venerdì 25 giugno 2010
I MONDIALI DI BECCIONI 4: I NOSTRI PEGGIORI SOGNI
Ognuno ha gli incubi che non si merita e mi mulina il belino che qualcuno per questo motivo si arroghi il diritto di sceglierci i sogni. Anche perché spesso i sogni che decide per noi, sono i suoi stessi incubi. Dopo un tale proemio morale, questo psicofarmaco di saggezza, potrei anche recarmi all’agenzia SAA di Jo’burg e prenotare il rientro in Italia per domani, perché già prima che si autocatapultasse fuori dai mondiali, ho capito che della Nazionale, delle miserie sudafricane, dopo aver visto gli splendori del Kruger e il lungoceano di Cape Town, dopo aver piluccato la vita notturna di Port Elizabeth e inalato la violenza di Soweto, me ne importa come del destino calcistico di Acquafresca.
Vuvuzela in culo a Lippi, non c’è dubbio, e alla presunzione in generale. Io tifo Diego, perché lui è il calcio ed anche l’uomo con i suoi fallimenti e le sue vette innevate, e Uruguay perché mia nonna era di Montevideo e Pato mi procurava certe sventole da paura.
Io, l’ho già detto, vivo e soffro per il Genoa.
Ci ho lardellato il pancreas prima di cuocerlo a fuoco lento, col Grifone. Ho ridotto il mio fegato a un pasticcio di amarene Fabbri e la mia circolazione ricorda Los Angeles alle sei di sera.
La notte prima di Slovacchia-Italia ho sognato la risoluzione delle comproprietà. L’angoscia di immaginare due o tre Genoa 2010/2011 diversi a seconda delle variabili alla Mike Bongiorno di “Busta numero 1, numero 2 o numero 3” si è scontrata, come in un duello intestinale tra aragosta alla catalana e riso pilaf con spezzatino di struzzo, con il presunto orgasmo di abili pokeristi che si divertono a giocare le loro cartacce tra un buio, un cip e parecchi bluff. Dietro al tavolo si alternano complici, soci più o meno occulti, procuravvoltoi e teste di legno. Cosa volete che siano, per certa gente, due milioni di euro in più o in meno? Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal cabotaggio, dal cinismo e dall’ipocrisia. E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai...
Mi sono svegliato sudato e per una volta non c’entrava né il rum (tra l’altro a Jo’Burg ho scovato tre bottiglie di Demerara), né la fotomodella mulatta che fa la pubblicità di un bagnoschiuma sul canale sportivo. Quando mi hanno assicurato che con cinquecento euro avrei potuto spupazzarla, mi ci sono lanciato come Tioté sulla caviglia di Elano.
La mezza sosia di Tyra Banks non è bastata ad assicurarmi un sonno scevro da ipotesi e presagi. Già prima, mi sentivo come un aruspice che legge il futuro nell’incerto volo dell’uccello.
Il mio compagno di battaglia, cercava di stremare da dietro la mulatta come fa Marotta con Capozucca, mentre la longa manus di Branca le ghermiva il bacino, lavorandola ai fianchi.
Niente da fare, avevo come l’impressione che ci volesse l’aiuto di un mandingo o di un coniglio meccanico, per sottometterla definitivamente e portare a casa il risultato.
Sarà stata anche quella telefonata del mio produttore Chazz Massaccesi, interista sfegatato, da Milano.
“Come ti va? Ce l’hai il satellite in Sudafrica?”
“Eccome se c’è…certo…” ho risposto d’istinto, cadendo nella trappola come una mezzala serba in fuorigioco.
“Anche noi qui a Milano ce l’abbiamo il satellite…siete voi! Ahahahaha!”
“Noi non siamo il satellite di nessuno…se facciamo certe operazioni è perché ci conviene, capito?”
Mentre lo dicevo, alcune mie certezze scricchiolavano come il letto su cui Tyra avrebbe sfogliato volentieri Maxim e Vanity Fair, mentre me la sbattevo concentrandomi sulle percussioni di Criscito. Il tabellone del suo coinvolgimento, però, indicava impietoso un altro esterno sinistro da sbolognare. Modesto.
Non è servito nemmeno un tiro di “Caricola Extra Light”, una polveraccia rimediata a Houghton, tagliata più o meno come Aleksic.
Avanti così, mestamente, fino quasi all’alba, con lei a sonnecchiare sperando nella risoluzione immediata di quella compartecipazione e io a cercare di godermi il più possibile quel prestito oneroso.
Così sono sprofondato negli incubi. Con le palpebre pesanti e inutili come affermazioni di Moggi e il mio vecchio pirata con un occhio solo, in ritirata a mo’ di Juric, sono riuscito a scorgere la mulatta che si rivestiva e intascava la sua Trecento. Non mi aveva detto neanche il suo nome, ma avrebbe potuto benissimo chiamarsi Amelia, dalla sofferta soddisfazione con cui si era liberata di quella prigionia.
