venerdì 28 maggio 2010

LA TRISTE VITA DEL MIO AMICO ARNOLD


Quando mi dissero che Arnold in realtà era un nano e si chiamava Gary, ci rimasi molto male.
“Nooo, oltre che negro?”
Personalmente, pensai che fosse la giusta punizione, il contrappasso in vita, per aver sognato così ardentemente che Kimberly diventasse una pornostar.
Ero innamorato di Kimberly, e chi a dieci anni non lo era? Bionda e bamboleggiante, come ogni adolescente può desiderare una fidanzatina. Quando la rividi, anni dopo, con un cazzo in bocca e un altro nel posteriore, la trovai molto invecchiata.
Ma la lezione così “politically correct” che anni prima era arrivata da Manhattan, via Bronx, era entrata nell’animo vergine di xenofobia ma assorbente di qualsiasi forma di diversità.
Nella mia classe, alle elementari, c’era una sola bambina di colore, ma come Arnold per gli americani, parlava la nostra stessa lingua. Era italianissima, figlia di etiopi che vivevano a Milano dai tempi dell’obelisco di Axum o giù di lì. Henry, il mio primo allenatore di calcio all’oratorio, che parlava meno bene, invece era somalo. Non appena uno di noi “vedeva” la porta, urlava “dira drenta medri”. Tra i ragazzetti più grandi di me, c’era già chi li prendeva in giro; “cioccolatino…sì ma di merda” era una delle battute più gettonate, oltre alle più minimaliste “scimmia” e “bingo bongo”. A me facevano tanta tristezza. Consideravo che fossero animali in gabbia, esemplari trasportati in un luogo che non era fatto per loro. Così anche Arnold mi metteva la stessa malinconia, o forse anche di più, perché quella gabbia anacronistica della grande casa “bianca” di New York, rendeva il tutto ancora più palesemente sbagliato. Fintanto che non mi avessero fatto vedere come viveva un piccolo milord lentigginoso, adottato da una famiglia di jazzisti tossici di Harlem, avrei preferito Kimberly, anche senza ammennicoli infilati ovunque.
Willis invece mi stava sulle palle. Mi faceva più ridere il signor Drummond, nonostante qualche tirata morale di troppo.
Triste per triste, la vita di Arnold è stata breve ma poteva essere peggiore. Abbiamo avuto qualcosa in comune: siamo entrambi del 1968, siamo entrambi animali in gabbia, siamo entrambi negri.

giovedì 27 maggio 2010

LA CANZONE DEL RISVEGLIO


Non ci sono motivi particolari per cui la canzone del risveglio possa essere “Purple Haze” di Jimi Hendrix o “Chi chi chi, coccocò” di Pippo Franco. Non dipende da quello che si è mangiato o bevuto la sera prima, né da una melodia ascoltata prima di andare a dormire o da una connessione di pensieri strani, shakerati come in un’alchimia chimica.
Chi si sveglia ogni mattina con un motivetto in testa e pochi altri motivi per andare avanti, lo sa bene e sta attento a non farsi condizionare. Sarebbe troppo facile cullarsi in una giornata romantica e sognante, solo perché il cervelletto come un grammofono ha sistemato la puntina su “Love me tender”, così come non è detto che “Back in black” degli AC/DC debba per forza scatenare energia e voglia di spaccare tutto. Anche se può aiutare.
Personalmente, non mi sono mai suicidato, dopo aver fatto la doccia con Jeff Buckley e non ho provato ribrezzo nel lavarmi i denti con Zucchero. Sono momenti da vivere e da accettare, come “Maledetta primavera” a novembre, cercando un senso nella strofa “che fretta c’era”…
Saranno legate ai sogni, a una qualche collusione tra armonie e sensazioni, tra la pentatonica e il vodka-tonic? Saranno transfer di spiriti burloni o le onde notturne emesse dal televisore in stand-by? Di più! Dentro quei ritornelli mentali, che arrivano all’esterno sotto forma di fischietti o tentativi di ricordare per poi macinare e sputare le parole, c’è la nostra essenza, l’instabile equilibrio del sistema nervoso, la varietà di soluzioni dell’inconscio e l’immane, incredibile lavoro della ragione che deve far convogliare istanze, caratteri, esigenze ed espressioni agli antipodi in un atteggiamento il più coerente possibile. La compilation delle canzoni del risveglio dell’ultima settimana, sarebbe qualcosa di improponibile e paragonarla ai gusti di una persona, e pensare che possano influenzarne lo stile di vita, darebbe responsi agghiaccianti.
Chi potrebbe mai mettere su un cd o una chiavetta usb 1. “La canzone dei vecchi amanti” (Jacques Brel) 2. “Ti rockerò” (Heater Parisi, vale la pena ricordare il ritornello: “ti rockerò, ti shockerò, sarò solo la tua pupa rock” 3. Walk this way (Aerosmith & RunDMC, con piedi gonfi e una lieve zoppia…) 4. “Auschwitz” (Guccini e i Nomadi, risveglio allegrissimo!) 5. “George & Mildred” (sigla dell’omonimo telefilm, nella versione italiana, soprattutto la strofa “la mia giovinezza caro George, tu me l’hai rubata ed era solo mia”) 6. Hard Rain (Bob Dylan, chiaramente è un gran bel giorno di sole) 7. “Iris” (Biagio Antonacci, forte la tentazione di andare dallo psicanalista).
Eppure stiamo parlando di qualcosa che ci accompagna lungo tutta un’esistenza, il jukebox mattutino rappresenta l’infinita gamma di cromatismi mentali dell’uomo, le inclinazioni e le frustrazioni, i ricordi dell’infanzia che si mescolano con le sensazioni del presente e le premonizioni riguardo al futuro. Importante è accettare ogni refrain e canticchiarlo allegramente, senza curarsi se ci sia un nesso (terribile) tra “Ho visto un Re” e “Nano nano”, o non rinunciare a partire per un lungo viaggio solo perché ci si è alzati con “Canzone per un’amica”. Non ci si può fare niente, l’unica è sorridere, per se stessi o per il proprio partner che si è destato fischiettando “Ti lascerò”.
Solitamente il juke box dell’anima ha la funzione random con una memoria di milioni di terabyte. Capita, certo, che una particolare canzone ci torturi, tornandosene come quei sogni o incubi ricorrenti e si cerca di eliminarla cantandoci sopra qualche altra melodia. Se il tormentone diventa una malattia, forse è il caso di agire, di andare dove ci porta la canzone. Ho un amico che da vent’anni si svegliava quasi sempre con “Quel mazzolin di fiori”. Faceva il maestro di danza a Milano, ha messo su un vivaio e una serra nel Montefeltro. Ora, finalmente, tagliando orchidee e curando i lilium, fischietta “Balla balla ballerino”.

