mercoledì 20 ottobre 2010

FREDDIE BECCIONI: ROMA, L'OSTINATO ARCHITETTO E LA MAREMMA MAIALA


Per chi nella vita si può permettere di sudare per interposto imbecille, di viaggiare completamente spesato e di scaricare anche i vizi, grazie alla contabilità creativa, Roma può valere non solo una partita, ma anche un weekend lungo.
Infatti oltre al sottoscritto, ci puoi incontrare quasi tutti i parlamentari di questa Repubblica delle Papaye (altri direbbero “banane”, ma la differenza è sostanziale: le banane astringono, la papaya è lassativa).
Il vostro Beccioni, fin dal sabato pomeriggio in cui il patetico Baglioni implorava un uccellino di non andarsene affanculo, si è prodotto nell’esercizio di inutilità cosmica che lo ha portato ad assistere a Roma-Genoa.
Anticipo di poco valore, noiosa ed abulica sala d’attesa dell’incontro più importante della stagione: Genoa-Grosseto di Coppa Italia. Perché noi, quest’anno, alla Coppa Italia ci si tiene, eccheccazzo!
Sabato sera di merda, nel traffico della circonvallazione ostiense, nel grigio piscia dei porticati fascisti dove la vita vale un pugno in faccia a una rumena.
Per andare all’Olimpico il Caput Mundi si respira meno della cocaina nell’aria a piazza Argentina.
Solita mezza boccia di Dalwhinnie prima di sedere sugli spalti più lontano del mondo dal campo e poi, com’è andata lo sapete benissimo.
Bruciori di stomaco.
Gasptrite.
Della gara non parlo, d'altronde nel merito ci siete entrati fin troppo voi, cari amici.
Io, se riesco, preferisco entrare da qualche altra parte.
La carrellata dell’inutile prosegue in un’osteria di Testaccio (da Nando er Puzzone), tracannando un ordinario Tarquinia Rosso dei Monti della Tolfa, ideale per l’abbacchio allo scottadito, ma non per sciacquare via il ricordo di Palacio terzino. A Roma non si è mai mangiato male (bevuto sì), ma a fare il turista gastronomico de li mortacci tua, si perde sempre.
Come a fare i turisti del pallone all’Olimpico.
In compenso, nella Capitale, è talmente facile caricare una russa che mi ficco in un localino jazz e tento di portarmi a letto la cameriera, ciociara. Risultato: chiusura alle sei del mattino, lingua in bocca e invito ad andare sulla Nomentana a mangiare i maritozzi caldi da Alfio.
La cameriera però è simpatica, ama Rino Gaetano ed è figlia unica perché è convinta che Leo Messi non possa passare al Frosinone, squadra per cui fa il tifo.
Rino Gaetano era romanista e simpatizzava per il Genoa, la cameriera me lo conferma.
Solo una tifoseria nel mondo non lo sa. E canta le sue canzoni.
Le chiedo di Checco Moriero, ex frusinate e neo allenatore del Grosseto.
Dice che ha smesso.
“Anche lui?”
La riaccompagno a casa. Slinguazzata già più appassionata.
Se domani insisto, finisce che me la cede in prestito blindato.
Ogni tanto mi piacciono le avventure ordinarie.
Il 442 della conquista sessuale.
Risveglio pomeridiano con lingua felpata e molle come il passo di Kharja.
Di inutile, domenica, oltre all’affacciamento Papale, ci sarebbero talmente tante cose da fare che ho scelto la più gasperiniana di tutte.
Colosseo? Ma siamo matti? Banale e frequentato come il 4231, vogliamo farci riconoscere?
Fori Imperiali? Circo Massimo? Palatino? Come siete antichi, roba da catenaccio o al massimo da contropiede…noi innoviamo, ci eleviamo.
Su consiglio di Palma, la cameriera ciociara, ho scelto di andare al Museo Maxxi, un viaggio nell’architettura del secondo novecento.
Giovani ma non giovanissimi soldatini dell’arte al soldo di navigati capitani d’edilizia, finti rivoluzionari architettonici che si vendono e si arrendono al piano regolatore di Terni o Crotone.
Sì, mi piace! Intanto il Dalwinnie 16 anni va giù che è una goduria, guardando ‘sta robaccia postmoderna e ripensando alla partita del giorno prima, e non sento l’esigenza di fare come Ivan Graziani nella canzone Monnalisa, che entrava nottetempo nel Louvre per riportare in Italia la Gioconda ma finiva per tirare sganassoni al custode e massacrare l’opera di Leonardo con le unghie.
Proprio lì, davanti a una visione simil-Fuksas, penso che la reiterazione del Gasp non è più alto modernariato, ma necessità ostinata di lasciare un segno diverso, un’architettura unica, che possa passare alla storia breve e incolore del Terzo Millennio.
