domenica 18 settembre 2011

KARIBU ANITA TAMU!


Non credevo che in vita mia avrei avuto un figlio, figuriamoci due. Benvenuta Anita Tamu, “karibu” come si dice nel luogo in cui sei nata. Non ti abbiamo cercato ma io e la mamma siamo molto felici che tu sia arrivata. Un po’ perché entrambi abbiamo una sorella minore, un po’ perché i figli unici ci sono sempre stati sulle balle. Credono di essere gli unici al mondo come lo sono stati per mammà e il luogo comune secondo cui sono un po’ viziatelli e permalosi, è un luogo comune…ma è vero. Piccola Anita, la grande Agata ti ha accarezzato ieri dall’alto dei suoi due anni e mezzo e diceva “sono grande, io…guarda che piedi piccoli Anita”.
Diventerete grandi amiche. Di più, inseparabili.
In un mondo sempre più individualista, sempre più egoista, questa è già una gran bella cosa.
L’altra, a mio modestissimo parere, e che vi amo.

giovedì 8 settembre 2011

UNA FAVOLA ROSSOBLU PER ANITA (che non volle nascere il 7 settembre)


Nascerai in settembre, come un mio grande amore
Piccola Anita mia, che ti muovi con ardore
Nel ventre di tua madre fai le tue evoluzioni
Son giorni d’ansia e attesa, di sogni e sensazioni
Amore del mio amore che hai dato il tuo segnale
Io ti aspettavo oggi in un giorno un po’ speciale
Il 7 di settembre è un grande anniversario
Di quelli che da sempre segno nel mio diario
Ma non ti fare un cruccio, arriva quando vuoi
Prendi tutto il tempo, lo recuperiamo poi
Per vivere e conoscerci, proteggerti e cantare
Avremo giorni interi, di sole, pane e mare
Se fossi nata oggi, il tuo secondo nome
Come per tua sorella, lo avrei chiesto al Grifone
Ma tu sei nella pancia e non sei ancora pronta
Ascolta questa favola, che il babbo ti racconta
E’ la storia di una fede che ho dentro, dolce Anita
Che festeggiamo oggi e da un senso in più alla vita
Hai un mondo da scoprire, nuova figliola mia
Io guardo spesso indietro, con molta nostalgia
Sarai tu il mio futuro, la mia grande speranza
Che con entusiasmo e gioia prosegua questa danza
Quel che festeggio oggi iniziò quand’ero bimbo
Non proprio come te che sei ancora dentro un limbo
Un giorno capirai, quando per mano al tuo papà
Entrerai nel Tempio ed insieme si urlerà
“Coi pantaloni rossi e la maglietta blu”
Agata ed Anita, sarete la mia gioventù
Ascolta Anita questa storia
Che ti narra la mia memoria:

