mercoledì 28 dicembre 2011

DOVE C'E' MALINDI C'E' CASA?


Sarà un lascito degli antichi romani con le loro “domus”, sarà che abbiamo avuto i primi grandi architetti dell’umanità o semplicemente che siamo sempre stati un popolo di ciabattari. Ma noi italiani abbiamo il culto della casa e lo esportiamo ovunque, anche dove non sarebbe necessario.
Prendiamo il Kenya: per vivere qui, ce lo insegnano gli indigeni, bastano quattro mura anche sottili e un tetto di foglie di palma secca. Se ci rechiamo nell’immediato entroterra, in ogni villaggio di capanne di fango, troviamo sempre almeno una casetta in cemento che ha queste caratteristiche: semplicità di forme, economia di materiali e un’ampia veranda. D’altronde cosa ti vuoi inventare, con il clima che c’è? Per avere sempre un po’ d’aria basta mettere le finestre in asse, fare il tetto piuttosto alto e non controsoffittare, tirando al limite sottili fili da pesca molto fitti sotto il tetto di makuti, per evitare che vi possano cascare in testa pipistrelli o serpenti.
I britannici, guarda un po’, costruivano proprio così le case. Tutte le villette si assomigliavano. Le ampie verande fungevano anche da salotto, chiuse con cancellate di ferro da lucchettare per evitare intrusioni. La cucina aveva sempre un disimpegno nel retro e le camere sparivano in una sezione “notte”, rimanendo chiuse fino a sera e al riparo dalle zanzare. In più le loro case erano immerse nella natura del terreno che le ospitava. Guai a togliere un baobab, a segare una palma, a stendere un’acacia o trapiantare un flamboyant. Così è rimasta Watamu, nel lato mare, così è per buona parte Diani, in costa sud.
Noi italiani, invece, non ci accontentiamo di una semplice dimora. Macché! Noi siamo quelli che nel medioevo s’inventavano lo splendore di San Gimignano, che al sud hanno ricavato capolavori dal tufo, che sanno costruire chalet di legno che resistono persino al ghiaccio e alla neve. Siamo quelli delle case colorate liguri, dei trulli di Alberobello, delle antiche cascine. Edilizia basilare, di sopravvivenza e di vita sana a contatto con la natura e con la zona di appartenenza.
Ecco cosa avremmo potuto esportare nel meraviglioso Kenya! Non solo perché saremmo stati in sintonia con questi luoghi, ma perché la qualità della nostra vita sarebbe migliorata, che è l’aspetto che buona parte di chi si è trasferito in Kenya ha considerato.
E invece no. A parte qualche raro caso, ci siamo affidati al nostro lato moderno, all’inventiva di fior di palazzinari che hanno cementificato l’Italia del boom e che proseguono ancora adesso, dove c’è un filo d’erba libero. Ora Malindi può somigliare anche a Viserbella di Rimini, a Marina di Cecina o a Lido di Jesolo. In compenso abbiamo ville hollywoodiane (che se non le riempi di arie condizionate hanno la temperatura del New Mexico), parodie della Costa Smeralda, tenute in stile Franciacorta e palazzoni in stile Ostiense Lunga.
Questo perché per noi italiani la casa è tutto, il guscio indispensabile. Non è solo rifugio, alcova, reggia. E’ anche un biglietto da visita, uno specchio riflettente, dice chi siamo e come siamo fatti. Dormire, quella è l’ultima cosa! La casa è fatta per ricevere, per ospitare, per vantarsi. Guai a passare più tempo all’aria aperta che in casa, a socializzare col primo arrivato. In casa nostra siamo noi a decidere chi varcherà la soglia. Siamo i padroni, gli imperatori del nostro nido.
A Malindi i piccoli imperi non si contano. I signorotti italiani hanno sotto di sé un piccolo esercito che magari non marcia sempre dritto, ma difficilmente si ribella: houseboy, cuoco, giardiniere, addetto alla piscina, askari. Con magari una bella manager casalinga che coordina il tutto e all’occorrenza fornisce altri servizi. Per fortuna il nostro bel Kenya è talmente immenso che piastrellarlo tutto è un’impresa titanica, ma alcuni piccoli Ligresti locali lo farebbero volentieri. Già mi vedo gli slogan: “Acquistate un monolocale a Malindi 2, a soli dieci minuti dall’ingresso dello Tsavo!” oppure “Affittasi elegante open-space a Mambrui, dodicesimo piano vista mare”. E una fila di stabilimenti balneari tutti belli e colorati, con le sdraio e gli ombrelloni, non ce li vedete? E perché insistere con i villaggi turistici, che sono dispendiosi e dispersivi: costruiamo delle belle, tetragone pensioncine tre stelle! La verità è che a Malindi e dintorni c’è ancora troppa poca Italia, per colpa di chi non la considera ancora un vero investimento e continua ostinatamente a riempire di cemento il Meridione o le periferie delle grandi città del nord del Belpaese.
Basterebbe una vacanza ai grandi speculatori edilizi nostrani, per rendersi conto che qui c’è campo aperto per la grande edilizia popolare, per quartieri dormitorio, centri direzionali, perfino per tangenziali con pedaggio…ci vuole solo un po’ di coraggio!
Ma noi amiamo Malindi, facciamo resistenza (passiva) e restiamo fiduciosi: chissà che questa crisi non faccia l’unico miracolo positivo, rimettere a posto la testa di tanti connazionali, far apprezzare loro le cose semplici, fargli preferire una passeggiata al mare a un pomeriggio davanti alle slot machine, un villaggio giriama in più e un residence in meno, un’opera di solidarietà al posto di una causa in tribunale.
D’altronde se il transatlantico Italia affonda nel Mediterraneo, perché trasportarne i relitti arrugginiti sulle rive dell’Oceano Indiano?

