lunedì 18 aprile 2011

CI RIMANE SOLO IL PALLOSO RAP DEL GENIO CAPAREZZA?

Che il rap ci abbia rotto i coglioni è un dato di fatto, più o meno come che il tipetto brianzolo sta perdendo la partita. 
Però non si può fare a meno di ascoltare l'ultimo album di Caparezza, "Il sogno eretico". Di individuare colpi di genio, sbeffeggiamenti al potere, una certa cultura che non è quella da lounge bar di corso Garibaldi mista rivista semipatinata di J-Ax o quella finto borgatara e vero invidiosa di Fabri Felpa.
La tristezza del cantautorato anche giovanile è che nessuno più cerca nemmeno di scalfire il palazzo, né ha voglia di evolvere il suo linguaggio per far presa sui giovani.
Il solo Daniele Silvestri, che pur si rifugia spesso nella poesia e nell'introspezione, regala qualche sprazzo di "letteratura" contro. Così ci tocca ascoltare la vocina insinuante della zanzara pugliese, per saltare a ritmo di una musica di (minima) protesta.
Altro che punk o nuove tendenze finto revival anni Ottanta (la giustificazione di chi suona da schifo, basso in primo piano, batteria minimale, chitarra inesistente fino a che non latra il suo assolo). Ci vogliono il ragamuffin di "Legalize the premier", pezzo che vorrei veder suonato (e dico suonato) da Elio e le storie tese, e quella che alla fine è una ballatona, "Goodbye Malinconia" con quell'armadio a quattro ante di Tony Hadley. Capa canta "Chi se ne frega della musica" e probabilmente ha ragione. Certa musica non vale la pena di essere più considerata e non è solo il download selvaggio che evita le code al negozio di un nuovo Pino Daniele, Edoardo Bennato o Lucio Dalla. Come cantava il grande Randy Newman, sono morti, e non lo sanno.

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