martedì 25 novembre 2014

LA PENNA DI THOMAS MANN

Ed ecco apparire, dal nulla piacevole dell’inaspettato, una bellezza conturbante del tutto simile a Sara. Aveva lunghi e soffici boccoli neri, due occhi così grandi e chiari che ci si scorgeva il golfo di Surriento dall’alto di un elicottero, il seno timido e i fianchi generosi, gambe sottili e affusolate e una voce… incredibile, aveva una voce tutta sua!
“Non avrebbe una penna da prestarmi?” gli sussurrò.
Un po’ sconcertato per il  lei, estrasse immediatamente una biro argentata e la porse emozionato e ossequioso fino al ridicolo.
Lei compilò un modulo, lui rimase al suo fianco quasi indiscreto, in contemplazione. Appena ebbe finito, voltandosi, se lo ritrovò a non più di venti centimetri, preso da improvvisa lalofobia.
Raccolse i pensieri e quel briciolo di dignità rimasta e filastroccò impostando la voce: “Mi…mi ha colto la fervida angoscia che avverte l’uomo sensibile quando scorge un simbolo della bellezza eterna”
Lei abbozzò un sorriso di maniera e lo squadrò stranita, con la biro in mano.
“Non è mia… è di Thomas Mann” precisò, per evitare la propagazione del silenzio.
“Lo ringrazi da parte mia” gli disse, restituendogli la penna.
La vide allontanarsi con lo zampettio di un fenicottero.

Ad essere sinceri era vestita da provincialotta in gita nella metropoli e aveva il culo grosso.
(da "La Schedina di Gaetano") 

domenica 16 novembre 2014

DA MESCALINA.IT (recensione di Laura Bianchi)

Due amici, gli anni dell’adolescenza, un calciatore entrato nel mito, commedia, tragedia, atmosfere agrodolci, battute fulminanti, e, in sottofondo, molta musica.

Nel suo ultimo romanzo, La schedina di GaetanoAlfredo Del Curatolo, alias Freddie, a due anni da Safari bar, convincente esordio da romanziere dopo decenni a scrivere di tutto, da canzoni a saggi musicali, fino a vademecum per turisti in Kenya, sua patria di adozione, dove vive da quasi dieci anni, affronta un capitolo importante della vita, sua e di molti lettori: quegli anni Ottanta del Novecento, ormai lontani nella memoria, ma così importanti per leggere cosa sia l’Italia e come sia cambiata in trent’anni.

Per un personaggio come Freddie, esuberante, irrequieto, eclettico e appassionato, forever young, deve essere stato difficile, inizialmente, prendere le distanze dal modo di pensare tipico dei giovani, per poi assimilarlo e trasferirlo sulle pagine di un racconto che si incentra sulla nascita e sull’evoluzione del rapporto di amicizia fra due ragazzini, che diventano adulti in un’Italia sideralmente diversa da quella attuale. Il risultato, però, è convincente; Freddie dà voce ai propri ricordi, ma alternandone le voci, attraverso le personalità e le storie dei due amici, e senza incappare nel rischio del ritratto oleografico e nostalgico del “com’era bello ai miei tempi”, grazie ad una prosa tesa, asciutta, incisiva, che illumina del sole dei giorni felici (come ad un certo punto viene definito il passato) le vicende dei protagonisti, ma insieme offre una prospettiva disincantata e lucida.

Le passioni dell’autore sono quelle dei ragazzi: il calcio (Eugenio è fervente genoano come l’autore, Sandro tifa Bologna), la musica (in calce al romanzo c’è un interessantissimo elenco di brani, a mo’ di colonna sonora, per un libro che contiene scene da grande cinema), l’amore (Sandro cerca l’affetto familiare che gli manca in una serie di conquiste, Eugenio intreccia la sua prima volta con i campionati di calcio in Spagna, quelli vinti dall’Italia), le ideologie (Eugenio pensa di impegnarsi politicamente, ma i tempi stavano per cambiare… si era persa la magia del trovarsi tutti insieme), la ricerca di autenticità nell’esistenza (che porta i ragazzi a compiere esperienze estreme, raccontate con incisiva drammaticità).

Ad animare le passioni pensa l’autore, con un intreccio in bilico fra realtà e immaginazione, paradosso e verità, in cui Freddie gusta il piacere di vedere i suoi personaggi gioire per fortune inaspettate (memorabile la sequenza in cui Eugenio realizza il sogno di tutti noi: fare acquisti illimitati in un negozio di dischi…), accendersi di amore per l’icona calcistica di quei tempi, Gaetano Scirea, piangerne la morte, sperimentare dolori, felicità, ansie, vittorie, sconfitte, fino ad un finale sorprendente. 

Il libro si legge d’un fiato, seguendo con trepidazione gli alti e bassi delle esistenze dei protagonisti, in cui palpita, in controluce, un’Italia tanto riconoscibile quanto ormai perduta; e si chiude con un po’ di amarezza, e molte riflessioni, mentre Jimmy Villotti suona sui titoli di coda di un film-romanzo che non si fa dimenticare.

martedì 4 novembre 2014

SPLENDIDO, SPORCO IMMACOLATO GENIO EDDA

Raramente mi scompongo e mi esalto per un artista italiano.
L'ultimo credo fosse Bobo Rondelli.
Ma Edda è assolutamente fuori categoria: oltre ogni canone.
La sua voce, le sue storie, la musica e gli arrangiamenti, le melodie su cui si muove, la sua fisicità, le movenze. E soprattutto la sua originalità e la sua vita vera: sporco e immacolato, sensibile e strafottente, mistico e bukowskiano.
Il più grande personaggio della musica nostrana che c'è attualmente in giro.
Geniale, umano, straordinario.