venerdì 4 ottobre 2013

LAMPEDUSA: CONTINUATE PURE A SFAMARE L'IGNORANZA (anche la vostra)

Vedendo via satellite le immagini della tragedia di Lampedusa, quella fila di pesci umani e di pesciolini inermi sulla banchisa di uno scoglio ormai straniero per chiunque, il pensiero è andato ai giovanotti, alle madri, ai bambini, agli anziani, ai padri di famiglia, alle adolescenti che ogni giorno mi sfilano accanto nel quartiere popolare in cui vivo a Malindi. I miei vicini di casa: la mamma di Raphael, che non lavora e con due figli a carico (il piccolo Raphael, quindici mesi e asma da paraffina per fare luce in casa, e lo splendido Julius, sette anni e il muso accigliato di chi è pronto a ricevere una missione importante dall’uomo bianco), l’oste della tavernaccia degli operai con la moglie e gli innumerevoli figli, a cui almeno la zuppa e un po’ di polenta non manca mai. Loro accanto al sorridente, chiassoso popolo che affolla la piazza di Mijikenda, appena dietro l’angolo di casa nostra. Mi sono venuti in mente i loro volti e le voci di tutti quegli italiani, anche amici e conoscenti, che in questi anni in cui mi sono dedicato ai ragazzini del quartiere, dei villaggi di Mnazi Mmoja e di Kaoyeni, della Central Primary School e dello slum di Kisumundogo, mi hanno detto: “ma cosa ti dedichi a fare questa gente che non ha riconoscenza, che sembra non voglia nemmeno essere aiutata, che vive alla giornata, che non ha un governo alle spalle che li supporta e protegge”. A una parente un tempo prossima che mi accusava di dedicarmi a loro per evitare i miei doveri famigliari. Da un po’ di tempo mi sono stancato di ripetere la stessa solfa “dobbiamo aiutarli qui, far crescere in loro la consapevolezza che vivono in un Paese splendido, in un Continente ricco e vario, pieno di contraddizioni e di ancestrali storture ma in cui, a differenza dell’occidente, è ancora possibile prendere in mano la propria vita e migliorarla radicalmente. L’educazione e la cultura sono strumenti essenziali per intraprendere questo cammino possibile. In molti ancora oggi pensano che il mio stile di vita sia puro egoismo, che io lo faccia per me, per sentirmi a posto con la coscienza o cose del genere. Bene, è arrivata l’ora di mandarvi tutti affanculo, ma di cuore. Voi forse non siete egoisti, ma con buona probabilità rincoglioniti, idioti e conniventi Quando decisi nel 2007 di affiancarmi alla Onlus Karibuni, lo feci perché trovai molto sincero,seppure poco condivisibile, secondo le mie idee e la mia formazione, il discorso del suo presidente Gianfranco Ranieri. Mi disse di condividere la Bossi-Fini, di non essere pro-immigrati e che invece era ben contento di aiutare i kenioti in patria, affinché venissero create le premesse per farli stare bene a casa loro. “Se tutti lo facessero nei paesi del terzo mondo – disse – non avremmo le situazioni disperate che abbiamo nel nostro Paese, da noi verrebbe solamente gente che vuole lavorare, che ha la cultura necessaria per capire e rispettare il nostro Paese e la nostra mentalità”. Piano piano ho capito che con questo tipo di persone avrei potuto lavorare bene, condividere situazioni di solidarietà attiva con programmi mirati e intelligenti. L’aiuto una tantum e campato in aria dei “buonisti per caso” non serve quasi a nulla, e questi anni d’Africa me lo hanno confermato. Meglio un razionale, quasi cinico percorso sociale come quello di Karibuni. Oggi il mio approccio è una via di mezzo, nel senso che la mia sensibilità non riesce a farmi astrarre da certe situazioni, ma la decisione di occuparmi particolarmente di educazione e di portare quanti più ragazzi possibile al diploma di scuola superiore è proprio mirato a questo: aiutarli qui, renderli consapevoli e indipendenti, sicuramente non li farà salire su quei barconi, dove si stipavano centinaia di eritrei e somali, gente ingenua, innocente senza la cultura necessaria per capire che qualcuno stava vendendo loro il paradiso e in realtà li consegnava all’inferno. Vorrei vedere in futuro sempre meno corse al piatto di riso, alla solidarietà con gli sms ai porci dei programmi internazionali, le donazioni di chi ancora sta costruendo i pozzi per l’acqua dove tutto sarebbe già pronto per le irrigazioni, in un Paese che nel sottosuolo ha interi laghi. Gente che costruisce case nei campi profughi ben sapendo che lì dentro si alimenta il mercato delle armi necessario a mantenere intere comunità nella povertà che serve, nell’ignoranza necessaria. Io continuo nel mio piccolissimo a crescere ragazzini che sicuramente non saliranno su quei barconi, e continuate pure a pensare che lo faccia per stare a posto con la coscienza. Voi invece, divoratori di merda mediatica, indignati del prime time e dell’ultima ora, condivisori di “sciagure evitabili”, sputasentenze nei piatti dove non avete né mangiato voi né tanto meno offerto da mangiare, voi che alzate il cellulare prima ancora della voce, che fate gli Erode del sociale mettendo due spiccioli in mano al primo che capita purché sia più sporco e malmesso di voi...fate almeno il piacere di rispettare non un minuto, ma una vita di silenzio e raccoglimento.

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