domenica 14 novembre 2010

EUGENE E CHARLES, IL SOGNO DEI GRIFONCINI ROSSOBLU SI AVVERA


L’avventura dei grifoncini kenioti sbarca a Genova, nella “Cantera” rossoblu.
Esattamente un anno fa la conferenza stampa di presentazione del progetto a Villa Rostan. Nata da un libro dello scrittore e tifosissimo genoano Freddie del Curatolo (“Genoa Club Malindi", edizioni Liberodiscrivere), promossa dalla vendita dei libri allo stadio da parte dei Grifoni in Rete e appoggiata da un importante Onlus, la Karibuni di Como, la prima scuola calcio di una squadra italiana in Kenya è stata sponsorizzata con gioia e disponibilità dal presidente Preziosi e dalla società.
Un progetto sociale che ha permesso a oltre mille ragazzini di uno dei distretti più poveri e problematici del paese di avvicinarsi al mondo del calcio e alla filosofia del Grifone. La scuola calcio Karibuni-Genoa fa studiare 24 ragazzini dai 10 ai 14 anni, offre loro assistenza medica, lezioni di educazione civica e di aggregazione, insegna l’italiano, propone eventi, trasferte, interscambi. Migliora ogni giorno la vita di questi ragazzi ed è d’esempio alla comunità intera di Malindi. Ogni sabato, per la partita, accorrono allo stadio centinaia di coetanei e i dati sul calo della microcriminalità adolescenziale, secondo il prefetto di Malindi Arthur Mugira, sono anche da ascrivere al buon lavoro della scuola calcio. A dirigerla una vecchia conoscenza delle giovanili genovesi, sponda doriana, però. Si tratta di Riccardo Botta, passato da centrale (con Sereni in porta e Vergassola a centrocampo) nella primavera blucerchiata, mentre i grandi erano Mancini e Vialli. Dopo la trafila nelle nazionali azzurre, qualche incidente e un’onesta carriera tra serie C (Savona, Latina) e campionati dilettanti (Vado, S.Vincent, Saviglianese). Poi la scelta di aprire un’accademia di calcio in Africa, la Malindi United a cui la scuola calcio Karibuni-Genoa si è affiliata.
Ora, dopo un anno di duro lavoro e di tanti problemi, ma anche grandi soddisfazioni, due talenti del Karibuni-Genoa e della Malindi United approdano a Genova per un “ministage” con i pari età rossoblu della “cantera”. Un’avventura straordinaria che i ragazzi si porteranno dentro per tutta la vita e che potranno raccontare ai coetanei al loro ritorno in Kenya, trasmettendo loro l’evocativa forza del sogno, che qui rende questo sport ancora qualcosa che può cambiare la vita e renderla migliore a migliaia di ragazzini. Eugene Moses, capitano del Genoa malindino, è stato tolto dalla strada, orfano di padre, e ora per seguire il suo sogno è diventato il più bravo di tutti a scuola. Ha solo 14 anni ma la serietà di un professionista. Quando segna, bacia lo stemma del Grifone della sua maglia rossoblu. Ringrazia chi gli ha dato questa grande opportunità.
Charles Bruno, sedici anni, da Malindi è già diventato titolare della Under 20 del Kenya e sogna di diventare il nuovo Mariga. Sbravati e Pinna non vedono l’ora di osservarlo all’opera. L’intento sociale e la grande avventura prima di tutto, ma questo talentino merita di essere seguito.
Eugene e Charles arriveranno a Genova il prossimo 6 dicembre e l’iniziativa sarà presentata con una conferenza stampa. Verrà anche girato un film documentario sulla loro avventura a tinte rossoblu.