Quando il pallone era un pallone
Non un puntino in televisione
Non c’erano tessere per i bravi tifosi
Solo bandiere, fumo e cori festosi
Quando la gradinata non era coperta
E per me fu la più grande scoperta
Più del primo hashish, della prima media rossa
Il treno da Savona, la sciarpa della Fossa
Il cuore già batteva in Borgo Incrociati
Vedendo le finestre e i balconi imbandierati
Il sogno di un bambino che ha scelto una fede
Frugava dentro il petto, cercava la sua sede
Battemmo l’Atalanta, segnò di testa o’Rey
La passione confondeva tutti i sogni miei
Gli anni erano piombo sparato dritto al cuore
Le lotte nelle piazze, nel Tempio solo amore
Come un operaio, la domenica in corteo
Lo sguardo di Guevara, la grinta di Arcoleo
Le marce studentesche con la sciarpa rossoblu
La musica di Strummer, di Marley e degli Who
Col Rimini la festa, salimmo con Simoni
Onofri capitano di undici grifoni
Uomini comuni, non eroi da venerare
Che incontravi al bar o sul lungomare
San Siro quell’estate era Bob in centomila
D’inverno per il Grifo due pareggi di fila
Ma quante sofferenze in un età stupenda
Il primo grande amore, la salvezza con Faccenda
Fratelli del Vesuvio, si resta in serie A
E cambia la mia vita ‘nte ‘na Creuza de mà
Amar sempre più Zena, tra musica e poesia
Far parte di una storia che diventa anche un po’ mia
Piangendo Berlinguer e una prematura morte
Il pari di Firenze, imprecando per la sorte
Si torna tra i cadetti, a contestar Fossati
Il sesso dietro ai banchi nei licei occupati
Vent’anni sono pochi, ma tante le trasferte
Trieste e Campobasso, in auto le coperte
Si rischia lo sprofondo, la Nord non molla mai
Fino all’esodo di Modena che ci toglierà dai guai
L’Italia sembra nuova, il mondo un po’ migliore
Trema il muro di Berlino, arriva il Professore
Vincenzo, poi Gianluca, e Stefano e Gennaro
Lo spogliatoio unito, un popolo corsaro
In migliaia a Monza e Brescia, e a San Benedetto
A Udine ed Ancona, due volte sullo Stretto
Con Scoglio è promozione e arriverà anche Pato
Il Genoa uruguagio ci farà perdere il fiato
Intanto cade il comunismo, se ne vanno gli ideali
Solo stare nella Nord ci fa sentire tutti uguali
Divorzia il mago eoliano, e siamo un po’ più soli
Ma arriva il grande Thomas e l’umile Bagnoli
Nell’anno dei ciclisti mandiamo cartoline
Le francobolla Branco, nel derby a lieto fine
Il quarto posto rende meno amaro lo scudetto
dei biondi ossigenati in gaio siparietto
L’Europa siamo noi, lo scopre anche la Kop
Ma l’avaro di Spinelli, al sogno dice stop
Rivede tutti i premi, si venderà i migliori
L’Osvaldo ci credeva, e invece son dolori
Esplode tangentopoli e Craxi scappa via
Manderemmo o Sciò Aldo con lui in Tunisia
Stagioni sottotono, di Giorgi e di Marchioro
Di Johnny e Tommasone, ci salveranno loro
Venduto anche Panucci, si piange Fortunato
E arriva l’anno amaro, con tutto di sbagliato
Saremo noi a pagare, per mano di un infame
L’assurdità di un tempo di bastardi con le lame
E’ morto Claudio Spagna, fottuti milanisti
Il circo tira avanti, con i suoi moralisti
Gianluca il capitano, ritorna in campo e grida
La rabbia di quegli anni, verso una nuova sfida
Sotto la gradinata nord con quel pugno alzato
Il nostro condottiero non verrà dimenticato
Firenze ci condanna, col Padova ai rigori
La pioggia lava il pianto di ventimila cuori
E intanto scende in campo, l’unto dal Signore
Col Milan vince tutto e inganna l’elettore
Lui svenderà l’Italia, noi regaliam Montella
Lo prendono i ciclisti, e brilla la sua stella
Sono anni grigi e austeri, di palazzinari
Di accordi con la mafia, di politici magliari
Il destino prende Faber, poeta e cantautore
Anarchico di testa e rossoblu nel cuore
Vattene Spinelli, uniti noi gridiam
E quello vende tutto, si pensa ai maniman
Finisce il Novecento, al peggio non c’è fine
Col burattino Scerni, Mauro e le ballerine
