Darei la vita per un ideale, voglio la pace amo il terzo mondo
E dico no al pensiero che non sia profondo e non privo di utopia
Mi batto per le cause perse e critico ogni forma di governo
poi sento una voce dall’interno che mi urla “Ma chi te lo fa fare”
E’ stato solo un sogno che peccato
Non posso fare meglio di così
Con la camicia non ci sono nato
E non ci morirò
Vorrei svegliarmi senza questa rabbia
Di essere un vigliacco come tanti
Vorrei vivere una vita all’avanguardia
Pagar gli errori ma guardare avanti
Vorrei parlare di rivoluzione
Lo sguardo fiero come Garibaldi
Senza dover rischiare la prigione
Come fossi Che Guevara con i soldi
Dal mio giardino vedo il mare azzurro, ma soffro molto per chi non ha casa
Canto la gente dell’Avana i bimbi di Kinshasa i turchi espatriati a Nicosia
Mi piace dire che son sempre fuori e che mi occupo di ogni cosa
Poi sento quella voce fastidiosa che ripete “Ma chi te lo fa fare”
Un sogno ad occhi aperti mi ha stregato
Una bandiera non sarò
idee migliori avrei comprato
Ma non ne fanno più
Vorrei svegliarmi senza questa rabbia
E non pensare mai che è troppo tardi
Stare sempre fuori dalla gabbia
Guerrigliero da salotto coi miliardi
Vorrei gridare “siamo tutti uguali”
Finché nel petto abbiamo cuori caldi
Scendere in piazza e denunciare i mali
Come fossi Che Guevara con i soldi
Vorrei svegliarmi senza questa rabbia
E non pensare mai che è troppo tardi
stare sempre fuori dalla gabbia
Salottiero da guerriglia coi petardi
Vorrei gridare “siamo tutti uguali”
Ma non lo siamo ed è una legge amara
Una maglietta, un volto una canzone
Non potranno risvegliare Che Guevara
(dall'album di Freddie "Nel regno degli animali")
venerdì 26 dicembre 2008
martedì 23 dicembre 2008
RECENSIONI: ELTON JOHN "THE CAPTAIN AND THE KID"
Quanto tempo è passato dalla strada di mattoni gialli? Una vita artistica, dodicimila paia d’occhiali, milioni di copie vendute, un solo amico e collaboratore. “Il ciclo è completato” ha detto Elton John alla pubblicazione dell’ennesimo album, il migliore dai tempi di “The one”, un’altra mezza vita fa.
Il ciclo è quello celebratissimo dell’artista e del suo paroliere, de “Il capitano e il ragazzo” come da titolo dell’album. Antologico, ma con sole canzoni inedite, nostalgico ma con suoni, voce e testi giovani, commerciale ma briosamente retrò, il disco della premiata ditta Reginald Dwight-Bernie Taupin.
I Battisti-Mogol più famosi del mondo si indignano (l’iniziale “Postcard from Richard Nixon” è un j’accuse sulla guerra in Iraq), si divertono da matti (il rock and roll di “Just like Noah’s arc”), stendono la pasta di cui sono fatti con un paio di lenti da cassetta (“The bridge”, “Blues never fade away”) e piazzano il caramello finale con “Tinderbox”, che già dal coretto old-style fa sussurrare all’autoplagio e ci riporta definitivamente al 2006. Lontane, nello sfondo, Yellow Brick Road, Harmony row e una “Old ‘67” cantata con una (sana?) nostalgia. Piacciono i suoni curati ma menolaccati del solito (il gusto analogico di “I must have lost it in the wind” con tanto di armonica seventy) e il piano suonato da session man, al limite un po’ narcisista.
Riempitivi a parte (“Wouldn’t you have any other way”) e tributi (quelli segnati nel booklet, spiccano come muse ispiratrici di cotanto ispirata icona Rufus Wainwright e Ray Lamontagne), resta il piacere “antologico” di un lavoro di coppia con qualche ruga, un paio di guizzi d’autore e tanta, tanta nostalgia.