lunedì 8 novembre 2010

ADDIO AL ROOTS, UNA PARABOLA AFRICANA


Questa è la storia di un grande albero che, con gli anni, ha l'umiltà di tornare alla terra, dopo ogni ascesa, e rinascere più forte e saggio di prima. Ma è anche la storia della crudeltà umana, di quell'animale capace di distruggere sogni e passioni per soddisfare i propri interessi. Nell'ultimo anno, a Malindi, centinaia di turisti e tanti residenti hanno scoperto la magia del Roots, un insolito locale costruito in mezzo a un ficus zanzibarica di novanta metri di diametro. Le sue radici aeree formavano delle robustissime grotte a pioggia, sulle quali erano state costruite due solide palafitte. Usiamo il passato, perchè nei giorni scorsi il legittimo proprietario di quell'albero e del terreno in cui è compreso, ha iniziato ad abbatterlo. Ci farà delle abitazioni, probabilmente. Ma soprattutto, chi ha creato quel luogo e la sua leggenda, non ha detto tutta la verità ai suoi ospiti e sostenitori. Noi di malindikenya.net, grazie a fonti sicure, documenti originali e ricostruzioni, ci siamo andati molto vicino: i proprietari del terreno su cui sorgeva il Roots, erano due tedeschi, marito e moglie. Alla morte del coniuge, la consorte Ute Shlitt, malata, decide di tornare in Germania e lascia una delega a un suo uomo di fiducia locale, per vendere o affittare la sua casa. L'uomo di fiducia dopo qualche anno ipoteca il terreno presso una banca e scappa con i soldi. Più avanti, la banca allo scadere dell'ipoteca decide di rivalersene e diventa proprietaria del terreno. Nel frattempo un amico della signora tedesca si fa fare un'altra delega, per evitare di perdere il terreno, ma è troppo tardi. La banca lo mette all'asta e trova un acquirente a cui del grande albero interessa relativamente. Così chi nel frattempo ha trasformato il terreno nel bar ristorante giriama che molti hanno visto e conosciuto, pur avendovi fatto partecipare la gente del vicino villaggio, è stato accusato di appropriazione indebita ed è finito in prigione. Tante però sono le ombre oscure dietro alla persona che gestiva il Roots. Al di là della triste vicenda, a noi spiace che quasi nessuno abbia seguito il nostro monito, di preservare il bellissimo ficus dalle radici aeree. Abbiamo provato a chiedere all'organismo che tutela le bellezze ambientali, ad associazioni locali. Forse anche noi siamo arrivati troppo tardi, il ficus zanzibarica del Roots avrebbe dovuto diventare monumento nazionale, e invece probabilmente le sue radici fatte a pezzi saranno il monumento alla ferocia dell'uomo. (tratto da malindikenya.net)

sabato 6 novembre 2010

FREDDIE BECCIONI: PER NON FARE I PESCI SPADA ALLA VUCCIRIA


Io sono già a Palermo, perché credo nella svolta.
E ve lo dico senza ironia, mordicchiando una stigghiola al mercato della Vucciria.
Ne avevo piene le palle dei caos mediatici, degli amici bulicci di destra che minacciano il suicidio, del figlio di Bondi che non sa più che pesci pigliare, dei figli vostri che hanno imparato a nuotare nella merda in cui da vent’anni indecorosamente anneghiamo.
Qui, nel bordello colorato della piazza del Garraffello, in questo concitato quadrilatero nel bel mezzo del Cassaro, i pesci che attirano la mia attenzione sono parenti del defunto Paul e le sarde che ti aprono e deliscano davanti.
Qui c’è vita, sangue, urla, respiro, sudore, tensione. Roba vera.

