venerdì 29 novembre 2013

STORIE DEL JAHAZI: LA FUGA DELL'ARBITRO


Sarà perché i calci dati a piedi nudi, senza parastinchi e calzettoni ti rimangono come segni di vera battaglia, sarà perché un derby, per quanto non sia quello di Manchester o Boca-River, è sempre un derby e qui coinvolge dirimpettai dello stesso scassatissimo quartiere. E poi qui il derby si gioca almeno venti volte all’anno, è un campionato a due: Young Stars e Majengo United. C’è chi tiene lo “storico” dal 1963, c’è chi preferisce cominciare ogni volta da capo, com’è tradizione della vita africana.
Ieri pomeriggio è andata in scena l’ennesima rappresentazione sacra del nostro tempo, come diceva Pasolini. Il campo di sabbia teatro della partita ha il cielo come gradinate e il mare dietro al posto delle tribune. Non è lo squallore del Tirreno in fondo alla Circonvallazione Ostiense, dove l’ultimo grande intellettuale dei nostri tempi fu tradito come Cristo, ma un infinito Oceano pieno di vita e di storie minori che Pasolini intuì quando esplorò questa fetta d’Africa e che avrebbe raccontato meglio di me.
Più di quattrocento anime di Shela assiepano lo stadio di sabbia, cielo e oceano. Sventolano bandiere di stracci, suonano rudimentali trombe di latta, percuotono bidoni e agitano maracas costruite con bombolette spray riempite con gusci di vongole. A pochi minuti dalla fine il misfatto: l’arbitro Samir fischia un rigore che per quelli delle Young Stars appare inesistente. Lo stupore dei giocatori avversari fa il resto. Portiere e difensori vittime della decisione si scagliano contro Samir, entrano in scena i tifosi. Il campo diventa un polverone, volano piedi, mani e teste che pare una Guernica senza sangue e con i suoni delle risse popolari.
Grida, invocazioni, mischie da rugby e poi la fuga. Samir non è mai stato così veloce, la sua giacchetta nera dribbla le apecar in strada e cerca rifugio. La guardia fuori dal Jahazi Bar & Restaurant, il mio locale di fronte al campo di gioco, cerca a sua volta di placcarlo, ma Samir lotta per la sua incolumità e sguscia dentro. Mi guarda con gli occhi dell’antilope inseguita da una federazione di felini affamati.
“Proteggetemi”.
L’allenatore delle Young Stars mi conosce bene. Sharifu è anche il vicecapo dei vigili del fuoco. Mi ha venduto lui l’estintore per il ristorante. Dietro di lui si assiepano fuori dal locale trecento tifosi inferociti.
La federazione felina.
Dall’altro lato della barricata, due turisti napoletani bevono birra e sgranano gli occhi. Non hanno ancora capito cosa stia accadendo. Il marito cerca di far funzionare l’Ipad come fotocamera, ma gli prende una naturale ansia da prestazione. Non si accorge nemmeno che la moglie è fuggita all’interno del bar e si è riparata nella toilette temendo il peggio, neanche fosse la guardalinee.
Basta invece un po’ di diplomazia occidentale, accomodante e paracula, ma anche un po’ spietata. Quella che ha fatto la fortuna di gente come Henry Kissinger e Condoleeza Rice. Si inizia con parole di conforto, sguardi rassicuranti, e poi si consegna la vittima ai carnefici, con l’assicurazione che non gli verrà fatto nulla di male né ora né qui davanti.
Buona fortuna Samir!
(per la cronaca, la partita è ripresa qualche decina di minuti più tardi, il rigore è stato annullato e il derby è terminato senza vinti né vincitori).