Alfredo del Curatolo
mercoledì 17 dicembre 2008
NONNO KAZUNGU E IL TURISMO SESSUALE
Quel pomeriggio al Safari Bar tirava aria di dibattito.
Nel preciso instante in cui nonno Kazungu faceva il suo ingresso, valutando il cigolio del cancelletto di ferro e aspettando la consueta risposta dell’upupa in amore sul baobab, il sole colorava la facciata dipinta di fresco color carta da zucchero.
All’interno del locale, in ordine sparso, la Kakoneni che conta: il prete, il rappresentante di telefonini Lawrence Kamongo, l’elettricista Makotsi, il barista Kibonge, il beach-boy imprenditore Kadenge Davide e il suo amico mzungu Svaporato, il vicino di casa Mwachiro e Kibebe, lo scemo.
Sui tavolini di formica ballavano bicchieri spessi dal fondo irregolari e troneggiavano parecchie Tusker Lager. In pratica tutti, tranne Kibebe, stavano bevendo birra, il prete addirittura una guinness, rigorosamente temperatura ambiente.
“Qui si parla di donne” pensò nonno Kazungu.
Uno dei quotidiani locali riportava i risultati di un’indagine dell’Unicef, presentata alcuni mesi prima a Nairobi ma ripresa dalla stampa mondiale ora che il Kenya faceva notizia.
In tempi di pace, di altre guerre bisogna parlare.
“Gli italiani sono al secondo posto” sentenziava Kadenge Davide, quasi a vantarsi della posizione sul gradino di mezzo del podio e battendo con la mano sulla spalla dello Svaporato.
Ormai a Kakoneni rappresentava gli italiani e non solo se ne era fatto una ragione, ma ci sguazzava come un coccodrillo nel Galana.
“Sì, ma noi siamo sempre i primi!” ribattè Kibonge.
Maratona?
Cinquemila metri piani?
Tremila siepi?
Quale altro sport avrebbe visto il Kenya al primo posto e l’Italia al secondo?
“Ciao nonno! Sapevi che il Kenya è una delle principali mete del turismo sessuale nel mondo?”
“Anche della residenza sessuale, a giudicare dalle statistiche” aggiunse lo Svaporato.
“Residenza sessuale?”
“Già, il 38% dei clienti delle ragazze locali siamo noi, i kenioti” disse Makotsi.
“Seguono gli italiani con il 18% e i tedeschi con il 12%...”
“E gli americani che hanno il 2% ma rappresentano il 70% degli incassi totali…” sputò Kadenge
“Ma questo non c’è scritto…?” disse il prete
“Te lo dico io…li ho visti in azione…”
“Basta…per favore! – gridò nonno Kazungu – Datemi un Ginger Ale e fatemi capire”.
Cosa vuol dire turismo sessuale? Da quel che si leggeva nel giornale, c’è gente che viene in Kenya soltanto o soprattutto per andare con le ragazze locali, alcuni di loro (ma non ci sono numeri né percentuali) purtroppo cercano le minorenni.
“Secondo me invece è il nostro 38% che si riferisce alle minorenni - disse Kibonge – quanti di voi hanno sposato una ragazza maggiorenne?”
Mwachiro, Makotsi e Kazungu si guardarono allungando il labbro inferiore. Anche il prete annuì silenziosamente, pensando alle decine di matrimoni celebrati a Kakoneni.
“La mia seconda moglie aveva 14 anni”
“Conjestina ne aveva 15 – ricordò il nonno – ma io ne avevo 19…”
La terza moglie di Kokoto ne aveva 13, e lui più di quaranta…”
“Tutto legale?” chiese lo Svaporato.
“Se non le togli dalla scuola dell’obbligo e paghi la famiglia, è tutto a posto” ammise il prete.
“Secondo lei è giusto, padre?” chiese il mzungu.
Il prete prese un bel respiro.
