mercoledì 3 aprile 2013

ENZO JANNACCI E RINO GAETANO (da "Se mai qualcuno capirà Rino Gaetano" di Freddie del Curatolo, Edizioni Selene)

"...In realtà Rino Gaetano ha un maestro dichiarato che è difficile considerare un cantautore puro, Enzo Jannacci. Il medico meneghino di origine pugliese è quanto di più simile a ciò che Gaetano vorrebbe essere: l’espressività e le gestualità teatrali con cui si muove sul palco, i testi taglienti e crudi, minimalisti e cinematografici che passano dal drammatico al surreale, dal comico all’impegnato, i monologhi e le battute che condiscono i suoi pezzi, sono il suo obbiettivo. Partire dal concetto di “Petrolini rock”, da lui enunciato nella conferenza stampa di presentazione al Festival di Sanremo, per arrivare, un giorno, a comporre testi come il seguente, che in tempi recenti ha ispirato due musicisti romani che sono fan dichiarati di Rino Gaetano, Daniele Silvestri (“Il mio nemico” e Frankie Hi-Nrg (“Quelli che benpensano”). Il nemico non è , no non è oltre la tua frontiera, il nemico non è, no non è oltre la tua trincea, il nemico è qui tra noi, mangia come noi, parla come noi, dorme come noi, pensa come noi ma è diverso da noi. Il nemico è chi sfrutta il lavoro e la vita del suo fratello, il nemico è chi ruba il pane, il pane e la fatica del suo compagno, il nemico è colui che vuole il monumento per le vittime da lui volute e ruba il pane per fare altri cannoni e non fa le scuole e non fa gli ospedali per pagare i generali, quei generali, quei generali per un'altra guerra... (Il monumento, 1966). L’attività artistica di Enzo Jannacci, secondo Rino Gaetano, è il giusto dosaggio di cantautorato, cabaret, canzone colta e canzone popolare, denuncia e ironia spesso amara. “Di Enzo Jannacci posso dire che è un gran poeta – si legge in un’intervista rilasciata nel 1976 a Ciao 2001 – non so se mi abbia influenzato direttamente, personalmente mi sento molto vicino al suo feeling. Però c’è una differenza notevole di esperienze, di città, di età. Lui è uno che sa divertire e divertirsi… prendere le cose per il verso giusto e dire delle cose importantissime. Prendi “Giovanni il telegrafista”, dove risulta patetico con molta eleganza. Mi sento abbastanza vicino alle sue vedute”. Se fosse stato più giovane di qualche anno avrebbe scritto tormentoni come “Vengo anch’io, no tu no” o “Ho visto un Re”, ma v’è da dire che al suo fianco non c’è mai stato un Dario Fo o un Giorgio Gaber. A quest’ultimo invidia l’idea del teatro canzone, rimasta inespressa nelle prove registrate su nastro, nei fogli scarabocchiati in cui insieme con l’amico Bruno Franceschelli scriveva monologhi per introdurre le sue prime ballate. Come Gaber, Gaetano avrebbe voluto utilizzare dialoghi, battute e recitativi tra un brano e l’altro per stupire, provocare e spiegare il mondo delle sue liriche. Gaetano però non vuole fare prosa militante né sociologia, piuttosto una sorta di cabaret off, come quello dei Gufi, uno Ionesco in musical. Per questo ammira Jannacci, avrebbe voluto essere lo Jannacci romano, e Franceschelli è stato agli esordi per lui ciò che Luporini era per Gaber, un “consigliori”, un correttore di bozze, un amico colto con cui confrontarsi e scrivere. Jannacci frequenta Dario Fo, il giornalista Sandro Ciotti, Cochi e Renato, negli anni Settanta quella magnifica penna che era Beppe Viola, con cui compone canzoni e scrive racconti, poi Gino e Michele. Gaetano da questo punto di vista si sente un po’ solo, solo con la dannata periferia cantata in “Cerco”, che insieme con “Io scriverò” appare come uno dei brani più autobiografici, solo con gli amici al bar che gli offrono spunti di vita vera ma non lo portano facilmente al paradosso, allo sviluppo di modalità inedite nell’affrontare i concetti che ha in mente. Così Rino si ritira nella sua stanza di via Monte Cimone e legge, legge molto..."