sabato 22 maggio 2010

MALINDI, ITALIA: "PIACERE, MESTOLO!"

Alberto Sordi, lo sappiamo bene, non ha inventato niente.
Malgrado i tentativi sgraziati o meno di ripulire il retroterra, di fabbricarci un nuovo pedigree di viaggiatori a-là-page, noi italiani rimaniamo sempre i simpatici buffoni che il mondo vede in giro per i paradisi del pianeta.
Cialtroni, volgari, caciaroni, piuttosto ignoranti ma in compenso abbastanza presuntuosi, convinti di avere il Made In Italy da esportare anche mentre siamo in pieno relax e dovremmo solamente assorbire e apprendere.
Hai voglia a inventarti l’eco-turismo, le vacanze solidali…la maggior parte degli italiani continuano a scegliere i villaggi con l’animazione, a mettere il dito sul mappamondo dove c’è mare e spiaggia e scegliere Malindi come fosse Santo Domingo o Phuket.
E se poi non ci vengono non è per il terrore di trovarsi un rinoceronte in camera da letto o di contrarre la febbre gialla, ma perché costa più di Sharm e di Capoverde.
Sulla costa keniota, dove arriva di tutto e di Totti, da Flavietto a Gedeone, da Grillo alle cicalone, la colonizzazione da spiaggia è ormai un fatto assodato. La varia umanità locale che attende i turisti italiani al mare per assalirli festosamente, sa di dover imparare prima i diversi dialetti della Penisola, piuttosto che la lingua dell’Alighieri. Nei mesi caldi, il litorale di Malindi e Watamu è un florilegio di luoghi comuni da far impallidire i Vanzina. E fino a che ci saranno allegre compagnie di vacanzieri che non solo si sganasciano dalle risate al solo sentire un nero keniota pronunciare “mizzega, baciamo le mani a vossia” o “anvedi, me pari ‘na mozzarella de bbufala da quanto sei bianco”, i beach-boys non smetteranno di pensare che ci vuole davvero poco per divertire quegli allegri portatori sani di soldi. D’altronde di cosa si può parlare con questi poveri africani, se non di calcio, donne e barzellette? Vorremmo mica intristirli intavolando discorsi sul debito del terzo mondo o sul fallimento del capitalismo selvaggio che ora tentiamo di esportare proprio qui? O peggio farli sentire ignoranti, oltre che poveri, facendo un excursus sulla storia d’Italia, dal Sacro Romano Impero al Risorgimento…suvvia!
Di conseguenza, in pochi decenni, abbiamo trasferito il cabaret a noi caro all’equatore, con quella voglia di protagonismo che in Italia ci fa partecipare alle trasmissioni in cui si raccontano anche le corna ricevute o sgomitare per essere intervistati da Italia Uno, spostando il palcoscenico del grottesco da Zelig al Parco Marino, da Montecitorio a Silversand.
Uno degli aspetti che colpiscono, quando ci si reca in riva all’oceano, specie fuori stagione, non è soltanto la maniera in cui i ragazzi si presentano all’italiano in vacanza, ma anche i nomi che hanno.
Non quelli veri, ovviamente, ma i nomignoli che qualche turista più simpatico e creativo di altri gli ha affibbiato e che sono diventati i loro “marchi di fabbrica”.
Fino a poco tempo fa, era normale che Charo diventasse Carlo, Youssuf si traducesse con Giuseppe e Ibrahim con Abramo. C’era chi azzardava anche un Massimiliano per Mohammed. Roba del passato, oggi abbiamo dei veri e propri personaggi: “piacere, sono Mestolo, l’ottavo nano” ti fa un piccoletto che staziona davanti al White Elephant. Sorridendo alla battuta, giusto per non deluderlo, immaginando però il suo disappunto non vedendovi rotolare sulla sabbia dal ridere, potete anche chiedere come mai si chiami Mestolo. La spiegazione (a quanto assicurato dal mzungu che gli ha consigliato di chiamarsi così) dovrebbe incuriosire le ragazze e fare tanta invidia ai maschietti. Mestolo, comunque, alla fine calza a pennello anche per chi si è intristito nell’ascoltare le motivazioni.
I nani vanno per la maggiore: oltre al buon Mestolo, che offre indifferentemente safari e conchiglie, ci sono anche Vongolo, che ha iniziato la carriera come venditore di molluschi e crostacei e Bombolo, che è grassottello e potrebbe doppiare Thomas Milian meglio dell’originale.
Poi ci sono i musicisti: a Watamu abbiamo Zucchero, Vascorossi e Ramazotti (rigorosamente con una sola Z), se chiedete di loro con i veri nomi, Kalume, Said e Festus, non li conoscono nemmeno più i loro compaesani. I più fortunati sono quelli che sono stati ribattezzati così da veri geni del calembour, da artisti della battuta, in vacanza in Kenya per puro caso, tra una partecipazione a “La sai l’ultima” e un corso di accensione scorregge col fiammifero a Fregene.
Grazie a loro il buon Kitsao è diventato Schizzao, Kalama si è trasformato in Calamaro, Katana è Catanzaro. Infine, siccome siamo un popolo di eroi, navigatori, cabarettisti e commissari tecnici, non potevano mancare i calciatori: a Malindi potete chiedere di Totti e Il Pupone, e vi stupirete che non si tratti della stessa persona, poi abbiamo Drogba (ex spacciatore?), Etò (ma non voleva essere il campione dell’Inter, semplicemente un bergamasco lo aveva chiamato da lontano) e Gattuso, che è un barcaiolo che evidentemente non conosce l’originale a cui è ispirato il suo soprannome, altrimenti si sarebbe risentito parecchio con chi lo ha chiamato così la prima volta.
Per terminare la carrellata, non potevano mancare i politici. E anche qui, quando si presentano, tutti a sbellicarsi dalle risate! Fa davvero sganasciare, vedere un africano accoglierti su un isolotto assolato (che tutti chiamano come? “Sardegna 2” ovviamente…), tra l’azzurro cristallino del mare e un cielo blu intenso, nel silenzio impreziosito dalle onde che si infrangono sulla barriera corallina, “piacere, mi chiamo Silvio Berlusconi”. Potete immaginare il livello delle battute che si susseguono, da parte dei nostri connazionali in libera uscita sulla barchetta. “Ah, ecco…se eri D’Alema non ti davo neanche cento scellini” oppure “Stai attento, che un giorno o l’altro finisci in galera”. Se lo sapesse il nostro premier, che la cosa fa così ridere gli italiani, potrebbe pensare che funzioni anche all’incontrario, presentandosi in televisione con un “buongiorno italiani, mi chiamo Kazungu”.
Ma in un Paese che per corruzione è ai livelli dell’Uganda e il cui Pil cresce meno di quello keniota, potrebbe anche essere frainteso. No, non c’è bisogno di fare i brillanti a tutti i costi, di scervellarsi per trovare la battuta o il doppio senso. Da un po’ di tempo a questa parte noi italiani siamo talmente bravi a far ridere tutti quando ci prendiamo sul serio, che non ne vale proprio la pena.

