Il grafico pubblicitario era di fronte a me. Lavorava con la scrupolosità dovuta dall'ora e dagli occhi titubanti e distrattamente coinvolti, come le mani ad un banchetto self-service di un motel. Ogni tanto fermava un pensiero e lo aggrediva in superficie, come una nave che prende in pieno un iceberg, e sbagliava la fotocomposizione del logotipo che immobile lo fissava da un quarto d'ora. Il musicista aveva tardato. Come al solito inforcava la porta con una scusa qualificante, di quelle che non puoi esimerti dal ridere di gusto, di quelle che non perdoni facendoti offrire una sigaretta. Il suo cappotto odorava di cantina, le sue scarpe erano rosse e lucide come il naso del grafico che lo fissava un po' meno accondiscendente. Il musicista si lamentava del traffico del centro e alternava bestemmie a curiose espressioni in slang newyorkese, sciogliendo la lingua in rap di rara intensità emotiva.
"Non puoi sempre lamentarti di tutto" ribattè a un certo punto il giornalista, abbandonato sulla poltrona del capo.
"Hai l'aria del turista insoddisfatto del trattamento riservatogli dai camerieri di un lodge nel Masai Mara. Ti trovi in mano a un branco di leoni, brontosauri e barracuda e ti lamenti per il cinguettio dei canarini"
Qualcuno aveva acceso la radio.
Il grafico doveva assolutamente terminare il suo lettering. In segno di ammirazione, rispettammo dieci minuti di rigoroso silenzio, passati i quali il giornalista ebbe la forza di alzare il suo peso dal sofà presidenziale e rilasciò dichiarazione estemporanea che fu seguita da uno scrosciare di applausi.
"Vado a prendere qualche birra"
Io mi offrii di buon lena di accompagnarlo giusto per fare quattro passi sotto i lampioni. Il grafico, quasi seccato per il fermento creato versò nelle casse sociali settecentocinquanta lire, il musicista costretto contro il muro dalle nostre tenaglie, duemila. In strada c'era un'aria di pioggia ed un puzzo di funerale. Anche il giornalista se n'era accorto e storceva il naso.
"Ci dev'essere stato un incidente, qui vicino, sento odore di morto"
Con passo sempre più affrettato, narici in preallarme e cuore al ritmo di Calipso arrivammo all'angolo e vedemmo lei, per la prima volta.
"E ti dico, faccio due ore di coda, sei chilometri di sigarette, arrivo dalla cara mammina e cosa ci trovo, un brodo di pollo. ma mi vuoi prendere in giro? Mi conosci da trent'anni, sai che odio il brodo, il pollo mi fa schifo, quando torno dalla sala prove sono affamato come un ghepardo e tu mi prepari brodino di pollo e se poi t'insulto mi dici - e per la tua linea, tesoro - ma guardami, le ossa mi si affacciano fuori, le gambe si inarcano, le mani nervose mi si strapperanno da quanto sono magro" il musicista aveva finito le sigarette, il grafico la pazienza, sostituita alla meglio da un bicchiere di cognac.
"Sei troppo sensibile" disse al musicista, che non si dava pace, nemmeno per cortesia "le madri ci hanno messo al mondo, e per farlo hanno rinunciato a mezzo cervello per darlo a noi, le dobbiamo ringraziare e compatire"
"Facile per te parlare così, tua madre è morta dandoti alla luce"
"Dandomi tutto il suo cervello".
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