La storia del genere umano e, probabilmente, anche il più breve e insignificante dei percorsi di ogni singolo individuo, ci insegnano che per cambiare rotta, per migliorarsi, per prendere una decisione netta e sicura, bisogna prima attraversare una tempesta.
Ci vuole uno shock, un avvertimento, un segnale del cielo o degli inferi.
Così potrebbe essere stato per il Kenya. L'aura di Paese tra i più pacifici e sereni dell'Africa e anche del mondo (in quasi cinquant'anni di indipendenza, mai un accenno di guerra civile, mai un governo militare, mai rilevanti tumulti di piazza), la consapevolezza di un luogo in cui non girano armi, in cui la criminalità è un fatto isolato e soprattutto non ancestrale, ha subito un brusco tracollo all'inizio dell'anno. E' bastato un litigio, un vuoto di potere, una rivolta dei sobborghi, come alla vigilia della rivoluzione francese. Nessuno in questa tranquilla Nazione aveva mai tentato di negare il concetto di Jamhuri, di Repubblica. Senza mai chiedersi cosa fosse veramente la libertà (ma perché, noi occidentali lo sappiamo?) nessun keniota aveva mai conosciuto l'anarchia, la ribellione estesa e sfociante nel caos. Forse anche per questo motivo l'effetto è stato devastante, ancorché risibile rispetto ai dati delle sommosse che ogni giorno, da anni, sconvolgono il nostro vecchio globo. Quando non te l'aspetti, ogni singolo abuso, ogni capanna bruciata, ogni bambino caduto durante gli scontri, è un grido di dolore di un intero mondo.
E se il mondo ti sta guardando, quelle grida sono amplificate a dismisura e ti tornano indietro come un eco impietoso e distorto che entra nelle vene e scuote le coscienze.
Ecco perché il Kenya e chi ci vive oggi non può ignorare né dimenticare, ma si sente più forte e consapevole.
Tutti abbiamo capito che la serenità, la pace, il benessere mentale che abbiamo imparato ad assorbire come un medicinale da inalare, presente nell'aria, fino a respirarlo come fosse parte della natura, è un bene prezioso da salvaguardare, perché è il segreto stesso della meraviglia di questa parte d'Africa.
Il sorriso con cui si viene accolti e che ricambiamo d'istinto, i ritmi del vivere, il calarci in una realtà povera e minimale, l'aiutare senza pretendere nulla in cambio… gesti e modi naturali che tornano ad essere l'essenza dell'integrazione, ma che possono dotarsi di una marcia in più: la consapevolezza.
Così da manna caduta dal cielo, da regalo di un dio primordiale e sorridente eternamente sdraiato su un'amaca, oggi consideriamo la bellezza, la spensieratezza, il rilassante "mood" del Kenya come qualcosa che (senza troppo affanno) ci dobbiamo guadagnare ogni giorno.
Ecco che tutto questo si traduce in fatti: impariamo a tenere di più al nostro presente per costruire un po' di futuro in un Paese in cui "vivere alla giornata" è sempre stata un'arte.
Si muovono in questo senso gli imprenditori, gli operatori turistici, buona parte dei governanti.
Ci sono investimenti importanti, promozione mirata, aperture a nuovi mercati, accordi fino a poco tempo fa impensabili.
Ecco la direzione da intraprendere, la giusta rotta che la Nave-Kenya ha ritrovato dopo le minacce della tempesta più grande della sua breve traversata nell'Oceano della storia.
Ecco perché, se passeggiate per Milano, Roma o altre città d'Italia, potete vedere un leone ruggire su un autobus, la spiaggia di Watamu in metropolitana e le nevi del Kilimanjaro allo svincolo dell'autostrada. Ecco perché vi potete tuffare per una manciata di secondi in mezzo alla savana dalla poltrona di casa vostra, davanti alla televisione.
Sulla Nave-Kenya si rema tutti nella stessa direzione, e anche questa è una prima volta.
Speriamo che questa grande voglia di coltivare la meraviglia, di curare il nostro convalescente paradiso, diventi una costante e non sia un rimedio "una tantum".
Perché un'altra, spiacevole, verità riguardo alla natura dell'uomo, è che egli è capace di dimenticare in un giorno quello che, per imparare, ci ha messo una vita intera.
(da www.malindikenya.net)
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