mercoledì 19 maggio 2010

CIAO, POETA NON POETA


in principio è il silenzio:
(poi si è fatto saliva, muco, sangue, sudore, orina):
(si è fatto sperma, merda): (e gesto): e un gesto è la parola: è voce che,
tangibile, ti tasta: (si è fatto borborigmo, fischio, gemito):
ma, a me,
la poesia già non mi piace (quasi quasi) più: e veramente, poi, da sempre,
io ho cercato di affondarmi e affogarmi, zavorrandomi, morbido e muto,
qui, dentro la prosa pratica del mondo:
adesso, per finire, torno,
annaspando stanco, verso il mio primo principio: (gesticolando): (in silenzio):

Edoardo Sanguineti

LA POSTA DEL CUORE: L'AMORE AIECO

l'amore Cieco è un amore di serie C, l'amore Bieco è un amore di serie B.
Punta all'amore Aieco. Sempre.

martedì 18 maggio 2010

NON RITORNERANNO PIU'


Ho parlato al vento. Era il mio soffio di parole sincere contro un monsone di discorsi di comodo, avverbi di facciata, locuzioni mascherate e conclusioni dettate solo ed esclusivamente da interessi personali. Ho lasciato una testimonianza in note prima di abbandonare il mio mondo, quello in cui sono cresciuto e che non sognavo di cambiare, ma semplicemente di veder crescere come dovrebbe fare l'uomo: sbagliando, imparando dagli errori e maturando. Seguire la strada verso la saggezza amando la vita e imparando ad amare gli altri che lo meritano, e a sopportare il resto dell'umanità. L'ho visto invecchiare e inaridire, invece. Avviarsi alla morte senza speranza, fregandosene del senso e vivendo con obbiettivi e ragioni che secondo me non potranno mai regalare la felicità, che possono servire soltanto a dimenticare le proprie paure. Gente sempre più ricca, forse, ma sempre più triste. Chi vive nell'agio di potersi permettere figa e cocaina, chi nell'apparente serenità di poter campare quei dieci anni in più delle persone normali perchè possono permettersi di spendere 100 mila euro per la migliore clinica svizzera o cinquanta per ripulirsi il sangue. Intanto la vita che fanno è piena di insidie, rotture di palle. Schiavi delle proprie maschere per coltivare aridamente le poche passioni che hanno nella vita. Come a un tavolo verde qualunque, giocare con il proprio potere per avere il posto in prima fila a teatro, il biglietto di tribuna d'onore allo stadio, la villa in sardegna al prezzo di un monolocale a Brindisi. Signori, io ho scelto. Meglio l'Africa, meglio l'esilio. Ricordare con autentica e sorridente nostalgioa i tempi che non ritorneranno più.
Meglio restare per sempre un Fanalino di Coda.

