mercoledì 30 dicembre 2009

L'ULTIMO RACCONTO DELL'ANNO: "UN SACCO DI PENSIERI"

Pensò dietro di sé, e il pensiero gli si aggrappò alla schiena come uno zaino che si riempiva di difficoltà man mano che la strada diveniva più agevole.
Non riusciva a liberarsi dello zaino, che aveva preso forma, incollato alle sue spalle.
Meditò furbescamente di farsi rubare il contenuto da qualche malintenzionato.
Si addentrò nel quartiere proibito e ne esplorò il perimetro, fin quando due neri saltarono fuori come dal nulla che era più nero di loro e lo presero a calci.
Non sentiva dolore, lo zaino proteggeva il suo corpo dalle botte.
Non ci fu niente da fare. I due avevano cercato di liberare quell'enorme borsa dalle spalle della vittima, ma era come attaccata alla carne.
Allora la aprirono, cercando di svuotarla ma, appena ci misero le mani dentro, risucchiò come fosse un aspirapolvere i due malcapitati e li ridusse ad una semplice difficoltà in più. Con il suo bel peso.
Adesso era persino ridicolo, un uomo di media statura, con due braccine da impiegato e questo gigantesco fardello dietro le spalle. La gente non credeva nemmeno agli occhi di quelli che lo additavano e si fermavano incuriositi al suo incedere appesantito ma indifferente, gobbo e rassegnato.
Immaginava la fatica che avrebbe fatto a trovare la posizione per dormire, per sedersi a mangiare, per andare al gabinetto. Nessuna donna avrebbe voluto fare l'amore con lui, neanche la più squallida delle prostitute.
A mezzanotte si presentò, ormai stremato, al pronto soccorso.
"Si tolga quello zaino, altrimenti non passerà dalla porta" lo avvertì il receptionist.
"Magari potessi..." sbuffò lui "sono qui per questo"
Il medico di turno era esterrefatto. L'infermiera si sporse troppo e ci rimise la parrucca bionda.
"Non sapevo che avesse i capelli corti..." sorrise il medico, notandola seriamente imbarazzata.
"Insomma, vogliamo risolvere il problema?"
Provarono con un bisturi, ma un tascone dello zaino inghiottì pure quello. Un giovane apprendista, appena laureato e col pallino dell'omeopatia suggerì di somministrare all'insolito paziente un calmante.
Dopo due ore lo zaino si afflosciò, riducendo sensibilmente il suo peso.
Aveva eliminato qualche difficoltà, ma non ne voleva sapere di staccarsi.
"Infermiera!"
La donna dai capelli corti aveva già capito. Era l'ultimo tentativo, per il bene della scienza, per entrare nella storia e per recuperare la sua parrucca.
Si spogliò ed iniziò a lavorare sopra all'omino con lo zaino. Mentre l'uomo pareva non rispondere alle sue sollecitazioni, lo zaino s'irrigidì, raggiungendo dimensioni insospettabili, scalzando l'infermiera dal lettino e risvegliando il paziente.
"Siete dei buoni a nulla, guardate cosa avete combinato!"
Si rivestì e guadagnò l'uscita.
Adesso il borsone era sicuramente più leggero, ma sembrava ci fosse dentro una canoa, il poveretto doveva piegarsi e tenerlo, eretto, in posizione orizzontale.
Man mano che gironzolava per la città, cresceva la curiosa partecipazione delle persone che lo incontravano e si chiedevano perché mai recasse con sé quell'incredibile zavorra, e soprattutto cosa ci fosse dentro.
"Non l'aprite, o sarà peggio per voi!" gridava a tutti.
Purtroppo non fece a tempo ad accorgersi di un bambino curioso, che divenne il primo passeggero della canoa.
Non mi resta che il suicidio, pensava.
Ad un tratto ebbe un'idea.
Ma sì, come aveva fatto a non pensarci prima?

FINE PRIMA PARTE

martedì 29 dicembre 2009

L'ULTIMA POESIA DELL'ANNO: VIVERE ALLA GRATIS

Esentarsi dall’ora di religione
E di educazione Risiko
Immolare il fegato
All’altare del dio bourbon
E suonar commossi altri organi
In un salmo idiota
Con un titolo d’amore
Smettere di tirar pugni al bar
E, a intervalli aritmici,
di tirare cocaina
di fumare marijuana
di impastigliar la mente
e i nervi
di scambiare la vodka
con i sali minerali
ma avere fughe minorenni
per il gusto del vero
e per mantenere
aneliti illegali
rensugar chili di maccheroni
di pancetta panna e peperoncino
allungando la solfa
con gravi e sapienti
dosi di salsa cruda
poi, non contenti,
dedicare la ricetta
a un noto cantautore folk
senza voce in capitolo
capitolare sul mito
di capitan Tuttofare
recitando il rituale
di chi è sconfitto
proprio mentre stava
perdendo male
morire d’amore
o di mandorle amare
col senno di poi
sul seno di lei
morire nel sonno
sognando di vivere

domenica 27 dicembre 2009

TIFARE GENOA IN AFRICA FA BENE ALLA SOLIDARIETA' (da La Provincia)