Arrivano da Fermo, fan saltare Delio Rossi
Poi salta pure il banco e son problemi grossi
Tra ras di Montecarlo, i cani e gli sceicchi
Sogliano che ci prova ed altri finti ricchi
Al governo torna il nano e il mondo vira a destra
Il sangue scorre a Genova, non basta la protesta
Dimenticare è un virus che han preso gli italiani
Per noi vivrà per sempre il ragazzo Carlo Giuliani
Ci aggrapperemo a Scoglio, che porta i tunisini
L’estate è molto calda, ma in autunno siamo primi
L’attacco delle torri,tra i dubbi e la paura
Ci porta in un sistema in cui manca la misura
Il pellerossa Nube è tutto fumo e niente arrosto
Non paga gli stipendi, poi se ne sta nascosto
Poi il prof ci lascia soli con la sua favola africana
A urlare che la mamma di Canal è una puttana
E noi piangiamo Edo, solo il cielo sa perché
C’è il fantasma di Edy Reja, Onofri siam con te
Tifoso e allenatore, con Picchia suo fratello
Niente soldi, solo cuore ma la sorte è un coltello
Colpisce come il male che porta via Fabrizio
Si sfalda un altro sogno, davanti a un precipizio
Col prode Scantamburlo, senza una società
Con arbitraggi contro e una squadra da pietà
Vicini al fallimento, con le lacrime sul viso
In migliaia col Cosenza e i pensieri su a Treviso
Il businessman Preziosi ci acquista a costo zero
Ci chiede di sognare e sembra anche sincero
La realtà è che andiamo in C e veniamo ripescati
Donadoni poi De Canio non ci hanno sollevati
Novembre è un mese triste, Gianluca vola via
Lo porta al terzo piano un’assurda malattia
Dall’Argentina un Principe illumina l’inverno
Si accende nuova luce nel nostro amore eterno
A giugno grandi acquisti del giocattolaio
Dal Como martoriato arrivan Tizio e Caio
Ecco Serse Cosmi che aizzerà la folla
La squadra è pure buona e scatterà la molla
Voliamo soli in vetta, con Milito e con Stellone
Ma in primavera scricchiola qualcosa nel Grifone
Sembrava tutto fatto…ma la nostra storia è questa
Tra mercenari infami si prepara la tempesta
Iachini fa il bastardo ma col Venezia son tre punti
Dopo dodici lunghi anni, in A saremmo giunti
Il bagno in De Ferrari ci illude in centomila
Una vicenda oscura all’inferno ci rifila
Sarà una valigetta e un’indagine doriana
A mandarci in serie C dopo qualche settimana
Il Genoa c’era un tempo, e sempre ci sarà
Ci rapiranno i sogni, ma torneranno qua
L’inferno conosciamo, e anche il purgatorio
Ormai sappiam distinguere la merda dall’avorio
Per questo continuiamo a tifare in ogni stadio
Quell’anno io ho sofferto da lontano, alla radio
Pensavo ai miei fratelli a Busto Arsizio e Giulianova
Con l’orgoglio e l’amicizia si supera ogni prova
Due feste promozione in altrettanti anni
Ci han dato grandi gioie e tolto dagli affanni
Sarà che son più vecchio, saran questi anni amari
Ma non ho più fatto il bagno in De Ferrari
Siamo tornati in A e di questi anni non ti canto
Li scoprirai da te, che non cambiano più tanto
Mi sono divertito col Gasp più spumeggiante
E il Paese mio affondava con Silvio l’arrogante
Ho sognato anche la stella col ritorno di Milito
Ma quando lo ha venduto con Thiago, ho capito
La fede non è un gioco, è una cosa superiore
Non c’entra col pallone o con un bravo giocatore
E’ avere dei fratelli e una filosofia comune
Dividere passioni, pensieri e anche sfortune
Ti ho scritto questa storia per farti appassionare
A una cosa antica e pura che ancora fa sognare
Genoa si chiama, ma puoi chiamarla Vita
Un briciolo di eternità in un’epoca finita
C’era prima di noi e ci sarà anche dopo
Non avrà padroni, è una fede senza scopo
Vuol dire appartenenza, rispetto e fratellanza
Anita mia ricorda, è questa la speranza
Sapere che c’è gente, che ha il tuo stesso cuore
Che vive e che combatte in nome di un valore
Sei benvenuta piccola in questo mondo storto
Se vivi genoana, non potrai mai avere torto.