Io a Palermo godo. E’ una città coi controcazzi, credetemi. Questa è l’Italia che vorrei, mica la Brianza o Roma, che oltretutto è stata conquistata dai brianzoli.
I siciliani mi piacciono e, anche se preferiscono lo sticchio alla ciolla, non te lo direbbero mai in faccia, perché farsi vanto di un luogo comune non è da loro e sprecare un’offesa gratuita è come sparare a salve su chi ha importunato la tua mugghiera.
Io qui mi ripulisco, non importuno (son mica scemo), bevo poco e, vabbè, mi tiro qualche sega.
Ma questo mica ve lo devo dire per forza, eh?
Parliamo di calcio, piuttosto. Il Palermo è reduce dalla campagna di Russia, questa Europa League che tutti se la tirano quando la conquistano e poi non se la caga nessuno. Avevo una compagna del ginnasio che subiva questa strana sorte. Ma con lei c’era un motivo evidente, aveva dei peli lunghi, neri e resistenti sulle tette, in prossimità dell’areola. Mica uno o due, erano tanti! Ciuffi cattivi e selvaggi che sembrava potessero imbrigliarti ed annodarti a morte! Bisognava vedergli però quella gramigna antierezione, per rimanere inorriditi e fuggire via lontano. Il passaparola non funzionava, se cercavi di avvertire un compagno di scuola, quello pensava che glielo avevi detto perché avevi fatto cilecca. Quindi lei, che incomprensibilmente non interveniva con cesoie speciali, ti sguinzagliava sedici centimetri di lingua salmistrata in bocca e sul più bello, sparapam!
I capel-zzoli!
Qui invece c’è poco da capire e da agitarsi…probabilmente si ritiene troppo difficile e casuale arrivare in fondo, come ha fatto l’anno scorso l’Atletico Madrid, e si punta sul campionato, per sperare di arrivare ai preliminari di Champions League, senza lingua salmistrata, uscire subito e tornare in Europa League.
Ah, dolci problemi che finché c’è Gasperini non avremo. Lui questi problemi li risolve alla radice e non ha peli superflui, né sulle tette, né tantomeno sulla lingua.
Ma non sono qui per fare sterili polemiche. Sto bene, sono tranquillo, a Palermo. Posto ospitale dove non sanno cosa sia il Caroni ma ti offrono Syrah. Quindici gradi e vento primaverile, sento che sarà la svolta. Intanto Kaladze diventa titolare fino alla fine del campionato, poi la condizione fisica di chi è ancora vivo sta crescendo e Toni vuole tornare al gol.
Vedrete che non sarà il solito Genoa timido nella prima frazione di gioco, che poi va sotto e non riesce a recuperare. Sarà una partita d’epoca, della prima era gasperiniana, del pleistocene crotonese. Non faremo la fine dei pesci spada.
Il lavaggio del cervello in fondo è semplice come quello delle sarde insanguinate. Edo vale Rubinho? Direi di sì. Dainelli sarà meglio di De Rosa? Ranocchia non vale cinque Masielli? Rafinha è o non è un capitan Rossi coi piedi buoni? E vuoi mettere questo Mimmo con Danilo o Fabiano? Rudolf o Palacio con Leon? Se Zuculini farà lo sforzo di diventare bello e intelligente come Juric, possiamo senza difficoltà ripetere il divertente campionato del primo anno di serie A.
Questa sarà la partita del pressing, lo voglio e lo sento.
L’odore dei pomodori secchi mi porta via, come la fragranza di spezie in strada cantate dagli Yo Yo Mundi, che sono bravi ma quel cazzo di erre moscia del cantante non riesco a farmela andare giù, mi ricorda Mesto schierato all’ala.
Però il profumo dei limoni, l’emozione delle cucuzzedde, queste interiora d’agnello spalmate su melanzane o cipolle alla carbonella. Il Palermo gioca così, ti appassiona, ti diverte e fa un po’ di casino. E’ un mercato di piazza di folate, passaggi, con Pastore che condisce le cose fresche e preziose e gli sloveni che fanno un po’ di casino ma va bene lo stesso, con un pubblico di “abbanniati” a sgolarsi, pur senza dover vendere nulla.
E noi? Savoiardi al Moscato, rischiamo di fare la parte del dessert, che qua se ti “escono” i cannoli, facciamo ridere anche con il dolce. Bisogna tornare a pensare da camalli, ad agire da emigranti del riso con i chiodi negli occhi. Ma chi glielo dice ai nostri ragazzi?
Deve essere pressing, deve essere squadra corta, contropiede, grinta.
Altrimenti sarà la danza dei pesci spada alla Vucciria.
Ma almeno mi sarò goduto Palermo.

