martedì 5 ottobre 2010

FREDDIE BECCIONI: ROSARIO, IL PONTETTO E LA SCOMPARSA DI PIERFLAVIO


La notizia della misteriosa scomparsa di Pierflavio ha colto tutti di sorpresa.
Tutti tranne me, che me ne vado allo stadio fischiettando, in sella al suo motorino.
Zia Esterina non è riuscita a stendere come si deve la pasta delle lasagne e quella rumenta di suo marito ha fatto un pesto di merda. Ero convinto che non gli importasse molto di quel figlio uscito storto come un torcetto biellese in una scatola di crumiri di Casale.
Da una settimana non da notizie di sé.
La fidanzata, con cui ormai si vedeva per interposto i-phone solo su Facebook, crede sia in un campo di addestramento militare del Movimento Cinque Stelle, l’amico brocker gode perché non gli ha chiesto indietro gli introvabili vinili di musica "prog" degli anni Settanta, la compagnia del pub irlandese giura che non è né al Matteotti di Rapallo né al O’Donaghy di Dublino.
Mi rimane solo il Pontetto.
Ci passo poco prima dell’inizio della partita, sperando di non essere riconosciuto dai miei detrattori. Lo faccio solo per fare un favore ai due vecchi che mi hanno sempre trattato come un figlio. Mio fratello è figlio unico.
Mi hanno chiesto quasi piangendo di indagare su dove potrebbe essere finito.
Qualche idea ce l’avrei. Un vecchio ragazzo mai cresciuto come lui, deve essere nascosto non troppo lontano da qui. Non è il tipo da lasciare la sua Zena, e non ha abbastanza fantasia per superare gli angusti confini della tv via satellite.
Sicuramente è deluso e amareggiato, come un mister qualsiasi dopo una sconfitta per 5-0, quando non può nemmeno appellarsi alla sfortuna, all’arbitro o alla gastroenterite di due titolari.
Mio cugino aveva avuto la prima botta a giugno con la conferma di Gasperson, poi la Tessera del Tifoso, il mancato trasferimento di Sculli. Infine la bestemmia di Berlusconi, l’altro giorno, deve averlo messo definitivamente kappaò.
C’è gente abbrutita al Pontetto, tra omoni che sembra ce la mettano tutta per non arrivare a fine mese, altri che “Genova per noi che stiamo in fondo alla campagna” e ragazzotte che ridono sempre come se non sapessero di essere concittadine di Paolo Villaggio.
Si imbenzinano di birra alla spina da due lire e ruttano in faccia al Grifone sentenze sulla presidenza, sul Gaspensiero e sulla maggioranza dei tifosi rossoblu, che hanno solo il demerito di crederci. Alla fine anche i maschi, qui al Pontetto, hanno il sorriso stampato, come si volessero bene tra di loro. Tiro fuori la bottiglietta da mezzo litro di acqua minerale San Benedetto, che ho riempito di Dalwhinnie, e trinco senza pietà.
Mi arriva anche una canna di straforo. Darei nell’occhio se la rifiutassi.
Faccio un'espressione gaia tipo imbecille stralunato arrivato ieri dal Kenya.
Uno spinello, pensa te. L’ultimo me l’aveva offerto Morgan a un concerto in Abruzzo, quando cantava De Andrè alla maniera dei Marillion.
Cerco, origliando i discorsi dei pontificatori del Pontetto, di intuire qualcosa. Ci deve essere stata una migrazione, perché non manca solo Pierflavio, si dice che hanno dato forfait dopo decine di anni anche intellettuali zapatisti, emigranti del riso non cinese, ex punk-rocker calvi, storici della resistenza di Ponte Carrega e operosi topi di grifoteca.
La tessera del tifoso nella mano destra, “Noi genoani” nella sinistra, faccio il mio ingresso trionfale nella Nord.
E’ il primo anno che ci metto piede, ho sempre amato vedere le sue coreografie dai distinti o dalla tribuna succhiando una caramella, ma quest’anno mi sembra vivibile e meno coreografica. Daltronde siamo il Grifone, mica Nureyev... Che bellezza! Non sono obbligato a fare nessun coro, non ci sono occhiatacce nei miei confronti, ho rincontrato anche due miei compagni di liceo, che ai tempi tifavano Juventus.