lunedì 10 maggio 2010

FREDDIE BECCIONI: 8 - PORTE CHIUSE PER SEMPRE


Mi ero rotto le palle di queste domeniche sempre uguali, dei rituali ripetuti stancamente ogni anno, quasi come i compleanni degli zii a cui devi per forza partecipare, come i matrimoni dei cugini di cui ti scoperesti la moglie e a cui devi presenziare senza possibilità di ubriacarti a dismisura, per poter dire qualcosa di sensato e simpatico quando viene il tuo turno e sperare poi che ti funzioni l’arnese quando riesci a portarti in bagno almeno la migliore amica della moglie.
Vedi invece che il destino ogni tanto è sincero?
Anche il fato, che non è montenegrino, capisce che deve essere al passo con i tempi, che si deve adeguare al cambiamento radicale della nostra società, all’evoluzione della specie.
Così ci ha regalato la più bella domenica genoana della stagione!
Una domenica senza tifosi, senza supporter avversari, senza la Gradinata Nord.
Sì! Una domenica senza mugugni, senza canti sommessi o sguaiati, senza invocazioni o imprecazioni. Un pomeriggio senza lodi sperticate a questo o a quel giocatore, senza chiacchiere da bar e mormorii da stadio, una domenica finalmente a misura di tifoso moderno. Niente traffico, niente code per il parcheggio, niente scooter a respirare la merda. E i panini con la salsiccia a 5 euro, la birra Peroni a 3 euro, la focaccina bisunta nella tasca del cappotto. Tutta quella gente, fianco a fianco con facce che per il resto della settimana speri di evitare, che cazzo ne sai di chi sono, di cosa pensano…saranno i primi a rubarti i risparmi, saranno l’assicuratore infido, il postino che non recapita, il sindacalista ficcanaso, l’impiegato delle poste insolente, il netturbino in perenne malattia. E tutti quei ragazzini rimbambiti che non comprano un disco nemmeno se è per rimboschire l’Amazzonia. Vaffanculo!
Bene, ieri non ci voleva molto a capire che si sarebbe trattato di una domenica vincente!
Volevate la solita ultima giornata in casa per ripetere quegli stanchi rituali di sempre?
Salutare i guerrieri di una stagione, facce che (tranne una su cento, forse) dimenticheremo volentieri come quelle dei compagni di scuola delle elementari? Tifosi antiquati e fuori contesto, speravate di salutare a modo vostro Palladino che se ne torna alla casa madre? Bocchetti che verrà scambiato con Blasi o Brighi? Amelia che tornerà a impastare ravioli con sua nonna? Volevate un finale strappalacrime con Sculli che sotto la Nord giurava “non andrò neanche al Real Madrid”?
No, non è per noi, per una compagine che si vuole rinnovare per rimanere un “classico”, che vuole restare al passo con i tempi, con il calcio immediato e mediatico, sempre più oftalmico e meno naftalinico. Non so voi, io ho goduto a vedere lo stadio vuoto e il Grifone che ha vinto. In casa, con la pioggerellina del cazzo fuori e io con tutte le mie belle comodità. E pensate a tutte le partite invernali che ci perderemo! Niente più ombrelli che poi vedi solo pezzetti di campo come fossi in una cella di galera, impermeabili, freddo pungente nelle ossa e nei piedi, sciarpe umide e alitate, odore di lana infeltrita e zuppa in bocca.
Una salvezza, altrochè! E’ stato più di un caso, sembrava un malinteso, il solito inghippo politico.
No! E’ stato un banco di prova, una scommessa col futuro, un’avvisaglia!
