Molte delle storie che, da trent’anni a questa parte, si sentono raccontare a Malindi, sono lontane dal vero almeno quanto Malindi è vicina all’Europa.
Certi luoghi sono come le persone: nascono con un determinato DNA e mantengono nel tempo inalterate le proprie caratteristiche primarie, calamitando anime e situazioni che fanno parte del loro stesso mondo.
La Malindi bianca, nella fattispecie quella italiana, dopo pochi decenni dal suo sviluppo, è già ammantata di leggende minori (ma non per questo poco interessanti), di piccole mitologie, di un’aneddotica tutta particolare.
Lo scrittore e umorista Stefano Benni afferma che siamo soliti passare metà della vita a deridere quello in cui gli altri credono e l’altra metà a credere in ciò che gli altri deridono.
A Malindi non c’è questa dicotomia, perchè il tempo è suddiviso in migliaia di minuscoli frammenti: inutili, meravigliosi, insignificanti, speciali fotogrammi di pellicole che si srotolano e spesso si intrecciano, per mescolarsi infine alla storia e alla crescita stessa di questo luogo d’incanto.
Istantanee che, ritagliate e messe in sequenza, possono dare vita al lungometraggio più strano e affascinante mai visto, ma potrebbero anche creare un “mostro” dalle molteplici teste (e che teste!), tante quante sono le storie dei muzungu che ci vivono e ci hanno vissuto.
Ogni testa una vita, ogni vita una storia.
Storie di immagini diventate favole, semplici azioni trasformate in gesta eroiche, comunissimi episodi in leggende grazie a straordinari lavori di taglio e cucito, gonfiaggio e ingrassaggio, trucchi e lifting.
Grazie soprattutto alla scenografia in cui sono ambientate.
Siamo consapevoli protagonisti di un irreality show, ci muoviamo in una Bollywood senza cineprese, in un set senza games, attendiamo un match-ball da sogno nel torneo “open” in cui un maestro di tennis in pochi anni può diventare un imprenditore miliardario, un imprenditore miliardario può diventare estetista e un pensionato ultraottantenne può farsi la fidanzatina del suo compagno di tressette.
Sarà l’Africa.
L’Africa, terra d’intrighi e di vicende inverosimili, di esploratori persi nella jungla e ritrovati in un Lodge (“pensavamo fosse morto e invece è Resort”), di guerrieri pacifici e minoranze efferate, a forgiar gli avventurieri, incoraggiare i volonterosi e ispirare i contaballe.
Sarà il Continente Nero di Karen Blixen, Wilbur Smith, Diego Abatantuono e Anna Falchi (..!) e del Doctor-Livingstone-I-Presume, a coltivare nuovi romanzieri da bar e vecchi viaggiatori alla Fogar (altro che Chatwin…).
Sarà la costa keniota dei Vecchioni e delle Melandri, di Flavio e di Naomi, di Boldi e di Arnoldi, a confondere la poesia con la mondanità, il relax con il business.
E a creare il business del relax.
Qui può capitare che le ONG (Organizzazioni Non Governative) diventino OGM (Organizzazioni Genetica-mente Modificate), che il No Profit si trasformi in Up Profit, i viaggi Low Cost in disagi “Quantomicost?” e la Via Delle Spezie nel Viagra Degli Ospizi.
A Malindi la medaglia non ha rovescio, o meglio ce l’aveva l’ultima volta che l’abbiamo vista, prima che qualcuno se la portasse via.
Vero e falso si sovrappongono e quasi coincidono: se A è uguale a B e B è diverso da C, prima che A si accorga di essere diverso da C, arriva D che gli spiega l’ABC e propone la sua verità.
Non solo Aristotele, ma nemmeno Pirandello ci avrebbe capito una mazza; figuriamoci gli Osvaldi e i Lamberti capitati quaggiù…
Ed è questo il bello di un luogo in cui ognuno può inventarsi la panzana che preferisce essendo sicuro che verrà smentito a priori.
Che senso avrebbe raccontare il vero?
Chissà mai, anzi, che la menzogna creata ad arte sia l’unico antidoto per salvaguardare i propri interessi e la propria dignità.
Non a caso a Malindi potete incontrare i migliori architetti d’Italia, tutti allievi di Renzo Piano e nipotini di Alvar Aalto, fior di ingegneri aerospaziali che per voi si accontentano di costruire ville da sogno (che infatti, da lontano, somigliano a mini hangar di aeroporti…) investitori e broker mega-laureati alla Bocconi e masterizzati negli Stati Uniti (che quella keniota sia la loro copia pirata?).
Ma allo stesso tempo, spuntano dal silenzio del sottobush professionisti che viaggiano a fari spenti, specialisti che non amano farsi troppa pubblicità, gente che fa del bene e crede sia un male farlo sapere in giro.
Umili, modesti, forse saggi.
Non gli si darebbe uno scellino, a guardarli.
Anche perché loro, in controtendenza, non ne chiedono.
Non fanno rumore, non danno fastidio, non sporcano e si integrano così bene nella natura africana che potrebbero mimetizzarsi con un baobab o un varano.
Che strano vederli sfilare accanto a chi invece riesce a vendersi alla grande, a chi diventa tuo amico in una settimana e tuo nemico solo in sede legale, a chi ha capito Malindi e te la spiega, a chi se l’è fatta spiegare e non ha capito, a chi ti propone l’affare del secolo, a chi ti rifila la fregatura dell’anno, a chi ha investito e non si è fermato, a chi è stato investito e non si sono fermati, a chi vorrebbe costruire una discoteca al Parco Marino, a chi è convinto che a Malindi manca un locale alternativo, a chi a Malindi non dà alternative ai locali, a chi fa solo progetti che scadono ogni novantanove anni, a chi fa novantanove progetti in un anno, a chi è il migliore nel suo campo, a chi non è male nemmeno nel campo degli altri…a chi… aaaa…aaa chi sorriderò se non a te.
(fine prima parte)
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