A Kakoneni si respirava la solita aria.
Acacia, mais bollito, erba alta, sterpaglie bruciate, sentori di ascella femminile da fatica, retrogusto di mnazi, tracce di polvere d'argilla, bouquet di merda animale. Un'aria di libertà rurale, di vita povera scandita dalla durata della luce nell'arco di un giorno, un giorno in cui tutto può succedere e proprio per questo quasi sempre non accade nulla.
Tredici ore, dall'alba lucente ai tenui colori del tramonto, in cui lentamente si può assolvere all'unico impegno della giornata (potare un banano, portare l'acqua dal pozzo, farsi la seconda moglie di Lawrence Kamongo) o repentinamente si può andare al creatore per via di un mal di testa, di una zanzara o di un coccodrillo.
In un luogo incantato come l'entroterra di Malindi non può arrivare l'aria di pace che si respira a Nairobi e a Kisumu. Qui la pace non si respira, si vive nelle ossa come un reumatismo.
Si era dibattuto tanto, al Safari Bar, sulla risoluzione della crisi siglata dal vecchio presidente Kibaki e dal vincitore morale delle elezioni Raila Odinga. Ora sembrava finalmente tutto a posto, agli occhi del mondo il Kenya era di nuovo un Paese tranquillo con la sua bella democrazia paghi uno e prendi due: un Capo di Stato e un Primo Ministro.
"Un piatto in più in tavola, per chi mangia" aveva commentato laconico il barista Kibonge.
"E una fila lunga lunga in gabinetto!" la battuta di Makotsi l'ettricista, che stava leggendo le dinamiche della spartizione delle poltrone da parte dei politici dei due schieramenti.
Nonno Kazungu restava convinto che il vero presidente del Kenya fosse Koffi Annan e che i due leader d'ora in poi non avrebbero preso alcuna decisione importante senza prima consultarlo.
"Come l'allenatore dell'Inter Mancini con il coach del Manchester City, Eriksson!" commentò Kitsao, il saputello esperto di calcio internazionale.
Vedere i propri connazionali sfilare per le strade della capitale e nella citta' vecchia di Mombasa, dava gioia e i commentatori della tv nazionale enfatizzavano l'evento, quasi fosse l'occasione per un salto di qualita' del Paese e non un grosso scampato pericolo di precipitare definitivamente negli abissi. Ma in un villaggio in cui si vive alla giornata, la televisione e' poco piu' di uno specchio deformante, al Safari Bar era l'elettrodomestico meno importante, dietro al capolista Frigo verticale delle Tusker, al Bottle Cooler della coca cola e alla "new entry", il minuscolo generatore regalato a Kibonge da un nipote, che lo aveva a sua volta preso in prestito definitivo (modalita' parecchio in uso a Malindi) dal suo datore di lavoro padovano. A Kakoneni si guardava al ritorno dei turisti, alla prossima stagione di vacanze, alla riassunzione di tutti i compaesani licenziati dagli hotel e dalle attivita' straniere della costa.
La vera grande coalizione da allestire, da quelle parti, era quella per la semina e la raccolta del mais a fine marzo, il mese piu' importante dell'anno, quello che avrebbe dato da mangiare a tutti per i prossimi sei mesi.
"Non abbiamo abbastanza soldi per la semina" disse nonno Kazungu.
"Tu non ne hai abbastanza – specifico' Kamongo – perche' hai tanti acri di terreno"
"Certo, e offro da mangiare alla maggioranza degli abitanti di Kakoneni, anche a una decina di componenti della tua famiglia" ribatte' il vecchio.
"Io ho sempre pagato i sacchi di mais offrendo in cambio parte del mio raccolto di pomodori – sbotto' Makotsi – ma quest'anno non li vuole nessuno, vogliono solo soldi e i soldi non ci sono"
"Le sementi costano...sono aumentate" respiro' Kibonge.
"E allora vi mangerete la polenta senza condimento"
"E tu ti farai dei gran sughetti in un catino, cosi' ci sguazzerai dentro, ti ci laverai coi pomodori!" rise Kamongo.
"Dobbiamo unire le forze – disse Kazungu – iniziamo a raccogliere il denaro necessario per la semina, poi lo divideremo in base agli acri di ognuno e quando il mais sara' pronto lo distribuiremo a secondo dei fondi elargiti e della merce da scambiare"
"E il lavoro dei singoli?" chiese Onesmus, lo scansafatiche.
"E l'usura dell'aratro?" Kibonge.
"E il nutrimento delle vacche?" Makotsi.
"E i sacchi di juta?" il piccolo Kitsao.
Nonno Kazungu per un attimo penso' che sarebbe stato il caso di telefonare a Koffi Annan o, in alternativa a Baba Hakili, il mediatore di Marafa, suo amico d'infanzia.
La crisi del mais era appena iniziata, ma nessuno intendeva risolverla velocemente. Ognuno pensava ai suoi interessi.
"L'anno scorso oltre ai pomodori io ho messo anche gli spinaci" gridava Makotsi.
"E io ho perso una vacca per sfinimento..." oso' Kamongo.
"I miei acri sono stati ridotti per ospitare nuovi bambini all'oratorio" reclamo' il prete.
In quel mentre entro' al bar Kadenge Davide, il beach boy.
"Ragazzi, nonno, reverendo...ho i soldi per la semina! Me li ha dati una signora italiana con cui ho...."
"GRAZIE! – interruppe premurosamente il prete – non vogliamo sapere i particolari di questa generosa donazione...come dividiamo questi soldi?"
"Ci pensera' il nonno!" disse Kadenge Davide.
"La solita dittatura..." commento' Makotsi, alzandosi.
"Decide sempre chi ha i soldi" disse Kamongo.
"Da che pulpito..." fece Kibonge.
Nonno Kaznngu sorrise al nipote, si alzo' in piedi e osservo' uno ad uno la grande coalizione di Kakoneni. Anche quest'anno avrebbe vinto il buon senso, la fame avrebbe trionfato sull'egoismo.
A Kakoneni l'eterna aria di polenta era da sempre piu' importante di qualsiasi altro effluvio passeggero.
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