“La nostra società si basa sulla famiglia – cominciò, con tono ieratico, quasi avesse ricevuto un transfer da Cardinal Tarcisio Bertone – che è la struttura portante di ogni villaggio. Prima si costituisce una famiglia e prima se ne hanno i frutti. Qui si è soliti dire che la donna è tale dal giorno in cui ha le mestruazioni…tuttavia i tempi sono cambiati”.
“Certo! Oggi le ragazzine sono molto più sveglie…” saltò su Kibebe.
“Zitto, imbecille…” fece Mwachiro, colpendolo con il piede destro sullo stinco, come un panga in un banano.
“Questo è il punto – fece Kadenge – gli europei invece non sono abituati, a quell’età le loro figlie sono ancora bambine, non le darebbero mai in spose per venti capre…”
“Almeno cinquanta…” rise Kibebe e si prese una di quelle pangate che avrebbe saltellato su un piede solo per un paio di giorni.
Il vecchio Kazungu prese in mano la situazione e mollò il ginger ale.
“Non stiamo parlando di abitudini – disse – ma di costrizioni. Gli wazungu che vengono qui trovano due tipi di ragazze: quelle che non vedono l’ora di stare con loro per migliorare le loro condizioni di vita e quelle che invece non vorrebbero, ma vengono costrette dalla povertà, dall’insistenza del mzungu e a volte anche dai propri parenti”.
“Sì, ma dov’è lo sfruttamento di cui si parla del giornale? Alla fine è sempre una scelta delle ragazze, non c’è costrizione” interruppe Makotsi.
“Infatti non si parla di violenza sessuale – disse a questo punto lo Svaporato – è il potere dei soldi a farle decidere”
“Ma è così anche in Italia!” ribattè Kadenge Davide, che si ricordò l’offerta di un’amica della suocera della prima moglie vicentina.
“Lo scambio corpo-soldi o sesso-benessere esiste da sempre in tutto il mondo - disse nonno Kazungu – la pedofilia anche, ma è un sopruso e dobbiamo combatterla. Cosa succede se becchiamo un membro del nostro villaggio con una delle nostre figlie non ancora sviluppate?”
“Lo ammazziamo a pangate!” strepitò il grosso Mwachiro, lanciando un’occhiata a Kibebe che ancora girava su sé stesso come una trottola.
“La violenza è sempre da punire” disse il prete “ma ammazzare non è cristiano…”
“Seppellire vivo?” chiese Mwachiro.
“Una bella scossa nei coglioni a 200 volt?” Makotsi.
“E lo sfruttamento?”
“Quello c’è in Italia, dove la prostituzione è in mano alla mafia, al racket della droga e alla malavita - spiegò lo Svaporato – qui finchè resta in mano alle ragazze è semplicemente uno scambio di piaceri. Come fai a considerare prostituzione la ragazza maggiorenne che cammina mano nella mano con il mzungu in spiaggia? Bisogna vigilare piuttosto sui locali notturni che offrono da bere alle ballerine per ubriacarle e renderle consenzienti e consigliare loro i clienti…quella è una brutta abitudine che abbiamo importato noi europei e che porta verso lo sfruttamento”.
“Quindi il nostro 38% è diverso dal 18% degli italiani?” chiese Kibonge, guardando Kadenge come a farlo scendere dal podio virtuale.
“Se considerano prostituzione anche pagare una moglie dieci vacche, sì – disse nonno Kazungu – ma quando pubblicheranno i dati dei matrimoni misti in Kenya? Delle coppie che convivono e che continuano a considerare la loro unione uno scambio di carezze e soldi? Ci sono statistiche del genere? Chi le pubblica?”.
Quest’ultima domanda era diretta allo Svaporato, che diede l’ultimo sorso alla Tusker e sentì gli occhi di tutto il Safari Bar addosso.
Il sole aveva lasciato una pennellata di tramonto sull’intonaco esterno e si occupava di regalare scie lilla e rosa al cielo della savana.
