venerdì 15 maggio 2009

BODA-BODA (guarda il video su Youtube)

Guido un mezzo cinese – senza molte pretese
Sotto il sole cocente – con l’ascella pesante
Dai sali sulla ruota – io sono un boda-boda

E’ il trasporto sicuro – per chi ha poco denaro
Ti porta dove ti pare – in centro oppure al mare
Costa come una soda – il vostro boda-boda

Maledetto Tuk-tuk – tu guadagni di più
Però inquini l’ambiente – e non t’importa niente
Non rispetti la coda – e mi tagli la strada
Lasci una nube gassosa – in faccia al boda-boda

Per i tragitti più lunghi – il carburante è il marunghi
Accavalla le gambe – sul mio sellino a frange
Sarà un po’ fuori moda – ma è sempre un boda-boda

Con 25 scellini – porto vecchi e bambini
Per 50 il muzungu – da Kibokoni a Mayungu
Per la turista viziosa – c’è sconto boda-boda

Lavoro anche la sera – con mia la bici nera
Nero è anche il colore – del tuo guidatore
La luce non funziona
La luce non funziona
Quello…occhio…quello…ma cos’è non si vede un c… aaahhhh
Era un boda-boda

Maledetto Tuk-tuk – tu guadagni di più
Però inquini l’ambiente – e non t’importa niente
Non rispetti la coda – e mi tagli la strada
Lasci una nube gassosa – in faccia al boda-boda

Maledetto tuk-tuk – stai arrivando anche tu
Fai un sacco di rumore – col tuo carburatore
Hai la luce un po’ fioca – non ci vedi una sega
Travolgi con la tua foga – l’amico boda-boda.

mercoledì 13 maggio 2009

IL NASO DEL GRAFICO

Il grafico pubblicitario era di fronte a me. Lavorava con la scrupolosità dovuta dall'ora e dagli occhi titubanti e distrattamente coinvolti, come le mani ad un banchetto self-service di un motel. Ogni tanto fermava un pensiero e lo aggrediva in superficie, come una nave che prende in pieno un iceberg, e sbagliava la fotocomposizione del logotipo che immobile lo fissava da un quarto d'ora. Il musicista aveva tardato. Come al solito inforcava la porta con una scusa qualificante, di quelle che non puoi esimerti dal ridere di gusto, di quelle che non perdoni facendoti offrire una sigaretta. Il suo cappotto odorava di cantina, le sue scarpe erano rosse e lucide come il naso del grafico che lo fissava un po' meno accondiscendente. Il musicista si lamentava del traffico del centro e alternava bestemmie a curiose espressioni in slang newyorkese, sciogliendo la lingua in rap di rara intensità emotiva.
"Non puoi sempre lamentarti di tutto" ribattè a un certo punto il giornalista, abbandonato sulla poltrona del capo.
"Hai l'aria del turista insoddisfatto del trattamento riservatogli dai camerieri di un lodge nel Masai Mara. Ti trovi in mano a un branco di leoni, brontosauri e barracuda e ti lamenti per il cinguettio dei canarini"
Qualcuno aveva acceso la radio.
Il grafico doveva assolutamente terminare il suo lettering. In segno di ammirazione, rispettammo dieci minuti di rigoroso silenzio, passati i quali il giornalista ebbe la forza di alzare il suo peso dal sofà presidenziale e rilasciò dichiarazione estemporanea che fu seguita da uno scrosciare di applausi.
"Vado a prendere qualche birra"
Io mi offrii di buon lena di accompagnarlo giusto per fare quattro passi sotto i lampioni. Il grafico, quasi seccato per il fermento creato versò nelle casse sociali settecentocinquanta lire, il musicista costretto contro il muro dalle nostre tenaglie, duemila. In strada c'era un'aria di pioggia ed un puzzo di funerale. Anche il giornalista se n'era accorto e storceva il naso.
"Ci dev'essere stato un incidente, qui vicino, sento odore di morto"
Con passo sempre più affrettato, narici in preallarme e cuore al ritmo di Calipso arrivammo all'angolo e vedemmo lei, per la prima volta.

"E ti dico, faccio due ore di coda, sei chilometri di sigarette, arrivo dalla cara mammina e cosa ci trovo, un brodo di pollo. ma mi vuoi prendere in giro? Mi conosci da trent'anni, sai che odio il brodo, il pollo mi fa schifo, quando torno dalla sala prove sono affamato come un ghepardo e tu mi prepari brodino di pollo e se poi t'insulto mi dici - e per la tua linea, tesoro - ma guardami, le ossa mi si affacciano fuori, le gambe si inarcano, le mani nervose mi si strapperanno da quanto sono magro" il musicista aveva finito le sigarette, il grafico la pazienza, sostituita alla meglio da un bicchiere di cognac.
"Sei troppo sensibile" disse al musicista, che non si dava pace, nemmeno per cortesia "le madri ci hanno messo al mondo, e per farlo hanno rinunciato a mezzo cervello per darlo a noi, le dobbiamo ringraziare e compatire"
"Facile per te parlare così, tua madre è morta dandoti alla luce"
"Dandomi tutto il suo cervello".

