venerdì 28 maggio 2010
LA TRISTE VITA DEL MIO AMICO ARNOLD
Quando mi dissero che Arnold in realtà era un nano e si chiamava Gary, ci rimasi molto male.
“Nooo, oltre che negro?”
Personalmente, pensai che fosse la giusta punizione, il contrappasso in vita, per aver sognato così ardentemente che Kimberly diventasse una pornostar.
Ero innamorato di Kimberly, e chi a dieci anni non lo era? Bionda e bamboleggiante, come ogni adolescente può desiderare una fidanzatina. Quando la rividi, anni dopo, con un cazzo in bocca e un altro nel posteriore, la trovai molto invecchiata.
Ma la lezione così “politically correct” che anni prima era arrivata da Manhattan, via Bronx, era entrata nell’animo vergine di xenofobia ma assorbente di qualsiasi forma di diversità.
Nella mia classe, alle elementari, c’era una sola bambina di colore, ma come Arnold per gli americani, parlava la nostra stessa lingua. Era italianissima, figlia di etiopi che vivevano a Milano dai tempi dell’obelisco di Axum o giù di lì. Henry, il mio primo allenatore di calcio all’oratorio, che parlava meno bene, invece era somalo. Non appena uno di noi “vedeva” la porta, urlava “dira drenta medri”. Tra i ragazzetti più grandi di me, c’era già chi li prendeva in giro; “cioccolatino…sì ma di merda” era una delle battute più gettonate, oltre alle più minimaliste “scimmia” e “bingo bongo”. A me facevano tanta tristezza. Consideravo che fossero animali in gabbia, esemplari trasportati in un luogo che non era fatto per loro. Così anche Arnold mi metteva la stessa malinconia, o forse anche di più, perché quella gabbia anacronistica della grande casa “bianca” di New York, rendeva il tutto ancora più palesemente sbagliato. Fintanto che non mi avessero fatto vedere come viveva un piccolo milord lentigginoso, adottato da una famiglia di jazzisti tossici di Harlem, avrei preferito Kimberly, anche senza ammennicoli infilati ovunque.
Willis invece mi stava sulle palle. Mi faceva più ridere il signor Drummond, nonostante qualche tirata morale di troppo.
Triste per triste, la vita di Arnold è stata breve ma poteva essere peggiore. Abbiamo avuto qualcosa in comune: siamo entrambi del 1968, siamo entrambi animali in gabbia, siamo entrambi negri.
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