Ci sono tante feste in Kenya: tutte le ricorrenze cristiane e parecchie di quelle musulmane, c'è il giorno dell'Indipendenza come in America, quello della Repubblica come in Italia, il compleanno del primo presidente come in Papuasia, il compleanno del secondo presidente come solo in Kenya.
Dopo essersi eletto presidente, in quello sventurato 30 dicembre di un anno fa, President Reserve Kibaki ha dichiarato il 31 dicembre festa nazionale, "post-election day". Felice intuizione, la gente ne ha approfittato per iniziare a massacrarsi gioiosamente. Ha ragione il nostro futuro premier Silvio, troppe feste fanno male.
Ma il "Giorno della Memoria" a Malindi è cosa sconosciuta. Qui si vive alla giornata, al massimo alla Memoria si può dedicare un'oretta, si potrebbero istituire i "Quarantacinque minuti della Memoria", tra mezzogiorno e un quarto e l'una. Poi tutti a mangiare.
"Lei sa cos'è il Memory Day?"
Lo chiedo al proprietario del chiosco di frutta e verdura.
"Vuoi della rucola? E' arrivata freschissima"
"Memory day?"
"No, non ne ho. Scrivimelo qui che provo ad ordinarlo".
Provo con l'ambulante delle schede telefoniche.
"Memory day?"
"No, ma ho la tariffa sul week-end, se vuoi"
Ottengo un'alzata di spalle e uno sguardo attonito anche dalla guardia giurata di una banca e dal fintovero masai che ha il banchetto di perline nel mezzo del centro commerciale.
L'Africa non ricorda la Shoah, qualcuno ha sentito parlare di Olocausto, ma è una cosa di tanto tempo fa "che riguardava i tedeschi e gli israeliani", mi dice un indiano kenyan-born che ha studiato a Mombasa.
La memoria a Malindi è cattiva e vicina, molto vicina.
E' la memoria del giorno, di ogni giorno fino ad oggi.
Qui in Kenya l'anno scorso si uccidevano in maniera barbara, venti per l'esattezza iol 28 gennaio 2008 e, sotto le mentite spoglie di "pulizia etnica" si scatena la guerra peggiore, quella dei poveri.
Niente docce o fosse collettive, niente camere a gas. Qui girano panga e coltelli, torce e benzina.
Il potere non muove un dito, questa è il vero "stato di pulizia".
Ci hanno provato con la democrazia, con il potere, con il capitalismo. No, non fa per l'Africa, per il Regno in cui da sempre il leone si batte con la gazzella, il leopardo con il facocero e non c'è battaglia. La democrazia ha insegnato al leone come battersi con il leopardo e, quel che è peggio, alla gazzella come uccidere il facocero.
Perchè? A che serve? A chi serve?
Dal Giorno della Memoria in poi siamo abituati a pensare che dietro ogni eccidio, ogni epurazione, ogni guerra, ci siano motivi economici, politici, sociali. In Vietnam per l'oppio e la Cina, in Iraq per il petrolio e il terrorismo, il Venezuela per la cocaina e Chavez (no, questo non ancora…).
In Kenya sembra assurdo ridurre tutto a due africani ricchi e ubriaconi che vogliono comandare, a due lobby tribali di potere che non riescono a fare inciuci come nel resto del mondo.
Eppure è così. D'altronde siamo nella Terra del "Non c'è un perché".
Ieri, "Giorno della Memoria", avremmo ricordato venti innocenti che a poche centinaia di chilometri da casa mia sono stati ammazzati. Siamo in pochi, quaggiù, a portare addosso il peso di così tanti giorni da vivi.
Nessun commento:
Posta un commento