lunedì 27 luglio 2009

SETTANTA SOTTANTI (dedicata a Eugenio, il babbo)



Settantanni all’insegna del “che me ne fotte”
Settantanni di avventure crude e pure cotte
Settantanni di palle e automobili rotte
Settantanni pieni di mignotte

Settantanni e arrivarci sulle proprie gambe
Con la terza sempre pronta sotto le mutande
Settantanni di sogni e idee anche strambe
Settantanni a pensar cosa farai da grande

Settantanni e volerli vivere di fretta
Aspirando il fumo di un’altra sigaretta
Basta che il cervello di mulinar non smetta
Che c’è già la voce che balbetta

Settantanni a godere e dilapidar fortune
A contar le stelle promettendosi le lune
Chiedendo solo e sempre a chi tira la fune
Dall’ignoranza e dalla stupidità di rimanere immune

Settantanni a depistare e raggirare dio
Ebreo, cristiano islamico ma sempre e solo “io”
Per dire a tutti, col ghigno di un sarcasmo mai restio
Andate a prendervelo…là dove ho sempre messo il mio!

giovedì 16 luglio 2009

POESIA: AFRICA

Io sono l'africa
perché anche l'Africa me l'hai insegnata tu
Alle falde del Kilimanjaro
tra i gelsomini dell’Africa buia
Viaggerai verso l'Africa
Africa stanca di mille promesse
Chiudi gli occhi e vai in Africa

Io sarò l'africa
e' forte l'Africa non fosse per il caldo
Spunta un vento d'Africa
Mustafà viene di Africa e qui soffia il vento d’Africa
L'ho raccontato al vento che ti porto in Africa
Africa terra di troppe risorse
Chiudi la porta e vai in Africa

Ti chiami Africa
fino alle sponde dell'Africa
nel continente nero
non siamo mica in Africa
Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca? Forse in Africa che importa
Africa gli altri ti sparano addosso
Gira i tacchi e vai in Africa

Cerco un po’ d’Africa in giardino tra l’oleandro e il baobab
Qualche volta sono gli alberi d'Africa a chiamare
Sempre nel cuore dell'Africa
ed era come un mal d'Africa
Così mi uccidi l’Africa
Africa la grande gabbia di libertà
Butta la chiave e vai in Africa

Per te ci vuole l’Africa di tam tam e zulù
dal nord al sud, dal Kenya al Kentucky
Vip in un limbo a Malindi
Rotary Club of Malindi
non era Africa, chissa’ la vecchia via del varieta’...
Africa si muore uniti in un fosso
Ma com'è bello il mare d'Africa stasera…Celestino

(si ringraziano cantautori italiani a iosa)

mercoledì 15 luglio 2009

GLI ALBUM DEL DECENNIO: INDIA.ARIE "ACOUSTIC SOUL"


Si chiama India Arie la nuova creatura dell’etichetta americana soul e R&B Motown. Sull’onda del successo mondiale della raffinata e fin troppo autocompiaciuta Erykah Badu, e delle meteore Macy Gray e Angie Stone, la venticinquenne compositrice statunitense lancia il suo manifesto, che è il titolo della sua opera prima: “Acoustic soul”, dove per acustico si intende il suono della chitarra, con la quale India si accompagna preferibilmente in tempi dispari, coperto però abilmente dalla produzione artistica con l’inconfondibile suono Motown. Ma India cammina sull’orlo del commerciale, evitando cadute nello “strasentito” grazie a una vena compositiva più cantautorale rispetto alle colleghe già citate che sono certamente più dotate vocalmente di lei ma meno curate, anche dal punto di vista dei testi. Così India finisce per somigliare più alla bassista Me Shell Ndegeocello, autrice anni fa di un album capolavoro (“Peace beyond passion”) e come lei compositrice attenta anche alle sfumature dei suoi brani. “Brown skin” sembra una suite uscita proprio dal carniere di Me Shell, la chitarra fa capolino in levare nell’accattivante singolo “Video” (che recita “non sono la solita ragazza che appare sul tuo video, il mio verbo non è il prezzo dei miei vestiti”) e in “Back to the middle” che odora di Lenny Kravitz. Nei tre siparietti musicali che inframmezzano il disco, India Arie, figlia di un ex campione di basket, svela quali sono i suoi riferimenti: i nomi altisonoanti di Marvin Gaye, John Coltrane, Miles Davis, Jimi Hendrix, Robert Johnson, Bessie Smith e Ella Fitgerald si confondono con i meno celebrati Charlie Patton, Mary Chapin Carpenter e Lucinda Williams, di cui India è fan scatenata. La giovane dunque dimostra di masticare la musica tutta e sa scrivere anche brani profondi come “Nature”, intimisti (“Ready for love”) o tipicamente pop-soul (“Always in my head”). Per la nuova Badu con la chitarra acustica a tracolla si è scomodata anche sua maestà Stevie Wonder che ha definito India Arie “il più interessante talento musicale che il rhythm and blues abbia espresso negli ultimi anni”. Per sdebitarsi di cotanta raccomandazione, la ragazza ha dedicato al maestro la bonus track “Wonderful”. Il resto del disco regala brani forse già frequentati sotto altre spoglie (“I see god in you”) e concessioni al baduismo (“Simple”) senza mai cadere nella tentazione hip-hop o nel virtuosismo vocale. Forse non c’era bisogno di India Arie, ma ascoltarla è piacevole perché c’è buona musica (i patterns R&B non sviliscono basso e chitarre, niente fiati ma un utilizzo minimale di tastiere e archi) e si sente l’aria di un riciclo intelligente.

martedì 14 luglio 2009

IL TURISMO SESSUALE E' UN'INVENZIONE DELLA SINISTRA!