E’ stato puro futurismo, poesia!!!
Siamo o no la più antica squadra d’Italia? Siamo o no gli antesignani del giuoco del calcio nella nostra Penisola! Siamo sempre stati i primi, abbiamo inventato moduli, modelli di tifo, la parola “mister”. Adesso, nel Terzo Millennio, possiamo precorrere di nuovo i tempi, galoppare il futuro! Dai, facciamo qualcosa di veramente nuovo, qualcosa di davvero rivoluzionario!
Regalatemi un Genoa a porte chiuse tutto l’anno, che vince sempre 1-0 con Sculli capocannoniere!
I tifosi veri a casa davanti alla televisione, come me, con il bicchiere mezzo pieno in mano, e gli ultras a mangiare la pizza derby in corso De Stefanis, discorrendo con quell’aria malinconica che li rendi belli, maledetti e romantici, dei tempi che furono, iniettando di ricordi violacei e cisposi le loro pupille sempre più spente. C’è gente che ama mille cose e si perde per le strade del mondo, chi vuole vedere il Grifone dal vivo si abituerà a fidelizzarsi, che cazzo vuoi che sia una tesserina magnetica con cui peraltro puoi anche sminuzzare i cristalli di bianca colombiana? Avete paura di una Banca Popolare di Sondrio? Di una Fideuram? Per i vostri figli ormai i colori rossoblu sono quelli delle maglie sbagliate della playstation, per i figli degli altri c’è sempre la ciclistica da Champions League. Andateci voi allo stadio il mercoledì sera, io ho ben altro da fare!
Ma la tessera del tifoso non ci dovrà portare in un Tempio per rincoglioniti con i santini di Scoglio e Signorini, noooo!
Nossignore! Con quella tesserina entreremo nei cinema 3D! Vedremo Criscito venirci addosso nel campo per destinazione, il pallone sorvolare le nostre teste dopo una punizione di Fatic!
Altro che rollare cannoni in gradinata o bere i liquori di erba Luisa! Ma vaffanculo Luisa!
Io l’anno prossimo voglio lo stadio a porte chiuse e le trasferte vietate a chi non risiede nella città dove si gioca il match. Giusto! Sono residente a Milano e andrò a vedermi Milan-Genoa e Inter-Genoa! Allo stadio si perde solo tempo, se non canti ti rimproverano che non sei un vero tifoso, se urli qualcosa di sbagliato che sei un tifoso del cazzo. Se fai un coro ad personam ti dicono che adori falsi idoli, che dobbiamo solo fare il tifo per la nostra storia, per la nostra maglia, che gli uomini passano e la fede resta. Ma cos’è la fede? Se è qualcosa di cieco e totale come dicono, allora possiamo anche non vedere le partite! Basta che il Grifone vinca sempre, che sia davanti alle merde, che segni sempre Sculli e che qualcuno ci spieghi la partita, ci dica com’è andata, che siamo stati sfortunati e vessati dall’arbitro se abbiamo perso (in trasferta) o che abbiamo ampiamente meritato se abbiamo vinto (in casa).
Voglio le porte chiuse! Ma non solo quelle dello stadio, anche quelle dei cessi, dei negozi intorno alla struttura sportiva, delle case senza citofono, del Pontetto (altro luogo triste di nostalgici e perdigiorno).
Ci vuole una nuova poesia, una nuova retorica, un nuovo lifestyle!
Tutti fuori dagli stadi, i campi come arene con un pubblico virtuale! Grandi televisori al plasma nei centri commerciali, ologrammi dappertutto, ologrammi e cheeseburger.
Grey Goose, Grey Goose Stadium!
Chiudete le porte e non fermate il mondo, che tanto, da qui a poco, non si potrà più scendere.

