giovedì 4 agosto 2011

LA NOTTE DI JUMWA E MWANENGO


Le nuvole vanno e vengono, come le emozioni.
Questa sera hanno deciso di danzare avanti al cielo e scoprirne a tratti l’immensa volta stellata. Prima, però, c’era l’Africa al tramonto. Quel momento sempre troppo breve, come sono gli attimi di vera felicità.
La scenografia terrena racconta di un villaggio mijikenda alle porte di Malindi, fedele riproduzione di una comunità tribale del secolo scorso. Quando le capanne erano trulli di legno e palme secche, senza nemmeno il conforto del fango compattato a mo’ di cemento. Una capanna per le donne, con le pentole sul fuoco, gli stracci ammassati e culle di foglie di banano per gli infanti. L’altra è per gli uomini, con le stuoie da sonno, il vino di palma e odore di tabacco per rudimentali pipe. La terza è per gli antenati, i feticci intagliati a mano e colorati con sangue animale ed erbe macerate. Padri e padri dei padri da invocare affinché garantiscano saggezza e protezione al villaggio.
Le donne, con i volti inespressivi intagliati nell’ebano, i capelli come zerbini e i corpi tozzi e scattanti, danzano asimmetriche cantando, con voci acute e compenetrate. Il poeta, vestito come un giovane Ghandi equatoriale, le incita scandendo onomatopeici slogan. “Donne! Siete qui? Fatemelo sentire” e quelle a urlare con toni acuti che si confondono con gli uccelli tropicali.
Gli altri uomini muovono i piedi, alzano mani in segno di partecipazione, dispongono sedie di bambù, sgabelli alti una spanna e un tavolo per le vivande.
Nelle due capanne, i rispettivi aiutanti, stanno vestendo Jumwa e Mwanengo. Loro non sanno ancora che si chiameranno così. La cerimonia per consegnare loro il nome giriama è un rito studiato nei minimi particolari ed è riservato a chi è entrato in sintonia con l’etnia mijikenda. Che può significare aiutare questa gente, ma non è solo questo.
C’è una filosofia di fondo, che ti spinge ad abbracciare anche fisicamente queste persone vere, anacronistiche, se vogliamo anche rudimentali. E’ il pensiero naturale di sentirsi vivi, pienamente consci del luogo in cui si è scelto di vivere la quotidianità.
Max e Maddalena escono dalle rispettive dimore, accompagnati dai loro “padrini”.
Lui indossa un khanga, tipico pareo giriama avvolto a mo’ di kilt scozzese al bacino e tenuto da una cintura di altro tessuto, e una sciarpa bianca al collo. Il busto nudo scopre i molti tatuaggi, il volto è un arcobaleno ampio come il suo sorriso e infinito come un ponte che unisce il grigio dell’hinterland milanese, dove è nato ed ha vissuto fino a qualche mese fa, con i mille colori dell’Africa equatoriale.
Lei è bardata con l’hando, la caratteristica gonnellina bianca a più strati, tempestata di pendagli di perline colorate. Sopra il bacino, è avvolta da una fascia superiore che i giriama mai chiamerebbero “top”. Si incontrano nel bel mezzo della radura ed il loro intreccio di sguardi dipinge d’ironia l’emozione, mentre Morgana, la figlia della coppia, li osserva cercando di misurare con i suoi pochi anni come metro di giudizio, la distanza tra un rito sacro e lo scherzo carnevalesco.
Alla coppia sono bastati pochi mesi, per capire che Malindi è un mondo da scoprire, come sollevare il pesante coperchio di un antico forziere. Sopra il baule, i luccicanti ori del paradiso turistico, le spiagge dorate, la barriera corallina, gli animali della savana, la prorompente verde natura. Scavando, un tesoro ben più affascinante e duraturo, quello delle tradizioni millenarie e della saggezza primordiale della gente. Ci voleva coraggio per fare la scelta di trasferirsi in Kenya e di abbracciare questo luogo nella sua interezza. Fare qualcosa per sé e per gli altri allo stesso tempo, senza pretendere nulla in cambio se non un benessere interiore che è per forza arricchimento. Un bene incurabile e inestimabile.
Con questi valori e con questa leggera, spontanea consapevolezza, abbiamo goduto di un pomeriggio fantastico. Dopo le danze, la cerimonia del sorteggio della tribù (Akiza, la stessa del grande politico giriama Ronald Ngala) e del nome di Maddalena, Jumwa Mwagandi. Risate, piroette, felicità quasi infantile dei suoi omonimi, Sylvia Jumwa e Kiponda Mwagandi.
Poi l’oscurità, i balli nei locali che ospiteranno un giorno, quando troveremo i finanziamenti, il primo museo della cultura e della tradizione giriama. Danze d’augurio e di festeggiamento per Mwanengo Kidata della tribù Amelulu. L’ex grafico, fumettista e pittore Max Banfi.
L’avvocato Mwarandu da loro la benedizione, mentre tutta la comunità intona una preghiera gospel da brividi. L’iniziazione prevederebbe che i nuovi affiliati alla tribù vengano irrorati a spruzzo di acqua di cocco, dalla bocca del loro parente prossimo. Con i due nuovi arrivati viene usata una delicatezza non richiesta, il liquido scende in testa direttamente dal mestolo. Max è quasi risentito, la sua espressione sembra dire “…sputatemi nel petto, sono un giriama!”.
Le ultime danze sono una rappresentazione storica del bene e del male, della vita comune nei villaggi. Lo stregone è vestito con pelle di facocero e piume in testa, si tormenta e si getta a terra come posseduto. I tamburi incalzano con il ritmo oscuro e penetrante della notte, un ritmo che si fa via via più avvolgente e rassicurante, come una coperta di stelle e nuvole.
Le anziane mama mijikenda cercano le nostre mani chiare con le loro dita callose da lavoro agreste, gli uomini si congedano fieri del loro sudore. Non c’è fastidio o riluttanza nel nostro abbraccio. Per loro è un’ulteriore conferma. Due colori, due etnie, due culture agli antipodi, unite da un’unica volontà: fare del bene agli altri, pensare al loro futuro, vivendo il presente da persone normali, in cerca di valori semplici, raggiungibili.
Oggi l’occidente è popolato perlopiù da persone che si guardano troppo intorno (ed a volte è un alibi) perché hanno perso l'istinto rapace che è sempre stato dell'uomo innovatore, rivoluzionario, di guardare a sé, alla propria vita. E fare il possibile per migliorarla, non per cambiare parere sugli altri o su chi sta in alto, di fianco o sotto, a seconda di come cambia il vento.
Di critici, indignati, di ironici disfattisti, populisti, qualunquisti, dei sempre contro, di moralisti e antimoralisti...ne abbiamo avuti abbastanza. Questo reportage non è per loro, che possono tranquillamente attenersi alla breve e fredda cronaca seguente:
Ieri sera, durante una cerimonia tribale alle porte di Malindi, Max e Maddalena sono diventati giriama. I loro nomi sono Mwanengo Kidata e Jumwa Mwagandi. Abbiamo mangiato pollo, agnello, verdure e polenta con le mani, respirato cielo, patate bollite e ascelle acri, abbiamo ballato con gente che probabilmente non ha le basi per fare critica sociale né tantomeno per sovvertire l’ordine delle cose che li vede da sempre ultima ruota del carro africano. Un popolo che però sa bene quello che vuole: vivere in pace e non perdere la propria cultura e le proprie tradizioni.

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