Fanculo all’architettura moderna a Roma. Lasciamo a Cesare quel che è di Cesare.
Il Museo Maxxi starà bene a Rovigo, a Brescia, a Latina. Ma nella Città Eterna è assurdo.
Un po’ come, nella culla del calcio, voler portare metodi applicabili solo da ignoti automi.
Come si può pensare di ridurre il potenziale emozionale di chi indossa la maglia rossoblu al Ferraris, a freddi schemi e catene tattiche? Ci credo che poi quando calcano campi lontani sono impauriti e spaesati.
Che bello non avere un cazzo da fare a Roma.
Mi sento ringiovanito, ho i vent’anni di Zuculini, e la stessa voglia di spaccare…se non il mondo almeno una persona! Invece divento premuroso e gentile, mi presento sotto casa di Palma e la porto fuori a cena nel mejo locale dei Parioli, poi mi porta lei in un postaccio al Fleming e si finisce che la infilo facilmente, come Borriello.
Lunedì sono già in ansia, la grande sfida incombe e parto prestissimo, verso le dieci del mattino, alla volta di Grosseto.
Devo misurare la loro voglia, quanto è sentita la sfida.
Ora di pranzo. Sono al Frantoio di Capalbio. Un luogo storico che se non ci siete stati sono onorevolmente cazzi vostri, ma dove lo trovate un ristorante-pub in piena maremma in cui al tavolo beccate un regista affermato, un buttero, un critico d’arte, un cantautore fallito, una velina, una contadina, un elettricista, un brigante pentito, una nobildonna fiorentina, un bagnino in pensione e Checco Moriero?
Porca miseria! Il proprietario interista Ado, un personaggio da neorealismo puro, mi ingozza di crostini, salamelle di cinghiale e pecorino al forno. Bevo un ottimo Caccia al Piano, cabernet di Bolgheri e chiedo alla velina se mercoledì vuol venire a Genova.
“A vedere il Grosseto?” chiede il buttero.
“Certo!” rispondo di scatto, evitando un rutto da cinghiale.
La contadina annuisce, anche il brigante pentito e il bagnino in pensione.
“Si fa la camionata! Tanto te tu c’hai il suvve!”
“Sì…ma io parto domani…”
“E che ci importa? Si va a vedere Genova!” sbraita la contadina.
Mi hanno fregato. Ma qui succede così, Maremma maiala.
Checco Moriero si schermisce…non pensava di trovare tanti ultras del Grosseto al Frantoio.
“Forza Grifone!” urla l’elettricista alzando il bicchiere.
“Forza Grifone!” ribadisco, e non capisco.
Già…anche il Grosseto, come noi e il Perugia, ha il Grifone come simbolo.
Non l’avevo mai notato.
Moriero agguanta la nobildonna fiorentina (ecco!), saluta ossequiosamente e se ne va.
“Checco! - Gli sfiato – facciamo l’impresa mercoledì?”
Il ricciolone si volta.
“Eh…magari…mi piacerebbe tornare a giocare al Meazza…”
Cazzo! La motivazione!
Fingo la ritirata al cesso e telefono alle mie conoscenze in società.
“Dite al Gasp che deve schierare una formazione decente, Moriero vuole qualificarsi”
“Non ti preoccupare – mi tranquillizzano – Sculli sarà titolare”
Sono calmissimo. Non hanno il Dalwhinnie, ma Ado mi porta sul tavolo una bottiglia di Caol Ila 18. Cavoli suoi.
La velina mi concede almeno la serata (un migliaio di euro compresi un paio di regalini in boutique di Orbetello) e cena alla spettacolare Osteria del Lupacante, le migliori zuppe di tutto l’Argentario.
Martedì pomeriggio, una nutrita spedizione maremmana alla conquista di Marassi, con lo sfigato che se li è caricati tutti in macchina e che li ospiterà in hotel a Nervi, che pensa ancora alla cameriera ciociara.
Cestino da viaggio: lonzetta di cinghiale, stracchino di Sorano, pecorino di Pienza, pane maremmano e Morellino di Scansano “Il Provveditore Riserva”.
Zuculini titolare, tutto il resto conta poco.
Come andrà, lo sapremo presto.
Il resto è architettura moderna nel Tempio, è il poco rispetto della storia, è l’ostinazione più cupa di fronte al fluire delle cose.
Altro che proclami, che ostentato ottimismo, il vero Genoa ad ottobre, il vero Genoa a novembre…il vero Genoa per fare cosa? Vivacchiare nella parte sinistra?
Quello per me è un Genoa finto, non è il vero Genoa.
Meglio la Maremma, che non ha fatto mai mistero di essere maiala.

Nessun commento: