Prendere o lasciare, questa è l’Africa, signori!
Il regno degli animali, d’ogni tipo.
Qui accadono cose che hanno parallelismi solo nel mondo delle barzellette (ci sono un inglese, un indiano, un keniota e un italiano…) o nei racconti per fare addormentare i bimbi (quelli che anche i più piccini prendono sonno non tanto convinti delle balle che spara papà): ogni cacciatore italiano presente in loco ha ucciso almeno venti leoni e cinque rinoceronti, sessanta bufali e un paio di ranger, rischiando la vita più di chi viaggia in matatu.
Gli istruttori di diving vantano decine di record mondiali di apnea mai omologati (per paura dell’antidoping?), alcuni di loro hanno tentato la traversata dell’Oceano Atlantico in groppa a una manta di sette metri, altri hanno fatto l’amore tra le perle della Micronesia con una gnoccolona a scelta tra Elisabetta Canalis, Monica Bellucci e Sofonisba Pelagalli detta “Biba” (un’amica loro a cui piace “farlo strano”).
La “Biba” ovviamente salta fuori solo quando con le prime due non attacca: “Ma come, non conosci la Biba…hai presente la Bellucci? Spiccicata!”
Poi arriva quello bravo davvero che ti offre da bere, ti propone lo snorkling a Watamu e in confidenza ti rivela: “Ho preso il patentino da turista a Hurgada, d’inverno mi sono perfezionato in piscina a Settimo Torinese, ho fatto un corso di salvataggio nel lago d’Orta con la Croce Verde e da tre anni sono qui”.
Il turista (dopo aver finito la birretta), nove volte su dieci risponde: “Grazie, ma ho già prenotato le immersioni con l’ex fidanzato della Canalis…”
Sfilano, su un grande palco di corallo e galana, chef executive che hanno messo radici a Malindi perché ancora non hanno capito il segreto della bontà delle samosa di Jabreen, tour-leader che hanno portato a spasso i più importanti politici e uomini d’affari del mondo e oggi hanno a che fare con gli incentive dei gommisti di Bitonto e dei ferramenta di Belluno, ex fotomodelle col cervello iperattivo che si trastullano per sei mesi all’anno a Watamu perché dicono sia l’unico rimedio contro lo stress, ma in realtà hanno scoperto come ricavare il botulino liftante dal red snapper.
Avete mai sentito parlare un qualsiasi pseudo-artista italiano a Malindi?
Autocelebrativo, autostimato, autosbrodolante, automunito (questo è un pregio, almeno non dovete riaccompagnarlo a casa dopo avergli offerto la cena).
Trattasi sempre di uno dei pochi geni (incompresi) del pianeta, capitato a Malindi soltanto perché l’Africa lo ha stregato.
L’Africa lo ha stregato e lui vive a Malindi?
Come mai non nel Serengeti tanzaniano o nella meravigliosa Namibia, in mezzo ai colori irripetibili del lago Turkana, tra l’ammaliante musica del Mali o nella magia dello Zambesi?
Voleva una città crogiuolo di razze, migrazioni, melting pot, stimoli, tracce umane?
Voleva fermento culturale?
Perché allora non a Youndè, a Lusaka, Cape Town, Luanda, Maputo, Dar Es Salaam, al limite Nairobi?
Forse voleva solo Fermento?
Sarebbe come incontrare oggi in Italia uno dei più grandi poeti viventi americani e scoprire che risiede a Cinisello Balsamo perché si è innamorato della nostra bella Penisola.
Può capitare, per carità, ma lo vedremmo meglio a Lerici, Stintino, Sorrento, Vieste, Capalbio, o in città come Venezia, Firenze, Bologna…a meno che quel che ama dell’Italia non sia l’ottimismo dei discount e quello delle nigeriane in tangenziale…
Insomma, gli artisti che abbiamo in casa sotto il tetto di makuti ce li invidia mezzo mondo e bontà loro restano qui a farci compagnia e a trasmetterci un po’ della loro cultura.
Pensate che fortuna, guarda caso la loro arte è anche in vendita!
Tanto per fugare ogni dubbio e fare un esempio, sappiate che l’autore di questo libro è un giornalista fallito; non è mai riuscito ad approdare in pianta stabile a un quotidiano nazionale, a un settimanale europeo o a un mensile mondiale. Ha provato a fare il cantante ma non era abbastanza intonato, l’attore ma non era carismatico, il cuoco ma si mangiava tutto.
La sola alternativa rimasta era trasferirsi a Malindi, dove ancora oggi può campare spacciandosi per intellettuale e spacciando libretti demenziali.
E’ l’unico posto in cui fa la sua porca figura e si mantiene.
In realtà lui detesta l’Africa, sognava di vivere in periferia di Verona: è classista, sessista, ballista, barista, narcisista, boccadorista, piazzista, forzista, avventista, fu-turista ma non lo è più.
Non apprezza la natura, odia il mare e la frutta tropicale. La sola cosa che adora dell’equatore è la zanzara anofele.
Bando alle ciance!
Per fortuna la clownerie da queste parti ultimamente è in forte calo, bisogna comunque ringraziare le mascherine di cui sopra: proprio perché a Malindi esistono personaggi così, e rimangiarsi le parole qui non provoca indigestioni, al loro fianco si muovono con lo stesso passo cadenzato fior di artisti originali e meritevoli di considerazione (i migliori sono quelli che non sanno di esserlo) e menti libere, splendide, geniali.
Qui si ha il tempo per scavare un po’ più in profondità, cercare l’anima delle persone, stanare i narcisi e scoprire i puri, valutare e trarre le proprie conclusioni.
Insomma, se a Malindi non ci fossero gli uni, non ci sarebbero nemmeno gli altri e tutte le teste pensanti, le bocche parlanti e le vite presenti concorrono, nel bene e nel male, a creare immagini, istantanee, frammenti di storie che diventano film.
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