mercoledì 15 luglio 2009

GLI ALBUM DEL DECENNIO: INDIA.ARIE "ACOUSTIC SOUL"


Si chiama India Arie la nuova creatura dell’etichetta americana soul e R&B Motown. Sull’onda del successo mondiale della raffinata e fin troppo autocompiaciuta Erykah Badu, e delle meteore Macy Gray e Angie Stone, la venticinquenne compositrice statunitense lancia il suo manifesto, che è il titolo della sua opera prima: “Acoustic soul”, dove per acustico si intende il suono della chitarra, con la quale India si accompagna preferibilmente in tempi dispari, coperto però abilmente dalla produzione artistica con l’inconfondibile suono Motown. Ma India cammina sull’orlo del commerciale, evitando cadute nello “strasentito” grazie a una vena compositiva più cantautorale rispetto alle colleghe già citate che sono certamente più dotate vocalmente di lei ma meno curate, anche dal punto di vista dei testi. Così India finisce per somigliare più alla bassista Me Shell Ndegeocello, autrice anni fa di un album capolavoro (“Peace beyond passion”) e come lei compositrice attenta anche alle sfumature dei suoi brani. “Brown skin” sembra una suite uscita proprio dal carniere di Me Shell, la chitarra fa capolino in levare nell’accattivante singolo “Video” (che recita “non sono la solita ragazza che appare sul tuo video, il mio verbo non è il prezzo dei miei vestiti”) e in “Back to the middle” che odora di Lenny Kravitz. Nei tre siparietti musicali che inframmezzano il disco, India Arie, figlia di un ex campione di basket, svela quali sono i suoi riferimenti: i nomi altisonoanti di Marvin Gaye, John Coltrane, Miles Davis, Jimi Hendrix, Robert Johnson, Bessie Smith e Ella Fitgerald si confondono con i meno celebrati Charlie Patton, Mary Chapin Carpenter e Lucinda Williams, di cui India è fan scatenata. La giovane dunque dimostra di masticare la musica tutta e sa scrivere anche brani profondi come “Nature”, intimisti (“Ready for love”) o tipicamente pop-soul (“Always in my head”). Per la nuova Badu con la chitarra acustica a tracolla si è scomodata anche sua maestà Stevie Wonder che ha definito India Arie “il più interessante talento musicale che il rhythm and blues abbia espresso negli ultimi anni”. Per sdebitarsi di cotanta raccomandazione, la ragazza ha dedicato al maestro la bonus track “Wonderful”. Il resto del disco regala brani forse già frequentati sotto altre spoglie (“I see god in you”) e concessioni al baduismo (“Simple”) senza mai cadere nella tentazione hip-hop o nel virtuosismo vocale. Forse non c’era bisogno di India Arie, ma ascoltarla è piacevole perché c’è buona musica (i patterns R&B non sviliscono basso e chitarre, niente fiati ma un utilizzo minimale di tastiere e archi) e si sente l’aria di un riciclo intelligente.

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