martedì 30 agosto 2011
UN SORRISO D'AFRICA E IL GRANDE SOGNO ROSSOBLU
Joseph guarda di sbieco l’enorme grifone che ghermisce un pallone. Sa che tra un attimo finirà sul suo petto. Gliela chiederanno, quella maglietta ambita. Cercheranno di sfilargliela, di rubarla di notte e per questo la custodirà sotto il cuscino. E’ stato appena nominato miglior difensore del torneo. Nasconde a fatica l’imbarazzo dei tanti flash di macchine fotografiche e non vede l’ora di saltare addosso agli amici di sempre, lanciarsi in quel grido di battaglia che ha contraddistinto il cammino della squadra fino alla finalissima. “We are the children of Africa, we are the future of Kenya, we are GENOA!!!” un ultimo urlo e via in campo.
Joseph Nyababwe, il ragazzo adottato dai Grifoni in Rete. Centrocampista diventato libero e leader del Karibuni Genoa. L’infanzia in una capanna di fango misto sterco di mucca alle porte della grande foresta di Arabuko, poi il trasferimento a Malindi con la famiglia. Con lui ci sono Mystic, che il padre rasta ha chiamato così in onore a un album di Bob Marley, prima di morire per qualcosa di strano al fegato, Gift che vuol dire regalo e solo ora i genitori si stanno accorgendo che è vero. Un domani, chissà, potrà fare il medico. Ci sono Mwanda, dagli occhi che fuggono come il padre, che entra ed esce di galera, Ahmal che prega in ginocchio in mezzo al campo che nessuno gli porti via il sogno, Baraka, adottato a distanza da una coppia di Sestri Levante. Ecco Karisa, Gitau l’intellettualino invidiato da tutti per la sua pagella, Fatih il timido invidiato da tutti per sua sorella, Janji l’indisciplinato invidiato da tutti per il suo dribbling e ancora Bereto, Mwanjumwa, Stanley, George, Waweru, Omar, Dominique, Mule, Kahindi, Kalu. Simon, Yusuf, Mjahid. Sono anime imberbi e pure di questa terra, si allenano e giocano insieme da un anno e insieme stanno crescendo. All’equatore, nel cuore di un’Africa che sarà difficile inquinare in poco tempo con le logiche perverse del capitale, della globalizzazione, delle fidelizzazioni e di tutte le altre schifezze che hanno rovinato la nostra società e di conseguenza anche il gioco del calcio. Quel giorno arriverà, non ci facciamo illusioni. Sono già sbarcati a Nairobi, hanno insegnato loro la corruzione, le lobby di potere. Proveranno anche a conquistare la savana, la foresta, la costa. Ma chissà. Gift, Joseph e Waweru quel giorno saranno pronti ad immolarsi per mantenere la purezza di questa vita povera e della loro comunità. Mwanda non finirà in galera, la sorella di Fatih non sarà costretta a prostituirsi, Mystic chiamerà il figlio Siddharta in onore al suo libro preferito. Come il loro idolo Charles Bruno, che sta per essere ingaggiato dal Latina, Legapro 1, non si sogneranno mai di scioperare, anzi devolveranno il 15 per cento del loro stipendio all’accademia di calcio Malindi United per alimentare il sogno di Janji e di Bereto.
Durante la parata che ha preceduto la finale ho detto loro poche parole: “Due anni fa ho sognato una scuola calcio in Kenya, e siamo riusciti ad aprirla. Poi ho sognato di potervi trasmettere la passione e la filosofia rossoblu, e oggi vedo nei vostri occhi i risultati, infine ho sognato un torneo di calcio che riunisse gli orfanotrofi di Malindi per far capire a centinaia di bambini che non saranno mai soli. E anche questo lo abbiamo fatto. Ricordatevi, non smettete mai di sognare”.
Ho venti figli maschi. Sono stati fantastici. Per tre giorni hanno fatto i padroni di casa del Torneo degli Orfanotrofi di Malindi. “Benvenuti nel nostro stadio del baobab, siete nostri fratelli”. Hanno preso per mano centocinquanta coetanei di sette children home cittadine, gli hanno spiegato come si fa a diventare una vera squadra di calcio. Non si sa con quali risorse economiche, dato che ogni fine mese attendono il piccolo contributo che la scuola gli passa, hanno fatto fare decine di braccialetti rossoblu. Li hanno infilati ai polsi dei giovani capitani di ogni team. Li hanno regalati anche agli organizzatori. Non è tutto, hanno preparato uno striscione rossoblu, abbastanza grande da avvolgerli tutti. Ci hanno messo le loro firme, hanno scritto Genoa Cfc Malindi.
Ora il Genoa Cfc Malindi fa il giro del campo, riceve un premio uguale a quello degli altri partecipanti, gli orfanotrofi Thoya Oya, Rising Sun, Kamunyaka, Mama Anakuja, Blessed Generation, Heart’s Children Home, Kisumundogo. Magliette, pantaloncini, palloni.
E’ la festa di tutti, il risultato conta poco. Sono gli sguardi, gli occhi che traboccano di divertimento allo stato puro, a raccontare tre giorni indimenticabili in cui sono stati protagonisti della loro vita e presenze importanti in quella di ragazzini disastrati come e più di loro. Dall’altra parte della rete, durante le molte sfide leali ma combattute, il pubblico. Ragazzi di strada che vengono al campo per gioire del sogno di chi è nato e cresciuto nelle stesse baracche, per le stesse strade di terra e pietre, bevendo acqua marroncina e respirando il cherosene delle lampade e la merda delle fognature a cielo aperto. Oggi ognuno ha una maglietta nuova, un pacco di biscotti in mano e un bricco di latte vicino alla bocca. E il sorriso inconfondibile delle anime belle d’Africa, quello che per un attimo ha il timore di aprirsi e splendere, come dovesse spogliare di vestiti e dignità di fronte all’uomo ricco occidentale. Ma appena incontra un altro volto sorridente, uno sguardo autentico e complice, esplode in tutta la sua predisposizione all’amore. Per la terra, per la vita e per i fratelli.
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