mercoledì 3 novembre 2010

PANTALONCINI NUOVI E UNA NUOVA SFIDA: LA GIOIA DEL GENOA YOUTH MALINDI


In Africa contano gli occhi.
Sguardi penetranti e vivi vestono la povertà di fame e paura, ma anche di curiosa libertà, il dolore di lacrime e stanchezza, ma pure di fratellanza e lotta.
Sono gli occhi a gioire, prima ancora di un sorriso strappato alla timidezza, all’ombra delle antiche angherie bianche.
Lo sguardo del piccolo Eugene, in mezzo al verde savana dello stadio di Malindi, porta con sé la fierezza del capitano e la felicità da condividere con i 23 compagni del Genoa Youth Karibuni.
Lui per primo ha ricevuto la divisa completa: le splendide maglie rossoblu che finalmente si possono abbinare a pantaloncini tutti uguali, bianchi, e a calzettoni che non sono quelli ufficiali ma almeno sono per ognuno e fanno sentire i ragazzi ancora più uniti.
Il regalo dei Grifoni in Rete è l’occasione per fare festa.
Tutti in fila per le foto ufficiali, con Eugene che di colpo si fa serio e mette in riga gli altri. Quattordici anni, figlio di un’agente penitenziaria e di un soldato dell’esercito morto durante la guerra civile, lui alla carriera da calciatore ci crede ma se non riuscisse a trovare spazio almeno nella Premier League keniota, sa che gli converrebbe prendere un fucile in mano, per guadagnarsi da vivere.
Intanto, con ottimi voti, si avvia verso la scuola superiore e, serio e diligente com’è, troverà sicuramente qualcuno che lo aiuterà fino almeno al diploma.
Eugene distribuisce pantaloncini e calzettoni, il primo ad accaparrarseli e Janji Mwangemi, il bomber della squadra.
Dodici anni, fisico da piccolo corazziere, movenze da pantera e un’intesa già buona, guarda caso, con il capitano.
Ha i numeri, Janji, ma deve essere seguito un po’ a scuola, perché spesso “dribbla” anche lo studio. Eugene e Janji sono le due stelline del Genoa di Malindi.
Ma la scuola calcio ha creato un gruppo affiatato, e lo si vede negli allenamenti settimanali, con mister Ben Ouma (ex portiere di Premier League con un’esperienza in Belgio) che impartisce ordini, sfogliando il librone degli allenamenti didattici della FGCI.
C’è Baraka, adottato a distanza da una coppia di genoani di Sestri Levante, che da terzino destro, una volta presa confidenza con il campo e i polpacci degli avversari, è diventato un ottimo centrale, c’è Mystic (il papà “rasta” gli ha dato questo nome perché ascoltava “Natural Mystic” di Bob Marley) che fa il medianaccio e copre le avanzate del capitano, che è sempre nel vivo dell’azione. Ci sono i minuti e velocissimi George e Nelson che fanno gli esterni di centrocampo nel 442 di Mister Ouma che diventa all’occorrenza un 4231, con la seconda punta Fahad che arretra.
Quel che sorprende, dei grifoncini rossoblu, è come assimilino in fretta schemi e modo di giocare.
Dopo le foto di rito con la divisa scintillante, la partita sulla carta si presenta ostica: di fronte c’è l’agguerrita compagine di Kisumundogo, quartiere “slum” della periferia malindina.
L’under 14 è formata da ragazzi che si spera non seguano le orme di fratelli spacciatori, ladruncoli che entrano ed escono di galera o, alla meglio, beach boys che adescano turisti e turiste in spiaggia e vivono alla giornata.
Per questo motivo, prima della partita, c’è l’incontro tra i nostri ragazzi e la squadra sfidante. Ci si presenta, si scambiano le esperienze e Eugene e compagni spiegano come attraverso il calcio e i buoni vuoti a scuola, si possa migliorare la propria vita e sia più facile trovare qualcuno che ti aiuti a portarla sulla via di un futuro senza patimenti e pericoli.
I “ravatti” di Kisumundogo assorbono la lezione, ma poco dopo, in campo, mostrano subito le unghie e i muscoletti.
Ma con i girpantaloncini non ce n’è per nessuno, i grifoncini kenioti sono concentrati e dinamici. Dopo dieci minuti, Janji sfrutta un errore della difesa e infila con un preciso diagonale. Eugene fa a sportellate e prende calci, da uno di questi nasce un’anelata punizione dai 18 metri che calza a pennello per il suo sinistro a girare: al ventesimo è già 2-0.
Il tempo si conclude con la perla del pomeriggio, trangolazione Fahad-Eugene-Janji, dribbling secco del nostro bomber e gran gol!
L’esultanza dei ragazzi è una cosa da film. Tutti insieme alla bandierina ad abbracciarsi come se in palio ci fosse la coppa dei campioni d’Africa.
Gli occhi compongono uno sguardo solo, di complice felicità. Gli sguardi sono al cielo equatoriale, sono ai fratelli che li applaudono dall’altra parte della rete di ferro, ai genitori che non ci sono più o che è come se non ci fossero mai stati, a quelli che si spaccano la schiena rompendo coralli, che intrecciano palme secche per fare i tetti, alle giovani madri che vendono coloratissimi parei, che trasportano taniche piene d’acqua lungo la grande strada asfaltata o di sera si offrono a rozzi e vecchi turisti.
Il Genoa Youth Karibuni è quello sguardo liberatorio, quel sorriso al futuro.
Si potrebbe discutere per ore su cosa sia la gioia, in cosa consista il benessere, cosa ci faccia sentire appagati. Io penso sempre ai coetanei italiani di Eugene e Janji, di Baraka e Mystic.
Alla loro noia, al nichilismo e allo sconforto, all’inconscio collettivo stuprato dall’immoralità e dallo schifo della classe governante.
Vorrei si potesse tornare all’origine delle cose, dei sentimenti, delle sorgenti della gioia, delle passioni. Poter dire loro, citando un filosofo dei nostri tempi, che “libertà è partecipazione”.