Eccomi tra le braccia di un Morfeo negro fantasista degli Orlando Pirates, un beffardo dio del sonno poco ristoratore dalle disarmoniche fattezze di Tshabalala. Nello sprofondo onirico mi è apparso dapprima Palladino, che mostrava le sue foto ritoccate con alternativamente la maglia di Juve, Napoli, Fiorentina, Palermo, Udinese e Atletico Madrid. “Con quale mi abbino meglio?” chiedeva. Genio di Adobe, il Palla. In ogni scatto aveva una pettinatura diversa ma la stessa espressione da antilope in posa perché convinta che il fucile del bracconiere sia un 35x100mm. della Canon.
Poi arrivava Ranocchia, saltando su un piede solo e canticchiando “Non sarà come Ventura, giocherò sei mesi nella Primaveraaaa”. L’uomo brizzolato al bancone del bar, con un succo d’ananas in mano, domandava “ma è la gamba sana che avete venduto o quell’altra?” Bonucci invece attraversa la stanza come un fantasma sorridente. Non proverà mai l’ebbrezza della difesa a tre. Tre carte, come alla teresina. Tre in difesa. Sul tavolo dei giocatori uscivano ogni giro soluzioni diverse, ma la carta del Papa non c’era mai.
A un certo punto un orribile cameriere-facocero, con la faccia di Brenzini, il collo di Biabiany, la gobba di De Ceglie e il culo di Lotito, serviva Chateau Lafite per tutti. Nessuno aveva vinto, tutti festeggiavano. Giochi d’azzardo moderni del cazzo, quando non sai a chi dovresti sparare e a chi offrire una bevuta.
Ho ripreso i Sensi (sarà stato merito di Lotito?) intorno a mezzogiorno.
Mi sono alzato, mi son vestito e sono uscito solo solo per la strada, Ho camminato a lungo senza meta finché ho sentito cantare in un bar. Era un cazzo di gruppo tipo Ladysmith Black Mambazo, quelli che facevano il gospel zulu, tutto fiato e giochi polmonari, nel mitico disco “Graceland” di Paul Simon. Li ascolti trenta secondi e ti sembrano angeli di un paradiso nero e giusto, dopo un minuto li hai apprezzati e attendi sereno la conclusione, dopo cinque minuti fai il tifo per l’enfisema e alla terza canzone rimpiangi l’apartheid.
Nessuno mi rapina, a Jo’burg. Come sapessero che mi attendono le buste.
E’ ora di recarsi a Soccer City. Qui, dove i satelliti regalano gioie sportive a tutto il mondo, stanno convergendo migliaia di italiani. La maggior parte parla la nostra lingua peggio di una badante kirghisa, ma sono verniciati a fresco come Treviso dopo una notte di graffitari.
Il centurione romano, il contadino etneo, la bionda col castello in testa che sembra l’Atalanta delle figurine, la coppia di froci con un solo poncho tricolore e le mani che si frugano, mamma e figlia scortate da due abbronzatoni primordiali. Un assaggio di popolo preso dallo sconforto. Doppio Vittek, azzurri inguardabili. Un incubo, tranne per me che ne ho vissuti di peggiori e detesto talmente questa realtà, da farmela scivolare addosso come il bagnoschiuma di Tyra, come un rinnovo di comproprietà col destino, fino a quando non sarà lei a stancarsi di me, e confonderà se stessa con gli incubi che ci vuole propinare, autoeliminandosi. E lasciandoci finalmente alla purezza e alla maestosità del sogno. Ecco la battaglia che ho deciso di combattere, a suon di alcool, di scopate, di stupidaggini e provocazioni. E allora perdonatemi se non torno in Italia, rimango qui a tifare Uruguay e Ghana. Poi ho da fare un giretto in qualche altra dittatura, in finte democrazie più dignitose della nostra. Chissà che non vi mandi una cartolina, da quei luoghi. E ricordatevi: i nostri peggiori sogni saranno sempre meglio dei vostri migliori incubi!
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3 commenti:
maradona è l'unico fuoriclasse del mondiale. Ieri ha detto che magari chiama mou per qualche consiglio. Che gran rum!
fratello, non so più chi votare (da tempo), non so più chi tifare (ai mondiali), non so più cosa sognare (stanotte). non so.
Diego sta dimostrando di essere unico e geniale anche come motivatore. La sua è un'intelligenza innata, che da giovane ha applicato al suo principale talento, il gioco del calcio, ma che ora potrebbe benissimo prestare al cinema, al teatro, alla psicanalisi...o anche al rock and roll.
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