Quando Alfredo del Curatolo, giornalista, scrittore, cantautore, performer, chef, insomma, uomo dal multiforme ingegno si disse, e disse agli amici, «mollo tutto e vado, anzi torno in Africa», ormai cinque anni fa, tutti i suoi conoscenti si posero una fondamentale domanda. Non «di che vivrà, come farà, ce la farà?» e neppure «ma sei sicuro di riuscire davvero a lasciarti l’Italia alle spalle una volta per tutte, a diventare un keniota, a considerarti un turista a casa tua ogni volta che vorrai tornare indietro?». No, niente di tutto questo. La domanda che tutti gli amici di “Freddie” si posero è: «Ma è pazzo? Come farà a seguire il Genoa?». La squadra del cuore, quella che non si può dimenticare, quella che non si può cambiare neppure cambiando stile di vita, nazionalità e pure continente. Difficile seguire il campionato, le sorti del più antico “cricket and football club” d’Italia da laggiù, appassionandosi alle sorti dell’undici di Gasperini senza esserci, senza leggere la «Gazza» tutte le mattine, senza seguire gli interminabili dibattiti televisivi, insomma, tutto quanto fa calcio quassù.
Difficile, forse un tempo, ora di meno nell’era del satellite e, comunque, il difficile non è mai impossibile. Così Freddie ha fondato il «Genoa club Malindi» e, ora, ha tradotto questa esperienza in un libro presentato prima a Genova, ovvio, e poche ore prima di Natale anche a Como, a Villa del Grumello, grazie all’associazione Karibuni che realizzerà il progetto finanziato proprio dai proventi del volume edito da Antonello Cassan editore di «Liberodiscrivere»: una scuola calcio ideato dalla onlus comasca in collaborazione con il Genoa in favore dei ragazzi del distretto di Malindi che si legheranno, così, ancora di più a quella che è diventata anche la loro squadra del cuore. Un’esperienza che del Curatolo sintetizza così: «La squadra più antica d’Italia che torna nell’Olimpo del calcio, un manipolo di tifosi che la seguono con ansia ed entusiasmo dall’Africa, i loro amici kenioti che guardando le partite in tv ne sono conquistati. "Genoa club Malindi" non è soltanto la storia di una passione calcistica, ma anche uno spaccato della vita dei nostri connazionali nel Continente Nero, perché il "mal d’Africa" a volte ricorda la fede incrollabile in un team sportivo, specialmente se si tratta del Genoa, culla della civiltà pallonara così come l’Africa è culla dell’umanità».
Il tutto, come sempre accade con Freddie, con grande ironia e tanta voglia di giocare, anche restando lontano dal campo del Ferraris.

Alessio Brunialti

giovedì 24 dicembre 2009

NATALE

Si ringrazia Gesù per aver inventato il Natale.
Si ringrazia Fabrizio De André per avere inventato Gesù.

(Delcu & Sapo, "Nero Natal" 1990)

LA VIGILIA


Come il bocciolo che attende la rosa
come il silenzio il suo colpo di tosse
un rosso tramonto la sera odorosa
le stelle lucenti, nuvole mosse.
Come l'altare aspetta la sposa
oggi vorrei che la vita attendesse
che questo cuore sempre vivesse
la dolce vigilia di qualche cosa.

Freddie del Curatolo

mercoledì 23 dicembre 2009

IL MERCANTE IN FIERA DI MALINDI PER BENEFICENZA (da www.malindikenya.net)


Un gioco nuovo partorito dalla fervida mente del disegnatore milanese Max Banfi e di Freddie del Curatolo. Sabato 26 dicembre al White Elephant alle 20.30 (con cena a buffet di cui parte del ricavato va in beneficenza a Karibuni Onlus) va in scena il "Mercante in fiera di Malindi", tipico gioco natalizio rivisitato in chiave keniota, con carte che illustrano arti e mestieri malindini. Si potranno acquistare, all'asta bandita da Freddie, "L'askari" o "il Tuk Tuk", ma anche aragosta e granchio, o "Il giocatore del casino" e "La studentessa di Nairobi", figure neanche tanto retoriche. Il ricavato del gioco, i cui vincitori avranno comunque premi messi a disposizione da negozi e attività malindine, andrà in beneficenza alla Onlus Karibuni per la costruzione del pozzo nella scuola elementare di Gede. Per partecipare al Mercante in fiera più originale dell'anno è sufficiente prendere parte alla cena, alle 20.30. Si consiglia di prenotare, telefonando allo 0733/809963.

martedì 22 dicembre 2009

IL CALCIO DOVREBBE ESSERE PASSIONE (da www.gigicagni.it)


C’è un termine che oggi non viene usato,o quantomeno usato poco, è: “PASSIONE”. In tutti gli ambiti lavorativi difficilmente si vedono persone trasmettere con i propri occhi il piacere e la voglia di comunicare il desiderio di migliorarsi per ottenere il massimo nella propria attività. E’ il mio cruccio di oggi, e la colpa è del sistema che si è instaurato nell’era moderna e cioè: tutto deve essere fatto in fretta per ottenere il massimo subito, senza costruire basi solide per la durata nel tempo visto che, sembra, il domani non interessi a nessuno. Poi, però, ti capita di conoscere in Kenya un personaggio come Freddie che quando parli di calcio e soprattutto di Genoa si illumina e sprizza passione da tutti i pori. A Malindi ha costituito un Genoa Club e ha scritto un libro (clicca sull’immagine se vuoi maggiori info o per acquistarlo) che accomuna il continente africano al Genoa. Sta anche istituendo una scuola calcio per fare appassionare al calcio italiano i bambini del luogo, perché loro seguono il calcio inglese e quindi le squadre britanniche. Se vi capiterà di leggere il suo libro (Genoa club Malindi cronaca di una stagione indimenticabile dall’africa all’europa) capirete il motivo per cui ho accennato a questo episodio sul mio blog che dovrebbe parlare di tecnica e di tattica. Penso che chi ama il calcio come me ne avrà capito il motivo e cioè, se parli con persone che vivono a 8000 km dall’Italia e che anni fa quando non era ancora arrivato il satellite avevano una radio militare per sentire le cronache delle gare riunendosi in una casa per fare il tifo alla propria squadra,sfottò compresi, non si riesce a comprendere perché chi ha la possibilità di viverlo in diretta sta cercando di renderlo sempre meno appassionante, più egoistico e strumentale. Senza PASSIONE ne abbiamo voglia di parlare di tattica e tecnica! Se è il denaro lo scopo principale, difficilmente ci si può migliorare, perché l’ obiettivo principale è il guadagno e non la programmazione di un futuro che ci possa permettere di GODERE di questo splendido sport. Fortunatamente la storia ci ha insegnato che è sempre questione di cicli,basta avere pazienza e continuare a trasmettere con le proprie azioni, conoscenza e passione e tutto tornerà ad essere godibile come lo era. Il mio non è pessimismo, anzi, al contrario, ho la convinzione,visto i risultati che stiamo ottenendo, che sarà inevitabile tornare all’essenza dei valori che hanno portato il calcio ad essere il gioco più amato nel mondo.

Gigi Cagni

lunedì 21 dicembre 2009

LA ZAMPA, LA NUVOLA E LA SFIGA DELL'AFRICA

Nonno Kazungu sedeva all’ombra del grande baobab, quello che da cento generazioni ascolta le storie del villaggio e non hai mai sentito una bugia. Qui il vento raccoglie le menzogne all’istante e le mescola alla polvere della grande strada argillosa. Restano basse, terrene come le vere miserie umane, che sono più misere del piatto di polenta e fagioli del lunedì. Solo le parole umili e sincere raggiungeranno le nuvole. Per quelle non ci vuole un gran vento, basta un leggero soffio.

“Hanno rinviato la partita del Genoa, Kazungu. E’ saltata la vendita per beneficenza del mio libro che avrebbe aiutato i bambini della scuola calcio rossoblu di Gede”
La smorfia del nonno era allo stesso tempo un punto di domanda di rughe e un’imprecazione di sorriso.
“Perché l’hanno rinviata?”
“Per il ghiaccio”
“Mah…qua al massimo per il ghiaccio l’uomo bianco si prende una cagarella, quando si beve una caipirinha”
“Eh, lo so Kazungu, ma nei giorni scorsi, come dice Kitsao, il Dio dell’Italia aveva la forfora”
“Troppi pensieri…”
“Comunque niente partita, e niente fondi per iniziare la costruzione del pozzo per l’acqua”
“E senza pozzo, niente acqua per il cemento, l’erba del prato…”
“E senza cemento, niente spogliatoio con le docce, che poi avranno anche loro bisogno dell’acqua”
“La solita sfiga dell’Africa”
“Sì, ma la sfiga dell’Africa non è quasi mai casuale, spesso c’è dietro la mano dell’uomo. Intendiamoci, quella mano può essere bianca o nera. Ma resta una mano, non è una zampa o una nuvola”.
“Hai ragione Kazungu. Peccato, però. Era tutto pronto, la società aveva appoggiato l’iniziativa (poi magari un giorno darà anche dei soldi veri…) e l’altoparlante dello stadio avrebbe diffuso un comunicato a più riprese, i volontari dei Grifoni in Rete erano già organizzati…”
“L’Africa è abituata a perdere i treni. E dire che ne passano così pochi…ma ha sempre la pazienza di aspettare una nuova occasione, una nuova zampata!”
“L’occasione arriverà, mio caro nonno, ma sarà certo minore. A Natale tanta gente avrebbe comperato il libro come regalo, se la faremo contro il Catania o più avanti, non potremo contare su questo effetto”
“Certo…per fare delle cose buone ci vuole sempre una scusa…altrimenti non ne abbiamo il coraggio”
“E’ così. Però per iniziare basterebbe che tutti quei tifosi che hanno ringraziato la Prefettura per il rinvio della partita, perché avevamo i giocatori stanchi e infortunati, o perché c’era la neve ci avrebbero messo due ore in più ad arrivare allo stadio, comprassero una copia del libro. Sarebbe già una buona partenza per noi”.

Io invece ho dei ringraziamenti veri da fare. E sono quelli ai fratelli dei Grifoni in Rete che, coordinati da Pato, con il presidente Ski, Giovanna e tutti gli altri, si erano già organizzati, sotto un freddo che nonno Kazungu nemmeno si sogna, per vendere il libro all’interno dello stadio con il solo intento di aiutare un amico lontano a fare qualcosa di buono e di rossoblu per un po’ di bimbi in Kenya. Un treno di ghiaccio se n’è andato senza di noi, ma avremo tante altre occasioni per vincere le nostre sfide alla miseria e all’indifferenza, con una zampata o un soffio di nuvola. Grazie fratelli, buone feste!

sabato 19 dicembre 2009

UNA SCUOLA CALCIO ROSSOBLU IN KENYA. LIBRI IN VENDITA PER FINANZIARLA


DOMENICA 20 DICEMBRE PER GENOA-BARI VENDITA BENEFICA DEL LIBRO “GENOA CLUB MALINDI”. IL RICAVATO ANDRA’ ALLA ONLUS
KARIBUNI PER UN PROGETTO DI CALCIO E SOLIDARIETA’ IN KENYA
LA SOCIETA’ GENOA SOSTIENE IL PROGETTO, NATO DAL BEL LIBRO DI FREDDIE DEL CURATOLO, SCRITTORE GENOANO CHE VIVE A MALINDI E SI OCCUPERA’ PERSONALMENTE DELLA SCUOLA CALCIO


Uno scrittore che vive in Kenya, in mezzo a una realtà povera e piena di problemi, un’associazione Onlus che da anni lavora per migliorare le condizioni di vita a migliaia di bambini, una società calcistica che decide di collaborare per dare una speranza a molti di loro attraverso il giuoco del calcio, che li può educare, togliere dalla strada e invogliare allo studio.
Nasce così il progetto della Scuola Calcio Genoa a Gede, vicino a Malindi.
Un progetto che ha iniziato a sostenersi con la vendita di un libro molto appassionato e decisamente genoano: “Genoa Club Malindi”, in cui si raccontano le vicissitudini dei grifoni d’Africa e la vita di tanta povera gente che si avvicina al calcio e al mondo rossoblu, i cui valori ricordano tanto la storia della squadra più antica d’Italia e il cui amore dei tifosi rimanda a un sentimento profondo ed eterno come il “mal d’Africa”.
Domenica 20 dicembre, in occasione della partita di campionato Genoa-Bari, fuori dallo stadio Luigi Ferraris la Karibuni Onlus, attraverso tanti tifosi che si sono offerti volontari, appronterà banchetti con la vendita del libro, edito dalla casa editrice genovese “Liberodiscrivere”, il cui ricavato andrà interamente a finanziare il progetto, che prevede il rifacimento di un campo da calcio in una scuola elementare vicino a Malindi, la costruzione di uno spogliatoio con docce e servizi, di un’aula per le lezioni di sport, una recinzione e il pozzo per l’acqua. Queste le basi per la scuola calcio, che il Genoa Cfc aiuterà nel suo sviluppo. Per il primo anno saranno scelti 25 bambini tra i nove e i dodici anni, in base anche al rendimento scolastico, e verranno portati alla fine del ciclo scolastico (in Kenya le elementari durano 8 anni) con la possibilità di avere borse di studio grazie anche agli allenamenti e all’inserimento nella scuola calcio. Anche i tifosi potranno interagire, aiutando direttamente i ragazzi con le adozioni a distanza tramite Karibuni Onlus. (informazioni su www.karibuni.org). Si tratta della prima iniziativa “no profit” di questo genere da parte di una società calcistica in Italia.
E come sempre, i primi siamo noi genoani!


ACQUISTATE UN LIBRO O REGALATELO PER NATALE! AVRETE FATTO UNA PICCOLA GRANDE AZIONE
TUTTA ROSSOBLU PER AIUTARE I BAMBINI KENIOTI.

venerdì 18 dicembre 2009

ARTIGIANO DI PAROLE: TRE RECENSIONI PER TRE FRATELLI


Quando un fratello ha un figlio, specie se è il primo, è un giorno in cui la gioia ha la precedenza su tutto il resto. Ci vuole un po’ di tempo prima di metabolizzare e guardare tuo nipote con occhio critico, distaccato, imparziale. A volte non ci si riesce mai.
La stessa cosa è accaduta per il disco d’esordio di un fratellino che oltretutto è stato missato, prodotto, e per buona parte arrangiato e suonato da un fratellone. Mai potrò essere obbiettivo e lanciarmi in un singolo, neutrale giudizio.
Così meglio essere doppio, anzi triplo.
Perché in tre siamo.
Tre fratelli.

RECENSIONE PER PIERETTO

“L’ARTIGIANO INQUIETO SOSPESO TRA RABBIA E POESIA”

Quando pensi a un artigiano, pensi a uno di quei mestieri quasi dimenticati dall’uomo moderno.
Al mestiere, alla pazienza, all’arte al servizio della quotidiana lotta per il pane, all’umiltà, alla semplicità e alla sincerità della vendita al minuto, alla cura dei particolari, al rispetto delle tradizioni o dell’idea primordiale. Se un cantautore si definisce “Artigiano di parole”, lo farà con la presunzione di chi vuole chiamarsi fuori dalle elette schiere e staccarsi preventivamente le etichette su vestiti finto consunti? Oppure cavalcherà mode “vintage” recuperando suoni e stilemi dei decenni scorsi? O ancora, ci dirà qualcosa contro la mercificazione, la globalizzazione della canzone, sia pure quella d’autore?
Niente di tutto questo, “Artigiano di parole” è un esordio discografico puro e vivo come uno scalpello che incide sul legno, netto e arrabbiato come un martello che batte sul ferro. Morbido e avvolgente nei suoi momenti intimisti come mano che intaglia, ruvido e spietato nelle esplosioni rock a guisa di arnese da fabbro.
Puro e vivo, perché trasuda dell’energia dell’autore, il brianzolo Paolo Pieretto. Trent’anni, da una decina convinto che la musica sia la sua bottega, schietto e sofferto come chi ha fatto l’operaio per pagarsi la vita da cantautore, mica cazzate da biografie di X Factor. E allora ben vengano sette, otto anni per scrivere le canzoni (ma è solo l’arco temporale, spesso sono uscite di getto e “buona la prima”), ben vengano trentasei mesi perché queste diventino album. Perché di un artigiano si valuta l’oggetto finito, non il tempo impiegato o gli strumenti utilizzati.
Il viaggio incomincia con l’invito di “Sei veramente pronto?”, rockeggiante ballata generazionale che attraverso una domanda che ha già in sé la risposta (negativa) analizza l’indolenza dei giovani di oggi, l’incapacità di lottare per un ideale. Ed è una sorta di legenda del disco, perché Pieretto, con questa rara commistione tra candore e cinismo, tra rafano e miele, ci porta attraverso sentieri di campagna che rincorrono storie anche infantili, sogni germogliati di dentro e sublimati in ambizioni, stile di vita, aneliti di libertà, pensieri ricorrenti divenuti prese di posizione nette e violente. Accade in “Supermarket Italia”, brano datato ma mai fuori moda (purtroppo), in cui si scava nelle radici del razzismo italiano, chiamando in causa paure ancestrali e il mai risolto conflitto d’interessi tra peccato e assoluzione che regola la morale cattolica nel nostro Paese. Di questa insofferenza ci sono tracce anche in “A un metro dalle nuvole”, dove l’intimità e la poesia trovano improvvisi lampi di nichilismo e squarci anticlericali (“sotto le tombe dei papi e i loro ori/dio che possano bruciare con tutti quanti i loro dei/per altri mille giubilei”).
L’artigiano vive di inquietudini, senza queste il suo mestiere non si rivelerebbe con gusto e musicalità. Di questa serena e propositiva rassegnazione è fatta “Stanotte”, che invita a riappropriarsi almeno dei sogni, e di sentimenti genuini vive la politica, dell’impossibilità di non farsi domande la sospesa suite “I nostri piccoli passi” per tornare “A un metro dalle nuvole”, che meglio di ogni altro quadro esprime il pensiero dell’autore, con un verso che il più grande Artigiano di tutti, Léo Ferré avrebbe amato con un sorriso (“…gli anarchici sono come i miei capelli/sempre di meno sempre più ribelli/sarà che sono rimasti gli ultimi/ma mi sembrano i più belli/ma mi sembrano i più veri…”) . Oltre al divertimento di “Bambino disobbediente”, che sembra spostare leggermente il tiro ma svela anche il lato ironico di Pieretto, altrove coperto dallo spirito “contro”, ci sono anche episodi minori, forse ingenui o mai ritoccati per troppo amore (Luna Brigante). Ma per un artigiano le canzoni sono figli, e vanno cresciute nel rispetto della propria somiglianza. Guai a imbastardirle. In un esordio discografico si può perdonare qualche caduta di stile, qualche licenza grammaticale di troppo e un linguaggio non sempre omogeneo. L’importante è come Paolo porge le sue creazioni. Senza la supponenza che mostrano oggi molti di quei rari, auto referenziati “artigiani” che si ritengono fenomeni “di nicchia”, ma con la naturale schiettezza di chi racconta di sé e delle proprie sconfitte interiori, per raccontare quelle della gente comune e chiamare a sé, con l’immenso bisogno di accettazione e identificazione, chi condivide lo stesso suo amore per la vita. Di questo amore, profondo e senza limiti per la canzone e per chi a lui ha dato affetto incondizionato, Paolo ci fa partecipi e ci emoziona nella “ghost track” che da il titolo all’intero lavoro. Senza la presunzione di recensori seriali o primedonne della penna, privi della saggezza e della coscienza di un padre, ma avendo conosciuto l’artigiano per quello che è, possiamo dare per certo che mamma Gianna sarebbe stata fiera di questo album, almeno quanto lo era del grande cuore del suo piccolo Artigiano di Parole.


RECENSIONE PER CUFONE

“L’EQUILIBRIO E IL PIACERE DI UN ALBUM SENZA TEMPO… NE’ TEMPI”

Franco Cufone. Sound Engineer, musicista, arrangiatore e ora anche produttore. Mago degli editing, con decine di album all’attivo, ha missato tra gli altri Pitura Freska ed Elio e le storie tese, più un novero di artisti minori e di gruppi jazz e fusion, piuttosto che dance e post-punk. Così è perché Cufone si nutre di musica a 360 gradi e cerca di assorbire il buono da ogni genere e proposta. Finalmente con “Artigiano di Parole” questo versatile e imprescindibile “regista” della discografia, artista aggiunto dietro le quinte, si mette in mostra con un lavoro che, grazie anche a Paolo Pieretto, gli somiglia molto. Semplice ma non banale, discreto ma non dimesso, cantautorale ma non di nicchia, rock raffinato ma mai snob. Fondamentalmente un lavoro onesto, dal grande cuore e per nulla invadente, ma affatto anonimo. Marchio di fabbrica, l’editing all’inglese (ma poco pop) che tiene la voce poco più che allo stesso livello degli altri strumenti. Voce che esce nelle ballate lente e che, per chi è abituato alla musica italiana, affoga un po’ tra maree di chitarre e il pienone della sezione ritmica. Il lavoro di Cufone è comunque immenso e fondamentale per “Artigiano di parole”, disco che senza di lui non sarebbe mai uscito in questi termini e con tali risultati.
Peccato per la traccia iniziale, “Sei veramente pronto?” che è un’occasione non persa ma buttata un po’ lì. Il pezzo c’è, la vocalità di Pieretto è al massimo delle sue possibilità, ma l’arrangiamento non cresce e passi per il primo ritornello, nemmeno il secondo lo lancia. Sarebbe bastata una costruzione ritmica diversa, un fender rhodes o comunque un tappeto glorioso di tastiere. Oppure, diversamente, un’esplosione di metallo nelle chitarre. Il brano, che ha un forte potere emotivo, finisce come è iniziato e risulta un po’ piatto. Un’intuizione alla Carlo U. Rossi (l’arrangiatore degli archi di Viva la Vida dei Coldplay) non era sgradita. Il pelo nell’uovo, tuttavia, è proprio all’inizio, poi l’album si snoda tra episodi decisamente ben strutturati (“Echi di luna”, “I nostri piccoli passi”) e arrangiamenti compositi su cui si è osato ma, a mio avviso, non abbastanza (“Supermarket Italia”, “Stanotte”, dove il cantato rimane un po’ a se e quello “Stanotte U. Stanotte” provoca un ingenuo sorriso, sotto il tappetino rock così leggero). C’è da dire che Franco U. Cufone non ha scelto personalmente tutti i musicisti (però si è affidato al solito grande Jantoman per certi fronzoli) e non è colpa sua se a volte la sezione ritmica non è all’altezza della scrittura musicale (con tutto l’amore possibile per Davide U. Livio, contrabbassista reggae di chiara fame), così come non sempre la voce di Pieretto è all’altezza delle evocative atmosfere nelle suite dove c’è raffinatezza a pacchi.
In definitiva, comunque, un bel lavoro e soprattutto un album partorito nei tempi consoni a far rendere in maniera ottimale il buon Cufone l’Africano. Un lavoro finalmente anche suo e portato a termine con gioia, orgoglio e voglia di trasmettere qualcosa, anche solo con uno strumento al posto giusto o un “vestito” musicale particolare. In questo Cufone è un vero “Artigiano del suono”.



RECENSIONE PER FREDDIE

“UN ALBUM CHE ANNUVOLISCE DI SGUINCIO TRA I CHIARISCURI”


Partiamo dai testi, che poi è il mio mestiere. Innanzitutto le scarpe non si indossano, ma si calzano. Capisco la licenza poetica, capisco l’amore per i folk singer americani (per loro è normale dire “dress the shoes”, magari “blue” and “suede”, ma quelli avevano Toro Seduto, bellissima persona, per carità, duro e puro, quando da noi Dante era già antiquato) ma per uno che ritiene più importante la marca dei suoi stivali che quella della chitarra, pare il minimo che conosca anche il verbo che se li gestisce. Peccato, perché “I nostri piccoli passi” ha un’atmosfera dolce e coinvolgente, squarciata però da domande che non solo non fregano un cazzo a nessuno (“Quanto distano le stelle più vicine dalle scarpe che indosso”), ma quasi fanno rimpiangere Marzullo perché non sono capaci di darsi una risposta (“Non lo so”) però ci rassicurano con un calcolo quasi matematico (“Certamente molto più della somma dei passi che ogni uomo in una vita muoverà”). Grazie, Pieretto per queste grandi verità, ne avevamo proprio bisogno in tempi balordi come i nostri. Speriamo che in un secondo, in un terzo album tu ci possa regalare altre inconfutabili verità. Posso suggerire “Quanto costano le case a Fiumicino/dalla spiaggia fino al fosso/certamente molto più dei biglietti degli aerei che ogni uomo in una vita comprerà”. Magari il calcolo è anche più interessante…
Passiamo agli errori veri e propri, che nessuna licenza poetica e nemmeno una licenza di caccia per sparare fucilate alla grammatica italiana possono cancellare: il plurale di “chiaroscuro” è indiscutibilmente “chiaroscuri” e non “chiariscuri”. Per carità, la cultura e le basi della lingua italiana sono un optional, ormai. Da ignoranti si può fare carriera politica, si può diventare giornalisti, imprenditori, attori. Evidentemente anche cantautori. E ci sono anche ignoranti che mi emozionano. Però quel che non sopporto è la presunzione (di chi si crede migliore di me) di poter fare a meno delle regole della nostra lingua e poi pretende di criticare un testo di De Gregori o le sospensioni di Vasco. Prima dell’incisione dell’album, avevo già fatto notare questo strafalcione a Pieretto, ma lui col candore tipico di chi ha saldato parti meccaniche per sei ore e può permettersi di mandarti a quel paese, mi spiegò che a quei testi era affezionato e non li avrebbe cambiati per niente al mondo. Le sue canzoni nascono da sole e vengono fuori già con le parole. Già, le sue canzoni son come i fiori nascon da sole son come i sogni. Infatti esistono anche i brutti incubi e i fiori che odorano di merda.
Ma attenzione, pur facendosi beffe della grammatica italiana e sciorinando versi come un ungherese approdato a Lecce durante la seconda guerra mondiale, il metalmeccanico di parole ci regala addirittura un neologismo, che (ma guarda l’umiltà…) mette però tra virgolette. (Quand’ero sole “annuvolivo” per la paura di apparir sereno).
Ma che bella forma verbale! Peccato che esista già un verbo che esprime questo concetto, che è anche riflessivo e ci sta bene in metrica: rannuvolare. E non c’è bisogno di usare il pronome, quindi “Quand’ero sole rannuvolavo” sarebbe stato perfetto. Però, quant’è bello inventare parole, e poi la canzone è nata così, mentre cantava in uno spiazzo antistante la cooperativa di Cernusco Lombardone…quindi…d’altronde se Bob Dylan “down in the street beside the Duluth general store” avesse scritto “When i was sun, i inclouded myself” oggi saremmo tutti lì a cantarla, soffiando su sbilenche armoniche e aggiustandoci la tesa del panama.
Ah, che bello essere un “hobo” di Paese…
Per il resto, a parte il fatto che mi piacerebbe vedere una lacrima in salita (“Di notte ci inseguiamo come lacrime in discesa”) magari vincere il Gran Premio della Montagna, voglio tranquillizzare il ragazzo: è da qualche anno che un’idea non spaventa più nemmeno un bambino del Darfur e chiunque sarebbe pronto a dimostrare al Neil Young di Casatenovo che un pugno in pieno viso fa più male di qualsivoglia pensiero espresso, o anche con la moka. “Perché un’idea” è un testo che poteva apparire superato anche se scritto nel 1969 e magari Bennato, il Re dei luoghi comuni e idolo nostrano del tornitore di parole, ci avrebbe marciato benino fino a metà dei Settanta. (“Perché un’idea fa più paura di una guerra sanguinaria…”).
Va bene il disco d’esordio, va bene riesumare brani scritti schiacciando gli ultimi brufoli della pubertà, ma metterli su disco e pretendere di farli ascoltare agli amici…Per fortuna che tutto si appiana, che il cuore torna ai suoi battiti regolari quando appare una luna “di sguincio”. Ah, ecco! Allora sì che siamo in mezzo alla Poesia…una bella luna brianzola di sguincio ci mancava. (“Luna di sguincio, luna che dormi”). Peccato non ci sia anche una stella balenga, un ciful di vento, un caldo dell’ostia e un cielo del menga…
Sembra che dovremo attenderci un secondo disco, perché l’artigiano scrive, scrive, scrive…con eroica propensione alla strage d’innocenti. Allora non è vero che “gli eroi son tutti morti”. No, infatti non è vero. C’è n’è uno in circolazione a cui auguriamo una lunga e serena esistenza.
E’ la compagna del Pieretto, persona adorabile e saggia che deve sorbirsi probabilmente un giorno su due una nuova composizione sgrammaticata, zeppa di neologismi e di idee che vanno oltre i divieti delle leggi e i silenzi dei giornali. Fino a quando, perché come la pazienza anche l’eroismo ha un limite, lo prenderà per mano e gli sussurrerà soavemente: “Vieni Paolo, vestiamoci di stelle, andiamo ad ammirare una luna di sguincio, lasciamo un sasso ad ogni minimo passaggio e restiamo a guardare il cielo riflesso nei nostri occhi al cielo. Però, mi raccomando, lascia stare la chitarra e per una volta trombami, santo Iddio!”

mercoledì 16 dicembre 2009

COSI’ FAN TUTTI: DIECI ANNI DI MUSICA


Non è soltanto la televisione, né l’eco da balera di chi, aggiustandosi il papillon e sfoderando un sorriso largo come l’apertura alare di Gianni Morandi e profondo come la scollatura di Sandra Milo, evocava i “favolosi anni Sessanta" e poi gli anni di piombo, gli edonisti anni Ottanta, il declino dei Novanta… non è l’unico motivo per cui anch’io mi sottopongo al giochino di fine 2009.
Ora tocca riavvolgere il nastro del primo decennio targato duemila, tanto per archiviare un nuovo file, perché di questo (e di jpg, e di mp3 e di filmati su youtube) è ora piena la nostra vita. Meglio catalogarla, suddividerla, frazionarla, creare sottocartelle sottocutanee…tanto per non rendere il ricordo dissimile dal presente.
E allora eccoci: pronte le classifiche di Freddie!

I DIECI DISCHI CHE MI HANNO EMOZIONATO, DIVERTITO, RILASSATO, IMPEGNATO, MODERATO, ESALTATO, AMMANSITO E TRASPORTATO DI PIU’ TRA QUELLI CHE MI VENGONO IN MENTE PER PRIMI:

STRANIERI:

Fiona Apple: “When the pawn”
Eric Burdon: “Soul of a man”
Nick Cave: “No more shall we part”
Mark Knopfler: “Shangrila”
Aimee Mann: “Lost in space”
John Mellencamp: “Life, death, love and freedom”
Steely Dan: “Everything must go”
Yusuf: “Another Cup”
Michael Franti & Spearhead: “Everyone deserves music”
Amy Winehouse: “Back to black”

ITALIANI:

Giorgio Gaber: “La mia generazione ha perso”
Bobo Rondelli: “Per amor del cielo”
Ivano Fossati: “Lampo viaggiatore”
Stefano Barotti: “Gli ospiti”
Daniele Silvestri: “Unò duè”
Vinicio Capossela: “Da solo”
Macina e Gang: “Nel tempo e oltre cantando”
Massimo Ranieri: “Oggi o dimane”
Bobo Rondelli: “Disperati intellettuali ubriaconi”
Jannacci Enzo: “L’uomo a metà”

Prego, i vostri…o i miei se credete me ne sia dimenticato qualcuno!
Anzi…vi frego citandovi altri artisti che mi hanno lasciato qualcosa: Anthony & The Johnson, Sodastream, India.Arie, Corinne Bailey Rae, Dave Matthews Band (per “Busted Stuff”), Mario Biondi (ora per la splendida versione di “Winter in America” di Gil Scott Heron), Donald Fagen (“Morph the cat”), qualcosa dei Macaco, Buddy Guy, James Taylor e…tanto se me ne viene in mente un altro modifico il post!

Non resta che augurarmi e augurarvi altri dieci anni di buona musica.
Che sia la colonna sonora di una buona vita.

mercoledì 9 dicembre 2009

CHE CINEMA, MALINDI !

Che Malindi sia il set ideale per ogni film non è un mistero. Non soltanto quelli che sono stati girati in passato e che potrebbero essere ambientati qui in futuro, ma anche quelli quotidiani che sfilano sotto gli occhi di noi tutti, le incredibili sceneggiature fornite da chi ci vive e si imbatte in storie che altrove potrebbero sembrare inverosimili. Altro che Bollywood, in questi film esotici c’è proprio di tutto: amore, mistero, abbandono, imprese eroiche e vili bassezze, piccoli grandi gesti quotidiani e storie fantastiche. Per non parlare dei dialoghi: lungometraggi che iniziano in kiswahili e finiscono in bergamasco, oppure documentari in inglese sottotitolato in inglese per far capire qualcosa anche agli inglesi stessi.
Insomma, che stupenda e infinita pellicola è la nostra cittadina. Proprio per questo meriterebbe un Festival del Cinema come altre località turistiche famose, come Cannes e Venezia. E per il premio, noi di statuette (d’ebano) ne abbiamo quante ne volete!
Eccovi allora in anteprima le nomination del Festival del Cinema di Malindi!

BALLANDO SOTTO LE ASCELLE
(Genere: Fantastico – Regia di Frank Mbuzi)
Un’appassionante e romantica favola metaforica sull’amore e sull’integrazione degli italiani a Malindi. E’ la storia di un pensionato italiano, Geremia, alto più o meno come il Ministro Brunetta, che s’invaghisce di una ragazza masai e la asseconda nella sua passione principale, che è il ballo nelle discoteche locali, dopo le due del mattino. Il povero vecchietto, pur di non lasciare la sua conquista da sola, si lancia ogni sera in pista, tra corpi che sudano e si strofinano e soprattutto guardando tutti all’altezza delle ascelle. Con l’attività motoria e il caldo, viene rapito da effluvi intensi d’Africa che in breve tempo diventeranno una sorta di droga e lo trasformeranno. Fino a quando, una mattina, si risveglierà completamente negro e fiero di esserlo…Commovente la scena dell’incontro con il suo compaesano sulla spiaggia, che abbracciandolo (in ginocchio) gli sussurra “Ora nessuno riderà più di te soltanto perché sei un nano!”

ULTIMO MANGO A MALINDI
(Genere: commedia – Regia di Nani Morettoni)
Durante la stagione delle piccole piogge, non si trovano più manghi. Una disdetta per il giovane Kaingu detto Giancesare che vuole conquistare la bella mzungu Caterina che ne è ghiotta. Quando finalmente, dopo innumerevoli ricerche, ne troverà uno grande e bellissimo, il perfido beach-boy Mwangolo detto Pierferdinando glielo ruba scappando in tuk-tuk. Dopo un inseguimento per tutta Malindi, il lieto fine. Kaingu detto Giancesare riuscirà a portare il mango, un po’ ammaccato per il vero, alla sua Caterina che però nell’attesa ha già divorato dieci papaie e non può giacere con il suo amato per via di una dissenteria fulminante. Indimenticabile la scena cult d’amore del rapporto contro natura con il Blue Band.

TRE UOMINI E UNA SHAMBA
(Genere: Grottesco – Regia di Alcool, Chapati e Charcoal)
Un classico di Malindi. Un italiano acquista un bel terreno a Mayungu per costruirci un residence a quattro stelle. Paga un prezzo d’occasione e riceve il suo titolo di proprietà. Ma quando si reca sul posto, trova già un muro di recinzione di corallo. L’ha eretto un altro italiano, che (dopo liti furiose e urla che coprono le reciproche ragioni) si scopre avere lo stesso title-deed intestato a quel terreno. Nasce una disputa tra di loro e tra i loro avvocati Omanji e Obevi, fino a che si rendono conto che in realtà chi ha fregato entrambi è l’ex proprietario del terreno, un ricco commerciante di origine araba. I due italiani decidono allora di allearsi, riuniscono gli avvocati Omanji e Obevi e si rendono conto anche che i due legulei hanno lo studio in comune. Tornano con loro nel terreno di Mayungu e scoprono che un terzo italiano nel frattempo vi ha già costruito una casa…il finale non ve lo raccontiamo ma potrebbe essere: 1. I due bloccano i lavori del terzo e (dopo liti furiose e urla che coprono le reciproche ragioni) scoprono che anche lui ha un titolo di proprietà intestato a quel terreno. Nasce una disputa tra di loro e i loro avvocati fino a che si rendono conto che in realtà chi ha fregato tutti e tre è sempre lo stesso ricco commerciante di origine araba. 2. Cercano di spiegare al nuovo inquilino che in realtà quel terreno è diviso in tre e provano inutilmente a vendergli le loro quote. 3. Presi dalla disperazione i due italiani occupano la casa e decidono che per una questione di principio rimarranno lì dentro fino a che i loro avvocati non verranno a capo della cosa. Il film prevede ovviamente un seguito: “Così è la vita in Kenya”.


FUGA DA ALRAZAK
(Genere: azione – Regia di Takeshi Katana)
Un’agguerrita coppietta di pensionati, Silverio e Robinia, che alloggiano in un appartamentino sul mare di 17 metri quadrati e vivono con la minima, accumulano debiti di gioco frequentando la cooperativa dei pescatori locali e sfidandoli a bao, una specie di dama locale. Sono sul lastrico, ipotecano l’appartamentino e tentano anche il suicidio, ingerendo dieci mandaazi a testa acquistati in un chiosco del centro con gli ultimi cinquanta scellini rimasti. Quando nella disperazione comunicano all’houseboy Vincenzino che sono costretti a licenziarlo, questi espone loro un piano diabolico. Vendendo il monoloculo sul mare e intascando il poco che rimane, saldati i debiti, possono prendere in affitto una stanza proprio sopra a un noto negozio di telefonini ed elettrodomestici di Malindi. Da lì, con pazienza si potrà progettare il colpo del secolo, perché in Kenya i piccoli negozi non hanno sistemi d’allarme. Con il bottino della refurtiva i due potranno ricominciare da capo costruendosi una capanna a Matsangoni, villaggio natale di Vincenzino, a pochi chilometri dal mare. E giocando a bao usando i fagioli al posto dei soldi…come finirà il colpo?