domenica 18 dicembre 2011

MALINDI DALL'ASKARI ALLA ZANZARA


Viene presentato martedì 20 dicembre alle 19, ai bordi della piscina del Mwembe Resort di Malindi e al ristorante Lorenzo Il Magnifico, il nuovo libro di Freddie del Curatolo con i disegni di Max Banfi, "Malindi dall'Askari alla Zanzara - piccola enciclopedia per gli italiani in Kenya". Un volumetto ironico di grande utilità per chi si trova a scoprire, riscoprire o scoperchiare la costa keniota da turista, naturista, culturista futurista e ora non lo è più.

Ecco la prefazione:

E’ praticamente impossibile completare una sorta di piccolo dizionario enciclopedico della Malindi italiana.
Proprio per questo motivo ci siamo divertiti a provarci, utilizzando la ricetta a noi cara dell’ironia.
Le “voci” possono cambiare, aumentare o diminuire nel giro di pochi minuti. Siamo certi che, mentre andavamo in stampa dopo aver corretto le bozze, sono sortite altre venti o trenta definizioni e ce ne siamo ricordate altrettante che non appaiono qui sopra.
Vorrà dire che ci toccherà, tra un paio d’anni, ristampare una versione aggiornata e corretta, con notizie più fresche e nuovi disegni.
E a voi toccherà ricomprarla.
In fondo, come è giusto che sia per chi vive l’Africa nel rispetto del suo popolo e delle abitudini ancestrali proprie di questo Paese, il libro che vi apprestate a sfogliare è un prodotto artigianale e genuino e come tale può contenere qualche imprecisione e talune mancanze.
Ci scusiamo fin d’ora con i gestori o proprietari degli esercizi commerciali che non sono stati citati. Non pensiate di starci sulle balle, semplicemente ci siamo dimenticati di voi.
Non fatecelo pesare, vi preghiamo, la prossima volta che verremo ad acquistare qualcosa da voi o vorremo usufruire dei vostri servizi. Ce la caveremo regalandovi una copia del libro e promettendovi l’inserimento nella prossima edizione?
Eppoi, mica siamo le pagine gialle! E nemmeno l’elenco del telefono, infatti abbiamo inserito solo i nomi dei personaggi famosi che sono passati da Malindi, più qualche soprannome divertente dato ai residenti.
Avremmo potuto anche fare un po’ più di satira, ma sono tempi strani, in cui anche in Kenya non tutti riescono più a ridere e a scherzare come ci hanno insegnato le popolazioni locali. Ci sono troppi permalosi in giro, e altrettanti maliziosi. Perché rischiare di essere fraintesi? Il nostro intento è solo quello di presentare il luogo in cui viviamo e le sue peculiarità, in forma simpatica e canzonatoria. Ma senza offendere nessuno. E con grande rispetto per tutti.
Per quanto riguarda invece le voci più “serie”, non siete (come potete immaginare) di fronte a un testo scientifico o sociologico. Troverete sicuramente inesattezze, superficialità, esagerazioni, mancanze.
A volte in buona fede, a volte no.
Ricordatevi che avete tra le mani semplicemente un divertissement; non c’è tutto, ma di tutto un po’.
E soprattutto, saranno anche stracavoli nostri?
Cordialmente

Freddie del Curatolo e Max Banfi

venerdì 16 dicembre 2011

RETTIFICARE, NON RITRATTARE...E COMUNQUE: SI RIPARTE!!!


