venerdì 29 ottobre 2010
CIAO RINO, BUON SESSANTESIMO COMPLEANNO!
Chissà come si vestirebbe oggi Rino Gaetano. Cilindro e bastone sono evergreen che anche a sessant’anni farebbero la loro scena, d’altronde piacevano anche a Petrolini e Buscaglione, due idoli di gioventù del ragazzo di Calabria emigrato a Roma. Già, perché oggi il “fratello figlio unico” della canzone italiana festeggerebbe il suo sessantesimo compleanno. Se un maledetto frontale all’alba sulla Nomentana non se lo fosse portato via, ventinove anni fa, Rino sarebbe ancora lì a ridere di noi, di sé e degli altri e a raccontarci con poetica ironia quello che accadrà tra un paio di decenni. Già perché lui, la società attuale, l’ha già descritta e cantata negli anni Settanta. Vi sembrano versi anacronistici questi? “A te che odi i politici imbrillantinati, che minimizzano i loro reati, disposti a mandar tutto a puttana pur di salvarsi la dignità mondana” o “Beata è la guerra, chi la fa e chi la decanta, ma più beata ancora è la guerra quando è santa”.
E’ così lontana da noi la speculazione edilizia di “Fabbricando case” o l’indifferenza generale di “Nuntereggae più”? Rino forse sapeva di doverci lasciare presto, e ha immaginato per noi il mondo che sarebbe venuto. Graffiando e sorridendo, con uno sguardo agli ultimi ed uno ai poteri forti, guardandoli negli occhi. “Io scriverò sul mondo e sulle sue brutture”, prometteva, e questo ha fatto. Forse riusciremmo a immaginare i suoi vestiti, il ghigno agrodolce, lo sguardo oltre. Ma è alquanto azzardato tracciare un profilo di un ipotetico Gaetano sessantenne. Già negli ultimi mesi di vita aveva palesato una insofferenza per la discografia che lo etichettava come “giullare” sospeso tra ironia, spontaneità e satira di costume. La profonda onestà intellettuale non gli avrebbe fatto certo pubblicare dischi solo “per campare”, non sarebbe mai diventato un artista fotocopia di sé stesso, triste, deluso o sui generis come tanti suoi colleghi, per primo il caro amico Antonello Venditti da cui nel 1980 già prendeva le distanze. C’è chi lo vede “fustigatore”, una sorta di Beppe Grillo in musica, chi uomo di spettacolo alternativo alla Gaber del sud. Secondo l’amico di sempre, Bruno Franceschelli, Rino sarebbe tornato al suo primo amore: il teatro. Probabilmente ha ragione, chi meglio di lui ne conosceva le velleità artistiche e le tensioni umane. Con la società in continuo peggioramento, le canzoni non sarebbero bastate a contenere i suoi strali, i quesiti, gli urli di dolore e gli sberleffi. D’altronde aveva già previsto la P2, le lobby che mettevano d’accordo economia, politica, spettacolo, calcio e mondanità. Magari lo vedremmo girare i palatenda con Paolo Rossi, dividere il palco con Marco Travaglio o Sabina Guzzanti o chissà, starebbe lavorando a un grandioso musical sulla storia d’Italia...ma sono tutte supposizioni, soltanto parole forse inutili. Dettate solo dalla voglia di dire a Rino che, oggi più che mai, ci manca uno come lui che sappia farci ridere d’intelligenza senza prendersi troppo sul serio, che ci faccia guardare avanti senza paura e senza perdere di vista il presente. Quel che resta da fare è prendere un vecchio vinile (molto meglio di un’antologia remixata o di una fiction senza cuore) e mettersi a riascoltarlo. Se poi dovesse materializzarsi davanti a noi un signorino di una certa età, con bombetta e bastone, non avremmo altro da dirgli, se non “Ciao, Rino!”.
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1 commento:
grnade, pensavo a te ieri mentre lo celebrano a canale 5...
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