mercoledì 13 febbraio 2013
DUE CHIACCHIERE CON FREDDIE DEL CURATOLO, AUTORE DI "SAFARI BAR" RITRATTO DI MALINDI E DELLA COMUNITÀ ITALIANA
(DA VOGLIOVIVERECOSI' WORLD)
Eccoci a Malindi, città del Kenya ricca di storia e di suggestioni. Rifugio per un'umanità varia, spinta qui da mille e uno motivi, Africa vera per qualcuno, enclave di costumi e nefandezze occidentali per altri. Comunque una località che non ha certo avuto bisogno degli occidentali per conoscere, già tra il 1300 e il 1500 uno dei periodi più floridi della sua storia e che ne fecero, insieme a Mombasa la città più ricca della costa orientale africana. Anzi l'arrivo degli europei coincise con la nascita dello schiavismo e con uno dei periodi più bui della sua esistenza. E in fondo anche ora, alcuni occidentali hanno portato un'altra forma di saccheggio, quello culturale, facendone un luogo in cui perpetrare le loro "cattive abitudini". Però c'è posto, per chi la vuole scorgere e vivere, anche per autenticità, e per un'Africa più vera. Ne parliamo con Freddie Del Curatolo, milanese, classe 1968, giornalista, scrittore e musicista che qui ci vive. Autore di alcuni libri tra cui, nel 2008, di "Malindi Italia, guida semiseria all'ultima colonia italiana in Africa" vero caso editoriale tra turisti e residenti nella città keniota.
Oggi Freddie, oltre a molti progetti sociali, dirige anche il portale Malindikenya.net ma ha anche pubblicato il divertente libro "Safari bar" Guido Veneziani Editore. Un divertente ma anche amaro spaccato di una città che, per molti aspetti, sembra specchio di una certa Italia; caciarona, apparentemente innocua ma non del tutto priva di una pericolosa volgarità. Tanti gli episodi divertenti, tragicomici che Freddie però racconta con ironia, senza ergersi a giudice superiore. La voce narrante è quella di Nonno Kazungo perché il racconto di un vecchio saggio serve per dare un'altra prospettiva alle parole e alle descrizioni di cose e persone. E, in alcuni punti, il libro sembra parlare di un'Italia fin troppo simile a quella di oggi oltre che del Kenya. Un bello spaccato comunque di una comunità italiana all'estero. Da leggere per ridere riflettendo. E con Freddie facciamo anche due chiacchiere.
Tu come e perché hai "scoperto" il Kenya?
E’ stato tutto merito di mio padre. Si è trasferito qui quando avevo 18 anni per aprire la prima pizzeria in Est Africa. Finito il liceo mi sono preso un anno sabbatico per stare un po’ con lui e ho scoperto il paradiso. Tanto che per sette anni l’ho frequentato per almeno sei mesi all’anno.
Come è arrivata la decisione di viverci? Qui continui a svolgere il tuo lavoro di giornalista?
Ho amato da subito il Kenya. A vent’anni l’avevo già eletto luogo ideale dove passare la vita. Però perseguivo alcuni obbiettivi che sapevo mi avrebbero dato grandi soddisfazioni personali. Dopo essere diventato giornalista, aver pubblicato il primo libro, aver inciso un disco come cantautore, ho pensato che ero pronto per lasciare l’Italia e tornare definitivamente “a casa”. Dopo aver gestito un ristorante sulla spiaggia, ho trovato il sistema di svolgere il mio mestiere, unendo molte attività imprenditoriali della costa keniota in un portale: malindikenya.net.
Parliamo un po' del tuo libro. Da dove ti è venuta l'idea di scriverlo?
Bando alla modestia: credo di essere il massimo esperto di italiani a Malindi. In venticinque anni ho raccolto tante di quelle storie, aneddoti e memorie altrui da poter scrivere almeno altri venti libri. Ho iniziato con una sorta di vademecum: “Malindi Italia, guida semiseria all’ultima colonia italiana in Africa” (Liberodiscrivere) che ha avuto un ottimo riscontro e qui a Malindi è diventata una piccola “bibbia” per turisti. Ora mi sono cimentato con una forma più vicina al romanzo, per raccontare le stesse cose: trent’anni di allegra, grottesca, a volte disdicevole ma spesso compenetrata ed ecosolidale invasione italiana in Kenya.
Perché non lo hai scritto in prima persona ma usi il personaggio del nonno per raccontare le storie?
Perché è più divertente che sia un africano che ha imparato a conoscere gli italiani, a parlare di loro. Io comunque ho fatto come alcuni registi cinematografici e mi sono ritagliato una piccola parte: quella dello Svaporato.
Gli italiani non ci fanno certo una bella figura. Ma anche alcuni kenioti non ne escono un po' come delle caricature?
I kenioti di Malindi, in trent’anni, hanno imparato molto da noi; sono come spugne di mare che assorbono, nel bene o nel male, la civiltà ma anche le abitudini non proprio civili che portiamo. Alcuni grazie a noi hanno potuto studiare migliorando la loro vita e quella dei familiari. Altri, scimmiottandoci, hanno accentuato alcune nostre peculiarità, come quella di imparare i dialetti o di diventare tifosi sfegatati delle nostre squadre di calcio.
A volte sembra che più che del Kenya, tu abbia voluto parlare dell'Italia. Un po' è così?
Malindi è Italia. Nel bene e nel male. E’ un posto unico nel mondo, un enclave in cui convivono svariate anime del nostro Paese. Provenienze diverse, differenti estrazioni sociali, ideali e ideologie agli antipodi. Tutti (o quasi) accomunati da quel sentimento che siamo soliti chiamare “mal d’Africa”. Ma per fortuna (o purtroppo come diceva Gaber) Malindi è anche molto altro, che con l’Italia ha ben poco da spartire.
C'è qualcuno dei personaggi che descrivi a cui sei particolarmente affezionato?
Tanti! Voglio bene a tutti, anche perché sono quasi tutti veri e reali. Ieri l’elettricista Makotsi è venuto a ripararmi una presa, Buddy Bufalo Pazzo mi ha chiamato per dirmi che un amico gli porterà giù il libro, Ruggero Borsello…è mio padre!
La comunità italiana in Kenya è come la descrivi nel tuo libro?
“Safari Bar” va un po’ a ritroso nel tempo, una ventina d’anni. Ma lo fa anche per poter parlare dei tempi attuali senza che nessuno si offenda. Oggi la comunità è un po’ più frammentata, sono sbarcati più Vip, c’è Briatore, arrivano Berlusconi e Grillo…loro fanno notizia, ma c’è anche tantissima gente che aiuta la popolazione locale, che si è rifatta una vita nel rispetto della natura e che vive a contatto con la miseria e i problemi di questo Paese che è pur sempre Terzo Mondo. Non mancano però gli intrighi, le storie comiche e le disavventure che continuano a farci apparire agli occhi di tanti stranieri come un popolo di “albertisordi”.
A cura di Geraldine Meyer
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