mercoledì 5 novembre 2008

OBAMA: LA FESTA DI MALINDI, ILLINOIS

I caroselli dei boda-boda lasciano il centro della cittadina e si dirigono verso lo stadio, dove il chairman probabilmente s'inventerà un discorso che unisca Marafa all'Illinois, Matsangoni al Tennessee e le baracche a Barack. Le biciclette-taxi dribblano un furgoncino pick-up che ha legato alla ringhiera del cassone, in ferro battuto, la doppia bandiera Usa-Kenya cucita di fretta e già mezza strappata dal vento, un autobus "Garissa Express" fatto di teste che si sporgono e lamiera verniciata a Manchester United. Cortei improvvisati agitano stendardi e ramoscelli verdi di pace. L'ulivo in Kenya non c'è, ma non ci sono nemmeno fabbriche di armi. Queste cose ce le hanno sempre portate gli altri. La gente è in festa, come per i mondiali di calcio, quando vinse l'Italia e sentirono quel titolo anche un po' loro. Il Kenya è un gran Paese, pensano, ma a parte qualche maratona ogni tanto, non vince mai niente. Nemmeno nella classifica della corruzione mondiale riesce ad aggiudicarsi la maglia nera: quest'anno sono arrivati primi Congo e Zimbabwe. Almeno si è saliti sul podio. Così festeggiamo di rimbalzo, di sponda, per interposto popolo. L'unica volta che pensavamo di festeggiare lo abbiamo fatto con qualche ora di anticipo e subito la commissione elettorale ci ha bastonato, modificando il risultato delle elezioni. Così siamo stati buoni fino a stamattina e avevamo anche paura che si scatenasse la guerra in America, nonostante qualche mzungu ci avesse detto che l'America non è mica ingenua come noi, le guerre in casa sua non le fa. Anche all'America piace festeggiare, invece. Perchè comunque festeggiare è bello. Tutte le cose che hanno il sorriso di mezzo sono belle e Obama il keniota ha un sorriso che unisce Chicago con il lago Vittoria, la povertà di Wall Street con quella di Mama Ngina Road.
Che importa se i suoi fratelli e cugini a Kogelo si monteranno la testa, se lo zio chiederà una poltrona in parlamento e la nonna chiederà una poltrona nuova a fiori per guardare la KTN. E' mattina, e di mattina non si può festeggiare come si vorrebbe. Nel pomeriggio una Tusker (perchè la birra senator qui non esiste, è un'invenzione della stampa, come Bin Laden e Senio Bonini) e poi canti e balli. E allora tutti allo stadio, a sognare che il fango delle nostre capanne magicamente si stia trasformando nel luccicante specchio di un grattacielo, che posso mettere mio fratello Kadenge al trentanovesimo piano della capanna, la nonna però a piano terra che gli mancano le ossa dove c'è il posto per le ossa delle gambe. Il nonno invece si è già arrampicato, e sale come quando mi prendeva il cocco dalla palma più alta dello shamba. Oggi i tuk-tuk sono limousine, le vecchie Datsun con il tetto segato a mano sono Corvette decapottabili e sull'estuario del Sabaki c'è già chi intona un blues come sul delta del Mississippi. Il Governo ha proclamato per domani una giornata di festa nazionale, ma questa non è una gran novità. Ne abbiamo talmente tante che ci hanno forfettizzato gli stipendi e i negozi aprono e chiudono quando cavolo vogliono loro. Un beach boy dice che questo è un anno significativo: un africano ha vinto il campionato di Formula Uno e un africano è diventato campione del mondo dei presidenti. Lo so, non sono neri come noi e non saliranno mai su un boda-boda (ma non è detto, Obama un giretto potrebbe anche farselo, in futuro), però è già qualcosa, rispetto a quando non potevano nemmeno salire su un tram. 
Il mondo sta per cambiare un'altra volta, dice qualcuno.
A noi basterebbe che rallentasse, che si guardasse intorno come al cospetto di un tramonto in savana, che andasse pole pole, che si fermasse un po' a festeggiare questa terra, la sua gente, i poveri d'Africa e del mondo che ballano e sorridono. 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grande fratello nero!
Anche noi si festeggia
http://tornoaivinili.blogspot.com/
brod