“Non si possono chiudere in una statistica le ragioni del cuore e quelle del piacere sessuale – disse lo Svaporato, impegnandosi alquanto – l’uomo è un animale da conquista a cui piace tenere la preda in cattività, piuttosto che sbranarla. Tuttavia c’è chi lo fa con amore e rispetto e ci sono anche donne che non conoscono altro modo di vivere di una dorata prigionia”.
Nessuno capì nulla, ad eccezione del vecchio Kazungu che, alzandosi, salutò la compagnia.
“Stiamo più vicini alle nostre bambine – fu il suo monito serale – e diamo una controllata ai bianchi che trattano male le nostre donne. Gli europei hanno brutte abitudini, ma per fortuna quasi tutti lasciano a casa il loro lato peggiore, quando vengono qui. Speriamo sia sempre così”.
Nel preciso instante in cui nonno Kazungu faceva il suo ingresso, valutando il cigolio del cancelletto di ferro e aspettando la consueta risposta dell’upupa in amore sul baobab, il sole colorava la facciata dipinta di fresco color carta da zucchero.
All’interno del locale, in ordine sparso, la Kakoneni che conta: il prete, il rappresentante di telefonini Lawrence Kamongo, l’elettricista Makotsi, il barista Kibonge, il beach-boy imprenditore Kadenge Davide e il suo amico mzungu Svaporato, il vicino di casa Mwachiro e Kibebe, lo scemo.
Sui tavolini di formica ballavano bicchieri spessi dal fondo irregolari e troneggiavano parecchie Tusker Lager. In pratica tutti, tranne Kibebe, stavano bevendo birra, il prete addirittura una guinness, rigorosamente temperatura ambiente.
“Qui si parla di donne” pensò nonno Kazungu.
Uno dei quotidiani locali riportava i risultati di un’indagine dell’Unicef, presentata alcuni mesi prima a Nairobi ma ripresa dalla stampa mondiale ora che il Kenya faceva notizia.
In tempi di pace, di altre guerre bisogna parlare.
“Gli italiani sono al secondo posto” sentenziava Kadenge Davide, quasi a vantarsi della posizione sul gradino di mezzo del podio e battendo con la mano sulla spalla dello Svaporato.
Ormai a Kakoneni rappresentava gli italiani e non solo se ne era fatto una ragione, ma ci sguazzava come un coccodrillo nel Galana.
“Sì, ma noi siamo sempre i primi!” ribattè Kibonge.
Maratona?
Cinquemila metri piani?
Tremila siepi?
Quale altro sport avrebbe visto il Kenya al primo posto e l’Italia al secondo?
“Ciao nonno! Sapevi che il Kenya è una delle principali mete del turismo sessuale nel mondo?”
“Anche della residenza sessuale, a giudicare dalle statistiche” aggiunse lo Svaporato.
“Residenza sessuale?”
“Già, il 38% dei clienti delle ragazze locali siamo noi, i kenioti” disse Makotsi.
“Seguono gli italiani con il 18% e i tedeschi con il 12%...”
“E gli americani che hanno il 2% ma rappresentano il 70% degli incassi totali…” sputò Kadenge
“Ma questo non c’è scritto…?” disse il prete
“Te lo dico io…li ho visti in azione…”
“Basta…per favore! – gridò nonno Kazungu – Datemi un Ginger Ale e fatemi capire”.
Cosa vuol dire turismo sessuale? Da quel che si leggeva nel giornale, c’è gente che viene in Kenya soltanto o soprattutto per andare con le ragazze locali, alcuni di loro (ma non ci sono numeri né percentuali) purtroppo cercano le minorenni.
“Secondo me invece è il nostro 38% che si riferisce alle minorenni - disse Kibonge – quanti di voi hanno sposato una ragazza maggiorenne?”
Mwachiro, Makotsi e Kazungu si guardarono allungando il labbro inferiore. Anche il prete annuì silenziosamente, pensando alle decine di matrimoni celebrati a Kakoneni.
