il Grifone. Il mio appassionarmi all’universo rossoblu per interno, dagli atomi ai pianeti, dai satelliti ai microbi.
Un batterio vecchio e balordo mi attrae e lo osservo al microscopio, un parassita genoano va studiato e compreso, anche uno stronzo blu che esce da un buco del culo rosso è degno della mia curiosità. Conosco i segreti dell’autista Piero Noli, le scappatelle di…vabbè, non lo dico, i nomi dei parenti del magazziniere. Ma senza impegnarmi troppo, semplicemente mi ricordo di tutto quel che riguarda il Genoa, che se applicassi lo stesso sconosciuto metodo all’ingegneria genetica, sarei già premio Nobel da un pezzo. Ormai l’universo Genoa mi sta stretto come il sistema solare agli astrofisici! Figuriamoci undici giocatori, o i ventidue/ventitre della rosa gasperiana…sono pochi. In questo sono genoano come il mio presidente. Che anche per lui sono pochi e in questi anni se n’è comperati altri ventidue/ventitré e li ha parcheggiati come il Suv, alcuni davanti a un centro commerciale costruito da uno più ricco di lui, altri in doppia corsia, in tripla garanzia, in regalia, in garage e così sia, in prestito, in credito, in dubito, in conto vendita, in sconto perdita, col vuoto a perdere, col divieto a vincere, in comproprietà, in vendopietà, bustarella, filibusta, busta paga, bustapagala e buttalo-al-malaga.
Li conosco pure io, son tutti miei, o sono io travestito senza maglia rossoblu. Domenica scorsa, ad esempio, ero davanti alla tv, ho sofferto e gioito da genoano. In porta c’era Russo, e ci siamo salvati a Salerno, col Vicenza. C’era anche Botta, che giostrava a centrocampo. Con Bielanovic davanti, sì…la salvezza è anche un po’ nostra. Renzetti è ai playoff…che fatica…a metà con l’Albinoleffe, però…un po’ mi sentivo alleggerito. Un bicchiere di Caroni in più.
Per Lupo Greco un’altra promozione…che portafortuna! Quanta gente deve dirci grazie, quanti tifosi che poi ci trattano in modo ignorante da avversari. Loro come l’Inter di Milito e Motta. Dovrebbero stendere un tappeto rossoblu dove camminiamo. O al limite non dirci “stronzi!”.
Il Torino, dice che lo abbiamo mandato in B e poi gli regaliamo Gasbarroni per risalire…il Frosinone lo benefatturiamo da anni ed eccoli sempre lì che si salvano…ma dov’è finito Tavares? Ogni tanto mi concentro sul calcio svizzero, Lugano e Bellinzona, ma non mi da soddisfazione. Anche se ubriacarsi in un crotto di Morbo Inferiore con Baldini sparlando di Gargo che si vendeva le partite e Sersone che lo portava a troie ad Albenga è stata un’esperienza unica.
Il Genoa. Da ragazzo pensavo fosse un fatto solo mio e di pochi. Oggi siamo ovunque, se ne accorgono tutti che ci siamo, che siamo una squadra di serie A, che siamo nelle prime cento del mondo! Due bicchieri di Caroni per festeggiare la classifica IFFHS (che non si legge alla napoletana…“i fess”)!
Ogni giorno il calciomercato parla di Genoa. Vogliamo tutti e tutti vorrebbero venire a giocare al Genoa, sognando di seguire le orme di Diego Alberto. Anche Diego Angelo ci sta provando, ma le orme di Milito sono troppo piccole per lui, che ha il 41. Lo svincolato brasiliano è un difensore e comunque ha il 44, potrebbe sformare tutte le orme precedenti, tranne quelle di Sottil, che ha la pianta più larga e di Policano, che aveva il 52 e mezzo. Per questo verrà ceduto in contoprestito.
Finita la prima bottiglia di Caroni. Settanta euro spesi bene. Passo a un più morbido Zacapa.
Con l’opzione delle squadre da inventare, con la playstation 3, preparo un torneo quadrangolare rossoblu degli acquisti d’estate.
Ubriaco, impasticcato, creativo, unico. Un tifoso genoano vale questa e mille altre esperienze, pur di non tornare a Sesto San Giovanni e non dover andare nelle opzioni “Crea giocatore” e dover recuperare il mio amico Scanta con Basso, Carfora e gli amici suoi del bar di Fermo.
Meglio allora giocare con la formazione di un mio fan sfegatato di cui non conosco nemmeno un giocatore: chi sono Hakan Combi, Stepanov Basciu, Danic Megu, Fabio A. Riccio, Marc Chang e Albert Molinari? Mostri notturni, maligne presenze che inquinano il Bisagno e il mio bicchiere mezzo pieno, lasciatemi in pace, lasciatemi sognare tutti i progetti che voglio. E soprattutto, lasciatemi cantare, con la chitarra in mano, lasciatemi cantare, sono un genoano.

martedì 1 giugno 2010

POESIA: FUORI TEMPO

Ci sono cose più importate
E storie meno scelte
C’è un miglior modo di sorridere
E non il ghigno del corrotto
Ma nemmeno il riso amaro del corretto.
C’è un pendolo
Che conta i miei minuti
E aspetta di vedermi uguale
All’orologio suo padrone
Scandirne il senso in azioni brave
E non solo commenti
A situazioni-burla
Di una vita stupida.