Inizia una nuova stagione per il turismo italiano in Kenya, e già c’è chi punta il dito contro Malindi, “meta di turismo sessuale”. Già, ma le cose quest’anno sono cambiate! Perché da qualche mese qualsiasi uomo in vacanza sulle rive dell’Oceano Indiano, specialmente se un po’ in là con gli anni, si sente protetto, spalleggiato, se non addirittura fiero e orgoglioso di frequentare ragazze locali.
Da quando ha saputo che un settantaquattrenne che invita a casa sua una diciassettenne e ci passa insieme la serata è un virtuoso e giammai un pedofilo (e mi sembra anche giusto…la ragazzina a diciassette anni è ben capace di intendere e di volere), che le festicciole con orgia sono in realtà “disegni sovversivi della sinistra”, cammina leggero per Lamu Road ed entra nelle discoteche che s’illuminano di musica, cocktail e sorrisi con l’aria di chi porta alto l’onore del suo Paese.
Da quando ha scoperto che un vecchio che vuole sentirsi ancora un playboy, riempie di banconote una ragazza di vita per infilarsela di nascosto nel letto di uno dei palazzi più importanti d’Italia, gli pare fin troppo onesto far entrare con una mancetta al portiere di notte la sua conquista serale nel villaggio turistico che non accetta le sconosciute.
Poi ha sentito dire che nessuno deve poter introdursi nella vita privata di un essere umano, che non ne può rovinare a suo piacere la reputazione. Andassero a quel paese quei giornalisti che cercano lo scandalo a tutti i costi! Anche qui a Malindi, con quelle inchieste che ti vengono a spiegare che il sole splende e il mare è bagnato. Da che mondo e mondo ci piacciono le donne, meglio se giovani!
“Tanto più che io ho ancora più coraggio di quel vecchio così importante” pensa tra sé e sé il turista pensionato.
“Perché io mi sono innamorato e non ho paura a dirlo!”.
Già. E’ successo tutto la prima sera che era arrivato a Malindi.
Dopo cena, attirato dal ritmo ripetitivo della musica dance, come fosse un fachiro indiano col flauto, era entrato come un discoletto nel disco-pub con una gran voglia disco-pare…ehm…di curiosare.
Si era aggirato tra il bancone e la pista da ballo ammirando quelle bellezze d’ebano da urlo che ancheggiavano, aveva anche osato qualche passo di rumba e ordinato una caipirinha.
A un tratto una splendida regina d’Africa, dallo sguardo felino di pantera e dalle forme sinuose come quelle di una gazzella, si era alzata dal suo sgabello e gli si era fatta incontro.
“Tu, bel mzungu”
“Chi, io?” si era guardato intorno, per vedere se non ci fosse un giovane aitante e ben vestito proprio dietro di lui. Con un riflesso condizionato, però, si era aggiustato il colletto della camicia alla Tony Manero.
No, la pantera guardava proprio lui, con occhi magici di conquista.
“Vuoi ballare con me?”
Si sentì trasportato indietro alla festa delle medie, quando la più bella della classe gli aveva chiesto di invitarlo per un ballo della mattonella e solo il giorno dopo aveva saputo che era stato per una scommessa con le amiche. Vinta.
Ma quale scommessa poteva essere questa? Lo scherzo di un connazionale burlone?
La trappola di un giornalista di sinistra ficcanaso?
Chissà, non aveva voglia di chiederselo.
Ballò, si strusciò, l’abbracciò. Al diavolo i disegni sovversivi.
Sarà stato il caldo, il viaggio in aereo, le milleluci del disco-pub, la caipirinha.
Era visibilmente rincoglionito.
Ma lei se lo stava mangiando con lo sguardo!
Si innamorò all’istante e benedì quelle pastiglie di viagra che gli aveva dato l’amico farmacista del Paese: “Vai in Africa, Celestino…! Fai il leone, una volta nella vita!”.
Il leone… veramente ora il cuore gli batteva come quello di un pettirosso.
Fu una notte meravigliosa, per lui.
Lei invece, mentre lo abbracciava con dolcezza e si faceva accarezzare dall’alba nascente tra le lenzuola, trovò in lui quel confidente di cui evidentemente aveva tanto bisogno, quella figura paterna che avrebbe capito i suoi problemi. E che problemi! Una sorella minore che doveva assolutamente finire gli studi per poter aiutare la famiglia col suo stipendio da segretaria d’azienda, la mamma molto malata che avrebbe dovuto emigrare a Johannesburg per farsi operare e tornare a una vita normale, il fratello arruolato nell’esercito e morto durante gli scontri dell’anno prima, lasciando tre bambini da mantenere.
Lui pianse e si sentì molto vicino alle lacrime di quel vecchio importante durante i giorni del terremoto dell’Abruzzo.
L’avrebbe aiutata, glielo promise ieratico come stesse parlando al popolo italiano.
“Amare in fondo significa questo, essere capaci di provare sentimenti di ogni tipo, dal profondo altruismo al trasporto fisico”.
Lei si ritrasse, asciugò le lacrime con il lenzuolo e, al riparo dal suo sguardo, sorrise.
Poi si voltò morbidamente e gli salì di nuovo a cavalcioni, ripetendo mentalmente e meccanicamente quella splendida parola in italiano che la sua amica Janet le aveva insegnato: “Reversibilità”.
Quando il giorno li colse, prima di un sonno ristoratore e giusto che sarebbe durato fino all’ora di pranzo, lui ebbe un lampo.
Le lanciò un’occhiata nuova, da amante irreprensibile.
Per la prima volta appariva duro e irremovibile anche a se stesso.
“Ti chiedo soltanto una cosa” disse, e la sua voce era ferma e non dava adito a ripensamenti.
“Ti prego, non chiamarmi mai, dico mai, PAPI”.