Anche quando esercitavo quotidianamente la
professione di giornalista e soprattutto di critico musicale, ho sempre
detestato compilare classifiche, graduatorie di merito o comunque segnalare il
"miglior disco dell'anno" o "la più bella canzone d'amore"
e altre puttanate simili.
Resto convinto che nello stesso istante in cui vi
dovessi sgranare un rosario di titoli, con la spocchia del grande intenditore,
potrei essere colpito da una nuova melodia, un brano sconosciuto che di colpo
mi entra nel cuore e non mi molla per i prossimi dieci anni. Alla stessa
stregua, non sono mai stato un fanatico delle etichette: "questo è un
gruppo pop-rock progressive", Bob Dylan è "folk-rock"...e quando
fa blues? E nel "Live at Budokan" quasi tutto reggae? Per non parlare
dei coglionazzi di adesso che tirano fuori delle robe che le nostre pippe di un
tempo al confronto erano rispettosissime indicazioni.
Ma io "tweet
pop" "electrowave" e soprattutto "shoegaze" se ne
possono andare affanculo insieme ai loro creatori. Possiamo discutere di
tecnica, di suoni, di melodie, dei "treni" ritmici, di una gran voce
o di armonie, di soluzioni e altri voli musicali.
Quando però si tratta di
giudicare cosa ti ha più colpito, quel che ti sei portato in macchina, in casa,
sul giradischi (vero Puccia?) o nella chiavetta (sigh!), allora entra in ballo
l'unico grande recipiente che possa contenere la musica che conta, e che
sputazzi via in maniera indolore e gentile quella che non merita più di un giro
di giostra.
Niente classifiche, quelle le lasciamo per le
tabelle salvezza del Genoa in quei fogli a quadretti scarabocchiati a penna
rossa e blu come faceva Fabrizio De Andrè. Tuttavia mi è sempre piaciuto il
giochino delle nomination e dei premi differenziati. Per il 2013 il cuore ha
accettato ad esempio album ben costruiti e dignitosissimi quali "Push the
sky away" di Nick Cave (e a Jubilee Street darei una nomination per il
miglior brano) e "Lightning Bolt" dei Pearl Jam (anche la ballatona
"Sirens" ha attraversato un ventricolo), mentre ha ignorato serenamente
roba pluridecorata tipo Daft Punk, Vampire Weekend (che meriterà un riascolto)
e tutte le popperie dell'anno.
Il cuore da sempre fa il tifo per il blues, per
il soul e per il rock non esageratamente invadente. Ha apprezzato molto
"Old Sock" di Eric Clapton, che i soloncelli della critica italiana
hanno ignorato e invece è ricoperto di classe come fosse una fonduta tartufata
sulle patate lesse (nomination per il duetto con l’indimenticabile J.J.Cale che
quest’anno ci ha lasciato, “Angel”). Ha goduto anche con Robben Ford
(nomination per “Slick Capers blues” e per “Mostly likely…” come miglior cover)
e tanto tanto con Eric Burdon, che merita sicuramente un premio. Pollice verso
per Sting e la sua operetta noiosa, con una menzione per “The night the
pugilist learn how to dance” che merita una nomination.
Buono anche il secondo
Robert Randolph, ma era meglio il primo. Tra i songwriter, in mancanza del
solito diamante biennale di Van Morrison, da segnalare “Dream River” di Bill
Callahan. Per la black music, nomination brano a “It’s code” di Janelle Monae,
che dimostra di poter essere la nuova Chakha Khan, ma di non volerlo
essere.
Nella categoria “piaceri passeggeri” infiliamo l’ennesima collaborazione di Ben
Harper col vecchio armonicista Charlie Musselwhite, la coppia di countrymen
Dayley & Vincent prodotti da Randolph, un simpatico Ron Sexsmith, una
Madeleine Peyroux da salotto (con qualche cover azzeccata), Edie Brickell con
il chitarrista non comico Steve Martin (pallosità in agguato), lo swing
paraculo di Robbie Williams, la voce sinuosa di Laura Mvula (due canzoni e poi
l’oblio) e la piacevole confezione di cover della volpe Boz Scaggs (uno dei
pochi che si possa produrre in una rilettura degli Steely Dan).
Nei dischi da rigetto, categoria delusioni surrenali: Michael Franti (è
morto nel 2009) e Black Joe Lewis, che sembrava il nuovo James Brown e rischia
di diventare un vecchio casinista.
In Italia, difficile rubare il trono a Elio
e Le Storie Tese, ci prova Bobo Rondelli, che però è meglio dal vivo, e
Battiato con Anthony, che però sarebbero stati meglio in studio. Infine, non
pensiate che non abbia trovato il tempo di ascoltare dischi d’esordio e roba
nuova: mi sono sciroppato roba tipo Arbouretum, The Knife, Lorde, Anna Calvi…tutti
nel fegato senza passare dal cuore, mi spiace.
E veniamo al Re incontrastato di quest’anno, colui che ha pompato sangue, che
ha suscitato emozioni, energia, saliva e chiamato birra, vino rosso e gioia. Si
chiama Warren Haynes, suona la chitarra e canta e ha confezionato il miglior
album del cuore e il miglior live del cuore. Con i Gov’t Mule ha fatto uscire “Shout”,
compendio del rock in cui nel disc 1 se la canta e se la suona, e nel disc 2
lascia il microfono a gente come Dave Matthews, Stevie Winwood, Elvis Costello,
Ben Harper, Toots dei Maytals e altri pezzi da 91. Con la “Warren Haynes Band”
rilegge un po’ di southern rock e blues con la classe dei grandi (cover di “Pretzel
Logic” degli Steely…). Tutto in un solo anno, vi pare poco?
MIGLIOR CANZONE DEL 2013: BRING ON THE MUSIC – GOV’T MULE
MIGLIOR DISCO LIVE: WARREN HAYNES BAND – LIVE AT MOODY’S
MIGLIOR COVER: MEDICINE MAN – ERIC BURDON
MIGLIOR DISCO ITALIANO: ALBUM BIANGO – ELIO E LE STORIE TESE
1 commento:
Grande fratello nero. Fratelli bianco Prat
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