sabato 8 maggio 2010

MALINDI: SINGOLARE PROTESTA DEGLI SPACCIATORI DI MARIJUANA da www.malindikenya.net


Malindi (Kenya) - "La polizia ci perseguita, abbiamo diritto anche noi di lavorare, abbiamo mogli e figli da sfamare, non si può andare avanti così". Per le strade di Malindi, la località turistica keniota più amata dagli italiani, sfila una protesta singolare e non proprio "legittima". A riunirsi in corteo dal quartiere povero di Maweni, sono stati gli spacciatori di marijuana e le loro famiglie. Un centinaio di persone che, armate di esasperazione e di buona volontà, e probabilmente un po' stordite dal prodotto che commerciano e con cui hanno a che fare, hanno chiesto a gran voce di poter continuare a lavorare. L'intenzione era quella di marciare lungo le strade della cittadina e ritrovarsi davanti alla Stazione di Polizia, ma non certo con l'intento di costituirsi. Gli spacciatori chiedono che vengano rispettati i loro diritti (!) e che il loro lavoro venga riconosciuto. "In fondo se c'è richiesta, significa che c'è bisogno di noi". C'è chi dice che soltanto in Africa possano accadere cose del genere, altri suggeriscono che nelle manifestazioni di piazza in Italia si radunano altri tipi di malfattori. Fatto sta che il corteo di protesta è stato bloccato da un'associazione locale, di ispirazione islamica, che da anni si occupa del recupero dei tossicodipendenti, il Maarufu. "Sarà meglio che torniate alle vostre case - è stato il monito di quelli del Maarufu - e pensiate a cambiare mestiere, scegliendo tra quelli legali. Se invece continuate a manifestare, sarà fin troppo facile per la polizia identificarvi tutti". Perle di saggezza che hanno convinto gli organizzatori della manifestazione a sciogliere il corteo, anche se la tentazione di giocare un po' a "guardie e ladri" era forte. E la protesta, per questa volta, è andata in fumo...
da www.malindikenya.net

martedì 4 maggio 2010

FREDDIE BECCIONI: 7 - SI', IO ME LO MERITO!