“La mia seconda moglie aveva 14 anni”
“Conjestina ne aveva 15 – ricordò il nonno – ma io ne avevo 19…”
La terza moglie di Kokoto ne aveva 13, e lui più di quaranta…”
“Tutto legale?” chiese lo Svaporato.
“Se non le togli dalla scuola dell’obbligo e paghi la famiglia, è tutto a posto” ammise il prete.
“Secondo lei è giusto, padre?” chiese il mzungu.
Il prete prese un bel respiro.
“La nostra società si basa sulla famiglia – cominciò, con tono ieratico, quasi avesse ricevuto un transfer da Cardinal Tarcisio Bertone – che è la struttura portante di ogni villaggio. Prima si costituisce una famiglia e prima se ne hanno i frutti. Qui si è soliti dire che la donna è tale dal giorno in cui ha le mestruazioni…tuttavia i tempi sono cambiati”.
“Certo! Oggi le ragazzine sono molto più sveglie…” saltò su Kibebe.
“Zitto, imbecille…” fece Mwachiro, colpendolo con il piede destro sullo stinco, come un panga in un banano.
“Questo è il punto – fece Kadenge – gli europei invece non sono abituati, a quell’età le loro figlie sono ancora bambine, non le darebbero mai in spose per venti capre…”
“Almeno cinquanta…” rise Kibebe e si prese una di quelle pangate che avrebbe saltellato su un piede solo per un paio di giorni.
Il vecchio Kazungu prese in mano la situazione e mollò il ginger ale.
“Non stiamo parlando di abitudini – disse – ma di costrizioni. Gli wazungu che vengono qui trovano due tipi di ragazze: quelle che non vedono l’ora di stare con loro per migliorare le loro condizioni di vita e quelle che invece non vorrebbero, ma vengono costrette dalla povertà, dall’insistenza del mzungu e a volte anche dai propri parenti”.
“Sì, ma dov’è lo sfruttamento di cui si parla del giornale? Alla fine è sempre una scelta delle ragazze, non c’è costrizione” interruppe Makotsi.
“Infatti non si parla di violenza sessuale – disse a questo punto lo Svaporato – è il potere dei soldi a farle decidere”
“Ma è così anche in Italia!” ribattè Kadenge Davide, che si ricordò l’offerta di un’amica della suocera della prima moglie vicentina.
“Lo scambio corpo-soldi o sesso-benessere esiste da sempre in tutto il mondo - disse nonno Kazungu – la pedofilia anche, ma è un sopruso e dobbiamo combatterla. Cosa succede se becchiamo un membro del nostro villaggio con una delle nostre figlie non ancora sviluppate?”
“Lo ammazziamo a pangate!” strepitò il grosso Mwachiro, lanciando un’occhiata a Kibebe che ancora girava su sé stesso come una trottola.
“La violenza è sempre da punire” disse il prete “ma ammazzare non è cristiano…”
“Seppellire vivo?” chiese Mwachiro.
“Una bella scossa nei coglioni a 200 volt?” Makotsi.
“E lo sfruttamento?”
“Quello c’è in Italia, dove la prostituzione è in mano alla mafia, al racket della droga e alla malavita - spiegò lo Svaporato – qui finchè resta in mano alle ragazze è semplicemente uno scambio di piaceri. Come fai a considerare prostituzione la ragazza maggiorenne che cammina mano nella mano con il mzungu in spiaggia? Bisogna vigilare piuttosto sui locali notturni che offrono da bere alle ballerine per ubriacarle e renderle consenzienti e consigliare loro i clienti…quella è una brutta abitudine che abbiamo importato noi europei e che porta verso lo sfruttamento”.
“Quindi il nostro 38% è diverso dal 18% degli italiani?” chiese Kibonge, guardando Kadenge come a farlo scendere dal podio virtuale.
“Se considerano prostituzione anche pagare una moglie dieci vacche, sì – disse nonno Kazungu – ma quando pubblicheranno i dati dei matrimoni misti in Kenya? Delle coppie che convivono e che continuano a considerare la loro unione uno scambio di carezze e soldi? Ci sono statistiche del genere? Chi le pubblica?”.