Genoa-Bari sta per cominciare in una quasi-atmosfera: lo stadio è quasi gremito, la squadra in campo è quasi quella che vorrei, il terreno di gioco è quasi impraticabile, io sono quasi perso.
Respiro aria nuova e ancora erba di casa loro. Fischi a Ventura, ovazione al Gaspallecoperte.
L’hashish non fa un bell’effetto agli alcolizzati, nei primi venti minuti mi sembra di vedere un Genoa stranamente sbilanciato in avanti, pur subendo il gioco del Bari e lo trovo tecnicamente impossibile.
Finisco il Dalwhinnie ma sciaguratamente mi arriva un’altra zaffata di Pakistan in faccia.
Poi passiamo in vantaggio e cresce il mio stato confusionale, perché finalmente ora il Bari gioca in contropiede come se stesse vincendo lui, e questo lo trovo assolutamente incredibile! Ahaha, ma che succede? Mi diverto! Appoggio anche la mano sulla spalla del mio vicino che mi guarda come fossi Lele Mora. E non è nemmeno attraente come Fabrizio Corona!
Sono davvero fuori, ragazzi, disarmonico e scoordinato nei movimenti e nei pensieri, come un armadio a muro in un trullo. L’unico vantaggio è che solo ora (sarà la droga o la Nord?) comprendo appieno il gioco di Gasperini! L’effetto sballo però continua, infatti sono convinto di vedere che, dopo aver pareggiato ed essere rimasti noi in dieci uomini, il Bari arretri ancor di più il baricentro, roba da fumetti! Ahahaha come sto messo…noi in dieci senza un giocatore nel suo ruolo originario che mettiamo sotto il Bari in superiorità numerica, fisica e con la razionalità di chi gioca da sempre un 442 con le ali alte. Dio bonino, Mimmo mi sembra meglio di Dani Alves, Rafinha mi fa godere, Mesto sembra più allucinato di me, Chico pare stia giocando un’altra partita ma non la gioca male e soprattutto si vince quando finalmente si rompe Veloso ed entra Milanetto. La Nord esplode in pieno recupero, e io mi faccio anche due gocce di pipì sotto dall’entusiasmo! Che viaggio mi sono fatto! Il grande cuore del Genoa mi ha fatto dimenticare tutte le sofferenze, le magagne e le privazioni che non ho mai avuto. Ma meglio una dimenticanza preventiva che un ricordo fasullo, no? Io vivo nel presente, mica voglio fare il nostalgico, mica mi voglio perdere questo spettacolo per una questione di principio! Grifone sempre e comunque!
Mentre sfilo davanti al Little Club, mi si avvicina uno veramente losco, col giubbotto di pelle e i capelloni brizzolati annodati alla peggio.
Un cazzo di apache metropolitano.
“Tu sei Beccioni?”
Merda. Pensavo di averla scampata.
Questo non è il presente, è il passato prossimo che m’insegue.
Coraggio.
“Sì, caro, in persona…”
“Bella la canzone…e anche tu, come metafora non sei male”
Vaffanculo. Secondo me tu non hai mai assaggiato il Caroni.
Metafora sarà tua sorella e se me la porti qui, ti faccio vedere anche la metà dentro.
Sorriso di circostanza.
”Grazie fratello! Alla prossima…”
Fa per andarsene e ci provo.
“Ascolta…sai per caso che fine ha fatto mio cugino Pierflavio?”
Allunga il passo, come non avesse sentito.
Poi si gira e sorride.
Agita una mano.
“Rosaaarioooo!!!” mi urla con l’espressione dell’oritteropo nella stagione della riproduzione.
“Nooo, Pierflavioooo!” dico io.
“Ahahahaaaa!”
Ma che cazzo ti ridi, anacronistico!
La prossima volta bevo anch’io le birrette del cazzo del Pontetto, mi sparo tre cannoni uno in fila all’altro ed entro allo stadio convinto di assistere a Genoa-Montevarchi.
Sembra comunque che faccia bene allo spirito.
Altro che le camel, altro che ‘sto cazzo di whisky.
Magari è la vecchia remissività che si trasforma in nuova resistenza.
Che cazzo bisogna fare per inventarsi la propria felicità, domenica per domenica…
Fanculo!
Brindiamo alla vittoria del Grifone e allo Spirito!
Quello perduto di Pierflavio e quello allegro dell’amico del capellone.
Rosario.

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