Io sono fatto così: quando sono convinto di meritarmi una cosa, faccio di tutto per ottenerla.
Dopo un sabato all’insegna del Triangolo delle Svetlane, sulla cui esplorazione geofisica non mi soffermerò, domenica pomeriggio, mi voglio concedere molto di più di una presenza femminile, merito una compagnia davvero speciale, una persona unica che però sia anche un simbolo.
Perché me lo merito, sì.
Grazie all’amico Donuts e alle sue incredibili conoscenze alto e basso locate, giovedì ero già riuscito a trovare il Suo numero di telefono.
Lo avevo raggiunto e mi aveva informato che domenica avrebbe giocato.
Non ho avuto esitazioni: “Vengo a vederti, me lo merito!”.
Intorno alle 10.30, un po’ rintronato perché un cacchio di adepto del “Beccio Fan Club” mi ha consigliato di passare alla Beluga, che pensavo fosse una vodka al caviale e me ne sono scolate tre bocce con buona pace della Grey Goose e delle Svetlane, supero la barriera di Melegnano alla Zapater senza rischiare di andare a sbatterci come una punizione di Juric, ma questa volta in direzione Cisa.
Devo arrivare a La Spezia.
Lui mi aspetta.
Non vedrò la partita del Genoa a Bari, nonostante il pathos che accompagna questa sfida, con le succulente dichiarazioni della vigilia, la strenua difesa dell’ottavo posto, la minaccia fino all’ultimo di Fiorentina, Parma dello stesso Bari e financo di Chievo e Udinese se vincessero, di toglierci dalla parte sinistra della classifica. Sarà un campionato da vivere fino all’ultimo secondo, difenderemo l’ottavo posto con i denti e, se ce la faremo, lo festeggeremo come fosse una plusvalenza, come il traguardo anelato di tutta una stagione. Un po’ per scaramanzia, un po’ per timore che i vari Bonucci, Meggiorini, Masiello potessero giocarci un tranello (che fa anche rima, e finisce subito in una canzone), non vedrò la partita.
Oggi mi merito ben altro.
Ed eccomi a La Spezia, allo stadio Alberto Picco, per seguire Spezia-Alghero.
E’ un match decisivo, mancano due giornate e gli aquilotti, che peraltro ho sempre odiato quasi come i cicloturisti di sampedenna, sono secondi in classifica, puntano ai playoff col miglior piazzamento, se non alla promozione diretta in LegaPro 1.
Spezia è allagata da un nubifragio della vodka madonna. Ma oggi ho deciso di non bere.
Voglio essere lucido.
L’appuntamento con Lui è alla una in punto sul viale dello stadio.
Volevo portarlo a mangiare datteri di mare proibiti in un posticino a Portovenere, ma giustamente mi dice che non può, ha la partita alle tre. Peccato, me lo meritavo e se lo meritava anche lui. Rimedieremo per cena, da “Polpo Mario” a Sestri Levante.
Avrò solo una mezzoretta, poi deve raggiungere i compagni.
L’emozione è alta. Ho incontrato tante persone nella mia carriera di uomo di spettacolo, ricordo ancora la stretta di mano di Adriano Celentano negli studi Rai, un buffetto di Renato Zero al Teatro Tenda di Roma, un…vabbè lasciamo stare, di Lucio Dalla, che comunque rimane un grande artista. Non dimenticherò mai le parole di Michael Bolton, e quel duetto con Bocelli che pensava fossi Antonacci…ma oggi da uomo, non da cantante, da tifoso rossoblu e non da supporter qualunque, raggiungo il massimo.
Il cuore batte.
Piove che dio la manda, ma non sento l’acqua scorrere sul mio viso.
Lui scende dalla macchina, indossa una tuta da ginnastica e ha i capelli raccolti con una fascetta. Cammina barcollante con la classica andatura del fluidificante e regge l’ombrello.
Mi fa un sorriso.
Mi faccio incontro, gli tendo la mano.
Ci abbracciamo.
E’ più forte di me, lo stringo al petto e...non è la pioggia, sono lacrime!
Tante sensazioni che si accavallano, gioie e dolori trattenuti per anni.
Sì me lo merito.
“Ti meritavo, Davide”
“Figurati – mi fa con un delicato accento lagunare – grazie a te di essere qui. Non ho i tuoi dischi ma me li procurerò presto”.
E’ un distillato di gentilezza ed umiltà, Davide Scantamburlo.
Ma non solo per questo me lo merito.
Me lo merito perché lui è uno vero.
Uno che da l’anima e l’ha data anche da noi.
Uno che non si è mai potuto permettere un Suv o una Porsche, ed è arrivato qui con una Ford Focus. E’ uno che si sarebbe legato alla nostra maglia per tutta la vita, se solo fosse stato più talentuoso.
Io mi merito Scantamburlo, mi merito di tornare a Lumezzane, a Teramo, a Castel di Sangro, a Crotone (se poi ci tornasse anche qualcun altro…) e dico “tornarci” perché IO ci sono stato.
Perché prima di diventare famoso, prima di montarmi la testa, prima delle Grey Goose e delle Svetlane, io ero un tifoso, uno vero, uno che il Genoa era il Genoa e andava bene anche in serie B, purchè in campo ci fossero undici grifoni e che finissimo la partita con sei cartellini gialli e due rossi. Moine, promesse, lusinghe della Serie A, della nuova società e di un ambiente più “in”…ho fatto presto a dimenticarmi certi veri valori e intorno vedo tanta gente che non c’era, non partecipava ma che è uscita fuori come champignon geneticamente modificati.
Fanculo, io rimango un vecchio porcino!
Noi ci siamo sempre comportati allo stesso modo, contro tutto e contro tutti.
Io me lo merito sì, Scantamburlo.
E non chiamatelo Scatamburlo senza la enne, che m’incazzo.
Potete storpiare il nome di Acquafresca, di Palladino, imparare da Sculli a pronunciare quello di Papasthatopoulos e di El Shaarawi…ma non mi sbagliate Davide Scantamburlo da Venezia.
Ci guardiamo negli occhi come ci conoscessimo da una vita.
In effetti è così, sei sempre stato nelle mie sofferenze, nelle mie angosce, nei campionati giocati fino all’ultimo secondo dell’ultima partita e spesso anche oltre.
“Allora siamo d’accordo – gli dico – dopo la partita si va a cena a Sestri, pesce e vino bianco, poi in discoteca con due amiche mie, si dorme dove capita e domani a Milano a registrare la tua voce sulla mia canzone dedicata a te”.
“Me pare un bel programmino – risponde – sojo sue done non te prometo niente parché sono un toso fedele…e poi anche una tratoria de Cornigliano me va bene”
E ti pareva che non mi meritassi uno così?
Ci riabbracciamo e vado a ritirare l’accredito di tribuna centrale. Non porto nemmeno la radiolina, oggi sono tutto per Lui. Non mi merito altro.
La pioggia si attenua ma il terreno è infame. L’arbitro Cervellera da Taranto sembra una creatura mitologica, metà stronzo e metà Racalbuto. Al nono minuto un sardo puro e tignoso di nome Rais piomba sulla caviglia di Davide come fosse Gattuso su una gnocca lituana. Mi alzo in piedi e urlo “bastaaaaardo” con quanto fiato ho in gola.
L’arbitro, forse intimorito dalle urla, ammonisce il Rais. Fanculo ai sardi e anche a Selassiè.
Cazzo, questi picchiano duro, Cervellera fischietta ma dovrebbe ancora ammonire, io urlo improperi e qualcosa di razzista sull’isola di Cossiga e di Valerio Scanu. Ci sono trenta esagitati da Alghero che sembra siano venuti qui per fare rissa. No, per favore, oggi no…un piccoletto in tribuna mi aggredisce, mi cinge alla gola e mi infila in bocca l’I-Phone. Per fortuna qualcuno lo acchiappa e lo fa sedere.
Intanto succede di tutto. In campo si picchiano, Scanta le da e soprattutto le prende, il tecnico dello Spezia D’Adderio viene espulso, un nostro attaccante viene colpito da un pugno ma Cervellera non dice nulla. Ora diluvia in maniera bestiale.
Che partita d’altri tempi, quante ne ricordo così…i bei tempi del mio Grifone.
Finisce il primo tempo, Scanta passa sotto la tribuna e mi fa ciao, e anche segno che è durissima.
Intanto il Sud Tirol è in vantaggio a Pavia e si tiene il primo posto.
Mi dicono che il Genoa fa 0-0 a Bari. Ma oggi il Grifone è qui con me, sotto il diluvio, sporco di fango e pieno di lividi come Davide.
Ma all’inizio della ripresa, sotto un vero nubifragio, passiamo in vantaggio.
GOOOL!
Scanta esulta e si butta nel fango con i suoi. Cazzo, come sente la partita!
L’Alghero non smette di picchiare, specialmente l’autore del gol Casarini. Il pur mansueto arbitro ne ammonisce quattro in rapida sequenza.
Mi rialzo e urlo a Davide: “Picchia, Scanta! Picchia ‘sti bastardi!”
Stavolta rischio l’I-Phone direttamente nel culo.
Ma Scanta mi ascolta e mette giù un sardone con un colpo di thai-boxe.
Cartellino giallo. Meritato, come io mi merito Lui.
Grande!
Dai corri Scanta, corri! Fai vedere il cuore!
Intanto è entrato un altro picchiatore di Alghero, Cau. Dopo pochi secondi dall’ingresso si lancia come un invasato contro un giocatore spezzino, tale Lollo. Intervento da espulsione, ma l’arbitro ammonisce soltanto. Per farvi capire quanto è stato tosto l’impatto, Cau non si rialza più e viene portato fuori in barella. Sostituito dopo due minuti dall’ingresso. Battuta la punizione a centrocampo, palla a Scantamburlo, supera in corsa un avversario, si accentra, lascia partire un missile dai trenta metri….eeeeeeeeeeeee PALO!!! Cazzo, la solita sfiga del Genoa…poteva essere l’apoteosi…stasera champagne di quello buono, tipo un millesimato di Philipponat o una roba del genere. La palla schizza nel fango, si crea la mischia…poteva essere il gol della tranquillità.
Intanto qualcuno mi dice che il Grifone sta perdendo a Bari…gol di Meggiorini.
Ma me lo merito io Meggiorini?
E Almiron in prestito?
Intanto è un parapiglia, quelli dell’Alghero se la pigliano con Lollo, reo forse di aver costretto all’infortunio Cau, tentando il suicidio. Una roba mai vista, viene espulso anche il vice allenatore Fusco. Ormai è una partita di rugby, Scantamburlo ha parecchi amici a Calvisano, ha giocato anche a Bassano e a Belluno…manca poco, Scanta scatta, finta il passaggio, supera il cerchio di centrocampo e lancia millimetricamente per Chianese che è solo in contropiede e GOOOOOOOL!!!
Sembra Barreto, sembra Castillo…goooool!
Scanta esulta, è stato il migliore in campo, non c’è dubbio.
Lo Spezia rimane secondo, playoff matematici. Il Genoa ha difeso coi denti del Bari l’ottavo posto.
Domenica io e Scanta saremo a Salò, per l’ultima partita, l’incontro decisivo con la terza in classifica per tenersi il posto d’onore e un vantaggio.
Al Ferraris col cazzo che ci vado, domenica.
Mi sa che non me li merito, Scarpi, Zapater e Palladino.