Quest’ultima domanda era diretta allo Svaporato, che diede l’ultimo sorso alla Tusker e sentì gli occhi di tutto il Safari Bar addosso.
Il sole aveva lasciato una pennellata di tramonto sull’intonaco esterno e si occupava di regalare scie lilla e rosa al cielo della savana.
“Non si possono chiudere in una statistica le ragioni del cuore e quelle del piacere sessuale – disse lo Svaporato, impegnandosi alquanto – l’uomo è un animale da conquista a cui piace tenere la preda in cattività, piuttosto che sbranarla. Tuttavia c’è chi lo fa con amore e rispetto e ci sono anche donne che non conoscono altro modo di vivere di una dorata prigionia”.
Nessuno capì nulla, ad eccezione del vecchio Kazungu che, alzandosi, salutò la compagnia.
“Stiamo più vicini alle nostre bambine – fu il suo monito serale – e diamo una controllata ai bianchi che trattano male le nostre donne. Gli europei hanno brutte abitudini, ma per fortuna quasi tutti lasciano a casa il loro lato peggiore, quando vengono qui. Speriamo sia sempre così”.
martedì 16 dicembre 2008
RECENSIONE: MALASPINA - IN CAMERA
Non ci stupiremmo affatto se ci trovassimo tra qualche anno a rileggere la recensione del primo Ep dei Malaspina (oggi diventati “In Camera”), ricordando gli esordi di un gruppo ormai affermato.
“Gli innumerevoli percorsi” è aria nuova nella musica italiana, diretta, semplice e senza la presunzione o l’obbligo di dover seguire le tendenze del british-pop o dell’underground americano.
Si parte con il pezzo forte della band fiorentina, il potenziale singolo che soltanto l’ottusità dell’estabilishment discografico nazionale potrebbe ignorare o, peggio, sporcare oltremodo di “tendenza”, spinto da criteri radiofonici o marchette festivaliere.
“Minnamoro” è un brano talmente solare e orecchiabile che quasi fa dimenticare la dicotomia pop-rock (sarà più commerciale o più alternativo? oggigiorno tutte “menate” di chi non è più capace di ascoltare una canzone che non ha altre pretese se non quella di essere il più possibile sé stessa).
La versatile e fluida voce del frontman Vanni Torrigiani naviga su un ritmo piacevole (forse ancora un po’ sedutino) e si apre insieme al riff che rivela la natura seventies del concreto chitarrista Tommaso Damianou. Ricordano i Timoria di Francesco Renga e Omar Pedrini, mentre il solare ritornello trasporta negli anni Ottanta dei Denovo del primo Mario Venuti. Venticinque anni dopo l’apice creativo della scena fiorentina (Diaframma, Litfiba di “Desaparecido” e “17 Re”) non c’è nostalgia né troppa voglia di scimmiottare i gruppi del momento (antidoti musicali che non durano molto, direbbe Torrigiani), semmai si citano indirettamente i grandi (il “she makes me wonder” finale di “Occhi bagnati” ricorda i Led Zeppelin…). Anche il testo in “Minnamoro” segue la positività musicale, semplice e diretto, con belle visioni (i “colori amari”) da filastrocca confezionata per essere cantata in coro col pubblico. Più introspettiva la title-track, in cui il complesso strizza l’occhio a certo post-punk o new-glitter britannico (Pulp, Muse) ma con garbo e aperture mediterranee nel ritornello. Sempre l’amore in primo piano, ma mai in maniera banale, nei testi.
L’altro gioiellino dell’Ep è “Occhi bagnati”, il cui incipit sorprende. Ci si aspetta di entrare nel monastero bretone in cui i CSI si rinchiusero per registrare “Ko de mondo”, invece piano piano ci si ritrova nell’universo Malaspina, quasi una lezione all’autoreferenziato sottobosco rock italiano e alla (troppa) autostima di (troppo) celebrate band come Marlene Kuntz e Afterhours.
