lunedì 21 febbraio 2011

UN'INDIMENTICABILE SETTIMANA ROSSOBLU IN AFRICA (di Edoardo e Beccioni)


Se ti piace depilata, forse l’Africa non fa per te.La sua bellezza è rigogliosa, ma sepolta sotto montagne di schifezza.
La schifezza è dovunque, e quasi tutta d’importazione.
Arrivi in Africa e capisci subito che è un inferno. Ma la scoperta più terribile è la successiva: questo inferno africano è infinitamente più vivibile e seducente dell’inferno asettico di casa tua. Se poi ci aggiungi un Freddie Beccioni quasi astemio in regime pre-derby e i ragazzini della Scuola Calcio di Malindi, lo sconcerto è totale.
Però, nella luce dell’equatore, il rosso e il blu diventano ancora più splendenti, ti affascinano, ti tolgono il fiato.
Ok, forse Malindi non è Africa, o è Africa in un modo un po’ speciale. Come quando scavi un buco nella polenta e ci versi il trifolato di funghi porcini. L’Africa, la polenta, è tutto intorno, ma se caschi dritto in mezzo al trifolato puoi anche avere l’impressione di goderti una vacanza italiana da cinepanettone.
Ma il Grifone non lo trovi certo nelle pieghe preziose della Malindi infiocchettata di tricolore. Il Grifone non sta, ovviamente, con gli elegantoni griffati della costa, immersi nelle loro ville e nei loro porti rotondi, all’ombra di cocktail in bicchieri dagli steli smisurati. No. Tagli per una strada sterrata che si diparte dal centro. Dal centro della Malindi africana, quella vera. Ai bordi della strada, sobbalzando, vedi precarie bancarelle con ogni mercanzia, precarie baracche abitate da vite assetate di grazia, precarie montagne di rifiuti (non è dato sapere per quale misteriosa ragione la povertà generi così tanti rifiuti). In fondo alla strada, poco dopo una discarica, un immenso baobab ti introduce al campo dei ragazzi del Genoa.
Sono lì, ansiosi di indossare la gloriosa casacca. I loro sorrisi e i loro occhi curiosi valgono un gol di Palacio, nel derby, al 94mo. Giocano contro la squadra di un orfanotrofio. Gli avversari indossano belle maglie sponsorizzate, ma rivelano scarsa dimestichezza con la tattica. Gli ci vorrebbe Gasperini. Magari potrebbe bastare anche Pato. I ragazzini del Genoa (molti dei quali a piedi nudi) applicano gli schemi del loro mister a memoria e sembrano il Barcellona. Alla fine non si contano i gol: 8 o 9 a zero. So solo che cominciamo a fare tutti il tifo per gli avversari. Perché un vero genoano, anche quando gli tocca vincere, finisce sempre col condividere la sconfitta coi perdenti.
Seguo soprattutto Mystic e Stanley, due ragazzini molto bravi e molto bisognosi di sponsor. Hanno gravi problemi di famiglia, ma giocano con allegria comunicando allegria. Mystic è un centrocampista dai piedi e dal cervello sopraffini. Non so se sia meglio di Milanetto, ma è molto bello a vedersi. Stanley gioca sulla fascia, con la giusta energia e inserimenti ben calibrati. Mi piace un sacco. Poi c’è Joseph, il dolcissimo Girino. E’ infortunato, ma si presenta con una t-shirt del grifone e fa il tifo da bordo campo. E di certo non gliel’hanno suggerito Scarpi o Marco Rossi.
La settimana dopo rivedo i nostri contro una compagine tignosa: ragazzi vivaci, esperti e un po’ gaglioffi, senza divisa. C’è quello che gioca a torso nudo, quello con la maglietta stracciata, quello in bermuda. Ma sono forti. Vanno in vantaggio su contropiede (in fuorigioco non visto) e poi si difendono come se li allenasse Novellino. I Grifoncini riescono a pareggiare alla fine del primo tempo. Anche se gli avversari intasano gli spazi non rinunciano alle loro eleganti trame triangolari e, nel secondo tempo, segnano il 2-1 e poi il 3-1, con azioni splendide.
Ma il risultato è un fattore relativo. Li vedi scendere in campo, col rosso e il blu che brillano, e capisci che, comunque vada, hanno già vinto. Loro e tutti coloro che gli vogliono bene.
Del Genoa vero, che dire? Pare assurdo che l’entità africana in grado di disquisirne, all’anagrafe artistica si chiami Beccioni. Dopo la litania di Bari mi tocca condividere il Derby con quel pazzo. Dopo aver cercato la diretta in una tv mozambicana di parenti di Eduardo, predisposto un ardito accrocchio skype, sognato uno streaming saltellante, ci rimane solo la voce di Brenzini. Il Beccio è imbufalito, parte una bottiglia di “Libertas”, un cabernet sauvignon sudafricano che ha scovato nella cantina di fango di uno stregone bantù. La valanga di gol sbagliati ci predispone a subire la nemesi. Partono anche birre Tusker. Ci guardiamo abbacchiati, così sicuri del peggio che, al gol di Rafinha, saltiamo in piedi esultando male, condizionati dalla paura che, alla fin fine, la vittoria ci sfugga solo perché siamo in Africa. Vinciamo, invece, ma è tutto irreale. Vedete un po’ voi: un tale che, ai miei occhi, non brilla per intelligenza, mi racconta, da dentro una scatoletta, mentre me ne sto all’Equatore, che il Genoa sta vincendo il Derby. Chiaro che non mi fidi. Mi sembra tutta una faccenda artefatta: l’Africa, il vino, il caldo, le birre, la ragazza della scorta del Beccio che mi aspetta in albergo. Vado da lei, le infilo la sciarpa rossoblù e corriamo per le strade a sbandierare. Beccioni suona il clacson per una città che non sa perché, per una nazione e un continente che non sanno perché e forse si chiedono quale mai sarà il paese in rivolta con la bandiera rossoblù. Facciamo un po’ di casino, ma le televisioni parlano d’altro. Nei bar, nelle strade, nessun segno. Mi sveglio di notte, con il cielo equatoriale che incombe, la ragazza che mi abbraccia teneramente, la sciarpa rossoblù ancora ai piedi del letto e mi dico: “Non può essere vero. È un trucco di quel diavolo d’un Beccio. Non cascarci, ragazzo”. Appena sveglio, gli telefono e, stupidamente, ansiosamente, imploro: “Lo hanno detto in TV? C’è scritto sui giornali? Dimmi che è vero”. Lui mi conferma che esistono prove certe e così vado in spiaggia, davanti all’oceano, solo. E solo allora, come uno scemo, mi lascio andare alla gioia vera e irrefrenabile, con 14 ore di ritardo.
La domenica successiva è quella di Genoa-Roma, ma anche quella che sta preparando la mia ultima notte africana. Il Beccio mi viene a prendere in albergo per soffrire insieme davanti a qualche altro elettrodomestico cieco. È un po’ in ritardo, dopo i bagordi di un megaconcerto della notte precedente e un pomeriggio al mare. Non faccio in tempo ad aprire la portiera dell’auto che mi dice, con la morte nel cuore: “Abbiamo appena beccato gol. Stiamo risuscitando la Rometta”. Mi invita a casa sua, armeggia un po’ con TV e Internet ed ecco la seconda pera. Cacchio. C’è una tristissima trasmissione RAI. Fanno vedere la partita del Milan e si collegano con gli altri campi ad ogni gol segnato. Si sente lo squillo di una trombetta stonata ed è di nuovo Marassi: 3-0. Fanculo. Tiriamo giù le madonne equatoriali, spegniamo gli ardori e cominciamo a parlare di affari e di passatempi vari. Di quando passerò sei mesi all’anno da queste parti e piazzerò via mail Mystic al Ligorna e Stanley al Sestri Levante. La mia ultima domenica si preannuncia nera. Nera come l’Africa, e forse anche di più. Nello studio della RAI i romanisti gongolano. Comincia il secondo tempo e squilla la trombetta. Il golletto di Palacio ci rianima. Forza, ragazzi! Dopo il secondo gol rossoblù siamo sicuri che non finirà così: o loro fanno il quarto o pareggiamo. Trombetta. Birre. Immagini dei Grifoni che si abbracciano. Saltiamo su come matti, urliamo, svegliamo tutto il quartiere. Guardo l’orologio, guardo il Beccio e proclamo: “Adesso voglio vincere”. Cosa sia successo al gol della vittoria ve lo lascio immaginare. Una rimonta storica, una goduria. Vado in albergo a prendere la mia amica, ci vestiamo di rossoblù e andiamo a festeggiare in uno splendido ristorante consigliato dal Beccio: “The old man and the sea”. Come avrebbe fatto Hemingway, ma anche P.A.P. , ci strabuffiamo di pesce e crostacei, bardati con i colori del Grifone. Intorno a noi c’è una famiglia musulmana, che non capisce ma si adegua.
Poi la serata scivola verso la notte, che è la lunga notte degli addii. La gioia si diluisce in nostalgia, le tusker non bastano più a tenere a freno la tristezza e dagli occhi della mia compagna afro-genoana scivolano giù lacrime incontenibili. Decido che è meglio tagliare la testa al toro, prima che la situazione degeneri. Ci stringiamo con tutta la tenerezza possibile e infilo nell’ultima birra due Roipnol. I sentimenti si attenuano. Anche il 4-3 del pomeriggio ora sembra lontano. E ancor più distante, l’ultimo derby vinto in contumacia. Ma va bene così. Anche a sopportare la felicità bisogna essere allenati.
Dai ragazzini alla prima squadra: un Grifone indimenticabile, un’apoteosi.
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Altro che Pizzighettone!

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