Eccomi qui, il giorno dopo, a dirvi che la scuola calcio Karibuni Genoa di Malindi non chiude. Questo ovviamente non significa che non ci siano stati e non ci siano problemi, intendiamoci. Come ha detto l'AD Zarbano al Corriere Mercantile "...considerato che ci era stato chiesto un aiuto e un aiuto lo abbiamo dato. Purtroppo quando si pensa di fare qualcosa di buono, si deve fare i conti con gente che chiede e pretende".
PRECISIAMO e spero per l'ultima volta: Al Genoa non è stato chiesto un AIUTO. Con il Genoa CFC e la Onlus Karibuni, una delle realtà più trasparenti e inserite nella solidarietà in Kenya, è stato approntato un progetto che prevedeva una crescita di anno in anno, con la certezza di svolgere un lavoro sociale senza precedenti. Per questo progetto, di cui esiste ovviamente un cartaceo e anche un allegato mail con accettazione da parte del Genoa, si parla di 25.000 euro annui. Sono arrivati dalla società, per adesso, solo 10000 euro e sono passati quasi due anni. CHI E' CHE CHIEDE E PRETENDE? Ora, ne sono stati promessi altri 10000 e vengono considerati manna che cade dal cielo. Certo, per i miei ragazzi lo sono e lo saranno, e la mia gioia nel rettificare (E NON RITRATTARE, caro Angeli autore del titolo di quell'articolo...le parole sono importanti)era dovuta solo a quel pensiero. Oggi come oggi, per una questione di principio, non possiamo permetterci di rinunciare nemmeno a 100 euro. Tutto serve a questi ragazzi e a un progetto che vorremmo ne potesse far crescere decentemente molti di più. Quando i soldi saranno accreditati sul conto, forse, potrò raccontarvi una nuova storia.
FORZA GENOA e FORZA GRIFONCINI ROSSOBLU KENIOTI!

giovedì 15 dicembre 2011

CHIUDE LA SCUOLA CALCIO GENOA


“Questa è una notizia che da appassionato d’Africa, da tifoso e soprattutto da persona che lavora nel sociale, non avrei mai voluto dare: dopo soli due anni dalla sua creazione, la scuola calcio Genoa di Malindi è costretta a chiudere i battenti. Costretta dalle promesse mai mantenute dalla società e dalla mancanza completa di interesse e dialogo tra Genova e Malindi. Domani si scioglierà un gruppo di ex ragazzi di strada che, con gli splendidi colori rossoblu addosso, hanno imparato a superare mille problemi, a migliorare i loro voti a scuola, a diventare un gruppo indistruttibile di veri amici. Verrà troncato un progetto sociale che è stato lodato e portato ad esempio in tutto il Kenya come il modo più efficace per diminuire la microcriminalità adolescenziale, che ha tolto dalla strada migliaia di ragazzi che ogni settimana venivano a seguire le partite dei loro coetanei. Un progetto che ha permesso, grazie all’aiuto dei tifosi e delle sporadiche donazioni di aziende e privati, di creare eventi unici nel mondo come il Torneo degli Orfanotrofi.
L’idea della scuola calcio era nata per gioco, dal mio libro “Genoa Club Malindi”. Alla fine di questo diario semi-reale, auspicavo la creazione di un piccolo Grifone in Kenya. L’associazione Onlus Karibuni ha cercato di trasformare il sogno in realtà, contattando la società Genoa, attraverso la Giochi Preziosi. L’iniziativa, nel novembre 2009, è stata presentata in pompa magna con una conferenza stampa a Villa Rostan, con Beppe Sculli come testimonial. Per una settimana sono stato intervistato da stampa e media e ho illustrato il progetto sociale. Da allora più volte il sito del Genoa e altri lidi internet a tinte rossoblu si sono occupati della creazione e della crescita della Karibuni Genoa di Malindi. Così ha fatto anche la stampa. Il nome del Genoa keniota è approdato sui media nazionali. Ma in poco tempo siamo stati lasciati soli e siamo andati avanti grazie al grande cuore dei tifosi e a molti turisti italiani, anche non genoani, che si sono affezionati al progetto, vedendolo sul campo. Infatti l’accordo con l’Amministratore Delegato del Genoa Alessandro Zarbano, prevedeva uno stanziamento di 25 mila euro all’anno. Nel 2010 sono arrivati solo 10 mila euro, unitamente a una muta incompleta di maglie dalla Scuola Calcio Barabino & Partners, priva di pantaloncini, calzettoni e scarpe. Nel 2011, dopo assicurazioni verbali e promesse, non sono arrivati neanche quelli. I due giovani calciatori kenioti portati a Genova nel novembre 2010 a vivere una settimana con gli Allievi, sono stati pagati da Karibuni Onlus e non hanno nemmeno ricevuto vitto e alloggio. L’unica cosa che il Genoa ha fatto è stata pagare a me l’albergo (grazie).
Mentre il sito internet rossoblu continuava ciclicamente a pubblicizzare la bella iniziativa sociale, la Karibuni Onlus doveva fare i salti mortali, tra le sue tante iniziative in Kenya, per racimolare qualche soldo per farci andare avanti e io ho fatto lo stesso. Nella speranza che prima o poi Preziosi e i suoi, ci facessero un regalo. Avevamo grandi progetti per rendere la scuola calcio Genoa un “unicum” in tutto il Continente Africano. E con soli 25 mila euro all’anno avremmo fatto cose inimmaginabili, che oltre a coinvolgere centinaia di ragazzi, avrebbero dato lustro al nostro Grifone.
Invece niente. Niente di niente, inspiegabilmente.
Così con un dolore grande nel cuore, dopo le ennesime mail spedite in società che non hanno avuto risposta, se non un’altra decina di magliette da Barabino, abbiamo deciso di dire ai ragazzi la verità. Sarà durissima, domani. Questi ragazzini hanno già i nostri colori nel sangue. Durante l’ultimo torneo hanno raccolto chissà come, gli spiccioli per preparare dei braccialetti rossoblu con scritto Genoa Cfc, da regalare a tutto lo staff. In finale sono arrivati anche i loro tifosi, coetanei con un bandierone che a fine partita tutta la squadra ha autografato e con cui hanno fatto il giro del campo. In questi due anni ho spiegato loro la filosofia della squadra più antica d’Italia, la sua dignità, l’orgoglio che non è legato unicamente ai risultati…altrimenti…
Dovrò dire a questi piccoli grandi giocatori, a questi miei figli, che il Genoa ci ha tradito. Che tutti insieme valgono meno di un mese di stipendio di Ribas, che le plusvalenze non contemplano un piccolo aiuto a chi non ha nulla, se non una speranza legata a un pallone, a due colori.
Ahmed, Joseph, Baraka, Stanley, Gift, Kalu, Eugene, Waweru, Juma, Jamal, George, Rashid e gli altri a gennaio torneranno a trovarmi ed allenarsi. Speriamo per quel periodo di aver trovato un’altra squadra che si prenderà a cuore la loro crescita. Altrimenti non potremo più garantire loro borse di studio, incentivi per migliorare le condizioni della scuola che frequentano e aiuti ai genitori. Stiamo parlando di ragazzi che a volte non trovano a casa nemmeno una pallina di polenta, per cena. Qualcuno di loro è stato adottato a distanza, come Joseph che studierà grazie ai Grifoni in Rete ed altri due di loro grazie a donazioni di tifosi. Probabilmente il presidente Preziosi, indaffarato com’è, non saprà nulla di questa situazione. Ma la dirigenza non può cadere dalle nuvole, tutte le mail inviate da un anno a questa parte parlano chiaro. Ci siamo stufati di non ricevere risposte, di chiedere e di prostrarci per un aiuto che ci era stato promesso. Per un progetto che ha portato più benefici d’immagine al Genoa che benessere ai nostri ragazzi per cui c’è ancora tanto, forse troppo, da fare. Che tristezza, vecchio Balordo.
Dall’Africa, col Genoa nel cuore ma il cuore a pezzi, Freddie del Curatolo”.

mercoledì 7 dicembre 2011

CIAO PICCOLA ANDREA


Addio piccolo cuore innocente. Ci hai insegnato che si può voler bene a qualcuno senza pretendere nient'altro che il suo bene. Ci hai fatto sperare nell'impossibile, ci hai confermato che abbiamo amici dal cuore più grande della sofferenza e della vita stessa. E' andata come si sapeva. Mi piace pensare che ogni tanto, e per un periodo più lungo di quel che avrebbe dovuto essere, un raggio di sole ha scaldato anche te, un po' d'amore è entrato anche nel tuo cuore. Ciao Andrea.