Il marchio di fabbrica del gruppo toscano (come evidenziato da “Avanti ora”, traccia finale del cd sulle fughe dell’anima) è una visione chiara della forma-canzone, ben suonata e mai preoccupata di essere etichettata e rinchiusa in un genere.
Perché i percorsi sono innumerevoli e la meta è solo una: fare musica (quindi arte), divertirsi e divertire.
In tutto questo che potete chiamare pop-rock, la netta e interessante voce di Torrigiani (un Renga con meno estensione ma anche meno fronzoli e più fantasia), i break elettrici del chitarrista e l’affiatamento di basso (claytoniano) e batteria che potrebbero pompare e spingere di più. Avanti, ora!
Alfredo del Curatolo
“Gli innumerevoli percorsi” è aria nuova nella musica italiana, diretta, semplice e senza la presunzione o l’obbligo di dover seguire le tendenze del british-pop o dell’underground americano.
Si parte con il pezzo forte della band fiorentina, il potenziale singolo che soltanto l’ottusità dell’estabilishment discografico nazionale potrebbe ignorare o, peggio, sporcare oltremodo di “tendenza”, spinto da criteri radiofonici o marchette festivaliere.
“Minnamoro” è un brano talmente solare e orecchiabile che quasi fa dimenticare la dicotomia pop-rock (sarà più commerciale o più alternativo? oggigiorno tutte “menate” di chi non è più capace di ascoltare una canzone che non ha altre pretese se non quella di essere il più possibile sé stessa).
La versatile e fluida voce del frontman Vanni Torrigiani naviga su un ritmo piacevole (forse ancora un po’ sedutino) e si apre insieme al riff che rivela la natura seventies del concreto chitarrista Tommaso Damianou. Ricordano i Timoria di Francesco Renga e Omar Pedrini, mentre il solare ritornello trasporta negli anni Ottanta dei Denovo del primo Mario Venuti. Venticinque anni dopo l’apice creativo della scena fiorentina (Diaframma, Litfiba di “Desaparecido” e “17 Re”) non c’è nostalgia né troppa voglia di scimmiottare i gruppi del momento (antidoti musicali che non durano molto, direbbe Torrigiani), semmai si citano indirettamente i grandi (il “she makes me wonder” finale di “Occhi bagnati” ricorda i Led Zeppelin…). Anche il testo in “Minnamoro” segue la positività musicale, semplice e diretto, con belle visioni (i “colori amari”) da filastrocca confezionata per essere cantata in coro col pubblico. Più introspettiva la title-track, in cui il complesso strizza l’occhio a certo post-punk o new-glitter britannico (Pulp, Muse) ma con garbo e aperture mediterranee nel ritornello. Sempre l’amore in primo piano, ma mai in maniera banale, nei testi.
L’altro gioiellino dell’Ep è “Occhi bagnati”, il cui incipit sorprende. Ci si aspetta di entrare nel monastero bretone in cui i CSI si rinchiusero per registrare “Ko de mondo”, invece piano piano ci si ritrova nell’universo Malaspina, quasi una lezione all’autoreferenziato sottobosco rock italiano e alla (troppa) autostima di (troppo) celebrate band come Marlene Kuntz e Afterhours.
Il marchio di fabbrica del gruppo toscano (come evidenziato da “Avanti ora”, traccia finale del cd sulle fughe dell’anima) è una visione chiara della forma-canzone, ben suonata e mai preoccupata di essere etichettata e rinchiusa in un genere.
Perché i percorsi sono innumerevoli e la meta è solo una: fare musica (quindi arte), divertirsi e divertire.
In tutto questo che potete chiamare pop-rock, la netta e interessante voce di Torrigiani (un Renga con meno estensione ma anche meno fronzoli e più fantasia), i break elettrici del chitarrista e l’affiatamento di basso (claytoniano) e batteria che potrebbero pompare e spingere di più. Avanti, ora!
Alfredo del Curatolo
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