L’ULTIMO IMPRENDITORE
(Genere: Epico – Regia di Bernardo Bertucce)
Un capolavoro della cinematografia malindina. E’ la storia di un predestinato. In Italia, in provincia di Brescia, Furio Ghiriami faceva tutt’altro: rappresentante di calzature. Ma un giorno, per caso, si imbatte in un piccolo incidente stradale. Il facoltoso signore coinvolto nell’incidente è imbestialito perché scendendo dall’auto si è rovinato le scarpe. Stava per partecipare al Consiglio di Amministrazione di un’importante azienda, così Furio Ghiriami non ci pensa due volte ed estrae un campionario delle sue calzature. Fortuna vuole che Furio abbia il 42, numero del ricco uomo d’affari che non sa come ringraziarlo. “Mi ha salvato da una situazione imbarazzante, mi chiami, le farò una sorpresa”. Dopo due giorni Furio, incuriosito, chiama l’uomo d’affari e lui gli promette una vacanza in Kenya nel resort che ha appena acquistato. Così Furio si reca a Malindi e scopre il paradiso terrestre. “Vuoi fare il mio uomo di fiducia qui?” gli chiede il ricco signore. “Con vero piacere” risponde Furio. Il vivace bresciano s’innamora di una procace studentessa locale e le paga volentieri l’università, nel frattempo s’intrattiene anche con una segretaria d’azienda e un’operatrice turistica. Fino a quando i soldi dello stipendio del suo datore di lavoro non bastano più. Quindi decide di tornare alle origini e di fare le scarpe a tutti i ricchi uomini d’affari di Malindi. Fino a quando sarà lui a costruire il resort più lussuoso e confortevole di tutta la costa. Un palazzo di dodici piani in riva al mare tra Watamu e Kilifi, a forma di stivale. In onore non soltanto al suo Paese natio.

lunedì 7 dicembre 2009

RECENSIONE DI "GENOA CLUB MALINDI" su PianetaGenoa1893


Ci sono libri che ci passano sopra ,come un evento atmosferico. Ci sono libri che, invece, ci cambiano, senza che all'inizio ce ne rendiamo conto: “Genoa club Malindi “ è una di queste letture.
Come definirla? Per fortuna,non è possibile ricondurla ad un unico genere:scorrendone (anzi,divorandone!) le pagine troviamo il saggio,il racconto,la rievocazione autobiografica...insomma,una infinità di spunti,utili alla riflessione.
Per noi che amiamo, viviamo, ci occupiamo di Genoa è un grande onore scoprire l'autore come “uno di noi”. «Non ho inciampato nell'esistenza di un altro uomo o donna - scrive l'autore Freddie Del Curatolo - non ho diviso il destino con un personaggio famoso o con un parente stretto. Fin da ragazzo ho legato gli avvenimenti più belli o più tragici della mia vita con il Genoa o con l'Africa. Non l'ho mica fatto apposta. E' successo così».
Il Genoa e l'Africa; due importanti punti di riferimento. Freddie se li è costruiti a poco a poco; anzi,se li è ritrovati addosso, come una seconda pelle. Paradossalmente, due mondi tanto lontani trovano una insospettabile possibilità di dialogo,al punto che anche i “compagni di viaggio” malindini, coloro che si trovano a condividere la quotidianità, anche attraverso il calcio imparano a considerare gli occidentali in modo diverso.
Per contro, l'immagine di Malindi che emerge da queste narrazioni è infinitamente al di sopra e lontana anni luce dagli stereotipi legati al turismo di massa, al turismo “tutto compreso”, ad un “mal d'Africa” di maniera, poco sentito e molto esibito.
Ci sono immagini che mi piace ricordare,senza svelare nulla dei contenuti molto più articolati: la coppia che, in viaggio di nozze, decide di devolvere il denaro ottenuto in regalo ad un progetto umanitario (al quale aderisce anche il presente volume,con i fondi ricavati dalla vendita, per aiutare l'onlus Karibuni); i volontari che si battono ogni giorno per migliorare le condizioni di bambini e di giovani altrimenti condannati a vivere e a morire in strada; la soddisfazione provata alla realizzazione di un ospedale in grado di curare la popolazione. Il tutto intervallato dalle vicende personali dell'autore,dalle partite del Genoa, dalle imprese del Principe Milito, dalle gioie e dalla trepidazioni che il gioco del calcio regala a chi lo vuole vivere sino in fondo,in modo autentico e non opportunistico.
Un racconto emozionante, imprevedibile, che ha il pregio di mostrarci una realtà (l'Africa) da un altro, inconsueto punto di vista, più di quanto potrebbero fare mille discorsi sulla prospettiva interculturale. Ai miei occhi,”Genoa club Malindi” ha anche un altro,rarissimo pregio: quello di mostrarci come la vita possa essere un'avventura meravigliosa...soprattutto all'ombra del Grifone.
Monica Serravalle
(www.pianetagenoa1893.net)

martedì 1 dicembre 2009

IL RESIDENCE CHE NON C'E'

(parodia de "L'isola che non c'è" di E.Bennato, presentata da Freddie e Cufone nel loro spettacolo maliparodia de "L'isola che non c'è" di E.Bennato, presentata da Freddie e Cufone ieri sera nel loro spettacolo malindino @ Lorenzo Il Magnifico).

Seconda ascella a destra dentro il pulmino
Poi in tuk-tuk fino al parco marino
Poi il sentiero lo trovi da te
Porta al residence che non c’è

Forse questo ti sembrerà strano
Ma a Malindi è un fatto quotidiano
E ora sei quasi convinto che
Chi la preso nel culo sei te

E a pensarci che pazzia
Quell’anticipo ch’è volato via
E chi è esperto di Malindi lo sa
Che quei soldi non li rivedrà

Son d’accordo con voi non esiste avvocato
Che mi dia il title-deed di quel plot
E se non c’è la strada non c’è acqua e corrente
Forse è proprio il residence che non c’è

Ma sarà l’invenzione di un furbastro diventato imprenditore
Se ci credi ti basta perché, chi l’ha preso nel culo sei te

Son d’accordo con voi, niente bagni ne porte
Ma che razza di residence è?
E se non c’è l’askari neanche il tetto in makuti
Questo è proprio il residence che non c’è – che non c’è

Seconda ascella indietro fino a Mombasa
E poi in aereo che si ritorna a casa
Col bruciore didietro perché
T’han venduto il residence che non c’è

E ti prendono in giro se continui a cercarlo
ma puoi darti per vinto perché
chi ti ha abbindolato e ti ride alle spalle
coi tuoi soldi ne ha fatti altri tre!