lunedì 5 settembre 2011

IL GROSSO GEKO IN MUTANDE (una storia vera)


Bahari Beach Hotel, Mombasa. Otto di sera. Un uomo grasso è solo nella suite dell'albergo. Moglie e figlia sono nella terrazza del ristorante e lo attendono. La camera ha una piccola veranda che offre un fazzoletto di vista mare e si affaccia su un giardino comune ad altre stanze. L'uomo grasso si è appena fatto la doccia e si sta preparando per uscire. Fuori è buio. Mentre indossa le mutande e identifica con gli occhi la camicia, cerca in giro le scarpe. Non le trova. Alla veranda si accede tramite una porta-finestra a vetri, nascosta da grandi tende bianche. L'uomo grasso pensa che potrebbe avere lasciato le scarpe fuori, ma non vuole aprire la porta-finestra perché sa che entrerebbero parecchie zanzare. Così scansa una tenda e si affaccia alla porta-finestra, in mutande, per cercare con lo sguardo le scarpe. Fuori è buio e l'uomo si accorge di riuscire a vedere oltre la porta-finestra solo se fa ombra con il suo enorme corpo. Quindi si mette in posizione, appiccica la pancia contro il vetro e alza una gamba per sistemare l'ombra in direzione del pavimento. Sembra Renato Pozzetto in una scena di una commediola italiana fine anni Settanta. L'uomo ripete l'operazione a sinistra, schiacciato come un geko. Non sembrano esserci scarpe in veranda. Fa ancora due o tre mosse del genere, utilizzando gambe e braccia, spostando il grosso ventre e roteando la testa verso il basso. Ad un certo punto, istintivamente, alza la testa e si accorge che c'è un askari, la guardia notturna africana, di fronte a lui che lo sta osservando, probabilmente da parecchio tempo. In quella situazione, all'uomo non resta che salutare e sorridere, con il braccio appiccicato al vetro. Anche la guardia saluta. L'uomo ha grande esperienza d'Africa e del suo popolo, ma questa volta non riesce proprio a immaginare cosa possa avere pensato l'askari, tra simbiosi con rettili o accenni d'autoerotismo. Di sicuro qualcosa di simile a: "questi bianchi sono strani...strani forte".

domenica 4 settembre 2011

LENNY IN BIANCO E NERO MI HA GABBATO UN’ALTRA VOLTA

Scaricare non costa nulla, ma il tempo è denaro. Dopo questa equazione decido di scaricare nel sonno l'ultimo album di Lenny Kravitz, "Black and white america".  Che quando sono buoni li vado a comperare lo sapete, ma lui mi ha già fregato un paio di volte, in passato. Eccoci: se il titolo è promettente e la copertina (scaricata anch'essa)  mostra Lennino da bimbo a una manifestazione per i diritti dei negri ricchi ed ebrei con tanto di simbolo della pace disegnato in faccia, dopo l'ascolto della title-track esclamo: "Epperò" e ci aggiungo montagne di cazzi esclamativi. Allora l'America in bianco e nero è proprio quella che speravo di riascoltare...quella del grande Gil Scott Heron, della black music anni Settanta, tardo motown per intenderci. Chiaro, Lenny ripropone, rubacchia, clona. Ma nei primi due album, ispirati al rock settanta un po' psichedelico analogico lo aveva fatto bene, insomma ci eravamo cascati in tanti...poi via via si era infighettato e aveva seguito la corrente del golfo, quella piena di petrolio merdoso. Niente da fare, pure se sei ricco di famiglia, il successo ti fotte. Poi quando ti trombi Nicole Kidman (dopo Vanessa Paradis...) si sarebbe liquefatto pure Peter Gabriel. Ma stavolta, a vent'anni di distanza...dai che Lenny è tornato quel buongustaio che ti ripropone la ricetta vincente, senza usare la panna né il burro (sodomizzante, s'intende).
Allora il primo pezzo dicevamo, viaggia...tappetone black con fiati e il synth che non stona, anzi ricorda proprio gli sperimentatori alla Gil. Passo al secondo, e l'atmosfera si fa rock ma ancora piacevole. Ed ecco che già con "In the black" s'intrasente la presa per il culo...via via che trascorrono le tracce ecco che torna il Kravitz di sempre, quel simpatico quarantasettenne rincoglionito che però mortacci sua sa suonare. E ti frega, perchè Liquid Jesus si fa ascoltare, "Looking back in love" la metti nel piatto (come si diceva una volta, ma anche come si rifanno le ricette burrose oggi) e viaggia notturna come un solstizio. Però ti sei dovuto sciroppare una melensa e inutile "Superlove" e la marchettona con Jay Z e un altro rapper della minchia. Per non parlare di "Faith of a child" in cui il grande imita se stesso che imitava marving gaye quando era triste triste e non ci aveva grandi idee.
Eccolo lì, insomma, il solito marpione di "It ain't over". Dice che la musica deve essere emozione, trasporto, che non ci devi pensare troppo sopra. O ti piace o ti fa cagare. Son passati vent'anni e non ho ancora capito se Lenny Kravitz mi piace o mi fa cagare, e se l'emozione mi trasporta al cesso o altrove. Intanto mi ha gabbato alla buona. Per fortuna lo scarico è scarico. Il computer lo sa, e il wc pure.