mercoledì 6 maggio 2009

POESIA: COLABRODO

Faccio acqua dalle orecchie
E da qualche altra parte
Ritrovai nello zampillo qualche cosa di me
Ho provato a vedere nel mentre
A sognare il già visto
A nascondere l’irreale
Moi,
un corsaro sulla sedia a dondolo
un vagabondo da guanciale
rido se mi pento di inventare
piango quando fingo l’amore
e riprendo a zampillare

lunedì 4 maggio 2009

DAHIATSU

Dahiatsu Mitsubishi non era un'automobile.
Mitsubishi era il cognome del padre, Dahiatsu il nome che lo stesso genitore, cuoco d'albergo in pensione, e abile solutore della settimana enigmistica, gli aveva regalato in cambio di un esistenza infelice a Riccione, quindicimila chilometri da Osaka.
Già da picolo Dahiatsu creò non pochi grattacapi al padre, una delle persone più tranquille e misurate della riviera. Ma non è di lui che vogliamo parlare, né della sua maniera di preparare il sushi per il proprietario del Miramare e spaghetti alle vongole per duecentotrenta persone.
Non vogliamo parlare nemmeno del proprietario del Miramare.
Non vogliamo parlare di Dahiatsu.
Non vorremmo proprio parlare.
Non stiamo parlando, casomai siete voi che parlate sottovoce mentre state leggendo.
Buon giorno!
Dahiatsu aveva un amico.
Ad Ivrea.
Si chiamava Antonio.
Non è vero. Dahiatsu non può avere amici a Ivrea, non tanto per la cittadina di cui apprezzo centro storico, il carnevale e talune boutiques di formaggi, né tantomeno per i suoi abitanti con cui mi scuso per essere stati citati nella storia di Dahiatsu.
Semplicemente, Dahiatsu non può avere amici.
Il padre l'ha imprigionato, nel 1997, tra il ventidue e il ventitre verticale delle parole crociate a schema libero e, per un bambino di undici anni, è difficile evadere dallo spazio esiguo tra "un'imposta come la Zanicchi" e "pronome di persona".
Il ragazzo, da quel giorno, ha sviluppato cattiveria, cinismo, arti marziali e un'imprevista passione per le detrazioni fiscali.
Incasellato e non ancora liberato, è cresciuto in lui il desiderio di vendetta nei confronti del padre e del genere umano.
2011: Dahiatsu a tutt'oggi lavora come redattore della rubrica "Risate a denti stretti".

DA COMO AL KENYA (Per "Magazine")

Si dice che gli opposti si attraggano. A me questa cosa è stata subito chiara, la prima volta che da ragazzino ho visto l’Africa. La contrapposizione tra il grigio d’asfalto e cemento della metropoli e il blu verde predominante della triade cielo-mare-natura mi conquistarono all’istante. Cosa c’è di più seducente per un ragazzino che il sogno azzurro dell’estate tutto l’anno, dell’Africa in giardino tra gli oleandri e i baobab? Quel sogno esiste, mi dicevo, non è solo una canzone.
In Kenya, all’equatore, più avanti con gli anni, ho trovato il “lato B” di Como. Gli spazi infiniti contro i limiti del lago, l’orizzonte tra oceano indiano e savana contro le montagne che te lo negano. Avventura (e rischio) si contrappongono al naturale senso di protezione che ti offre il paesaggio lariano, richiami ancestrali contro civiltà occidentale, vivere alla giornata contro le sicurezze a lunga gittata.
Anche la nostra vita è un passare spesso da un opposto all’altro, in attesa di giungere all’equilibrio di una maturità spontanea, che a mio avviso non deve essere mai coatta o imposta da elementi esterni. Per questo ho vissuto sette anni in Africa, sono tornato a Como nel 1998 e ho appagato la mia fame artistica scrivendo libri, articoli, incidendo dischi e salendo su centinaia di palchi, per poi decidere serenamente, quattro anni fa, di rituffarmi nella magia del mio Kenya. Ora penso di avere trovato l’equilibrio: vivo in un Paese di cui amo il clima, il cibo, la Natura, dove quando chiudo l’ufficio in pausa pranzo vado a buttarmi in acqua, dove non esistono lo stress, il traffico e altre deviazioni della società, dove sono convinto di poter crescere al meglio mia figlia Agata Zena, nata a gennaio di quest’anno. Ma allo stesso tempo faccio il mio lavoro di giornalista con il portale malindikenya.net, continuo a scrivere libri e canzoni e soprattutto a preparare ogni anno il mio ritorno in Italia per farmi attrarre ancora una volta (ma a piccole dosi) dagli opposti.

(Per "Magazine" de La Provincia. Maggio 2009