Oggi sono arrivato a credere che non solo non ci sia alcuna forma vita su Marte, ma che non ce ne sia nemmeno dopo la morte.
Da ragazzo non la pensavo così, avrei voluto esplorare le vite altrui come fossero altri pianeti, piantare la bandiera della conoscenza profonda, dell'intimità, di meraviglia, paura ed altre emozioni nobili o meschine da condividere.
Ero ancora alle medie quando ascoltai per la prima volta Bowie.
Cantava "Life on mars", un brano di una dolcezza sorprendente, che sembrava volerti scavare in profondità, pur regalandoti i bagliori colorati delle luci di un luna park. Quella canzone ti abbracciava di melodie e ti lasciava brillantini argentati sulla faccia. Non era cazzuta come il rock che ascoltavo, ma c'era qualcosa di particolarmente attraente.
Mi accorsi ben presto che era lui, la cosa attraente.
Bowie era le luci del luna park, era i brillantini argentati.
Ogni canzone di "Hunky Dory" era un pianeta, o almeno un satellite di una galassia che assomigliava a un musical. Stelle, stelle dappertutto, arte che si faceva sogno, o viceversa.
Bowie era un mimo, un saltimbanco, un arlecchino, un pierrot. Era un ballerino alla Lindsay Kemp, un attore alla Keith Carradine.
Sapeva cantare come un adolescente e nei ritornelli diventava un licantropo. Era sensuale e ributtante, candido e provocante, uomo e donna, serpente e mela. Era arte visuale pura, partendo dalla musica, dalla canzone.
Alcune amichette si dipingevano i capelli di arancione, sognavano di andare a Berlino e incontrarlo in una vecchia fabbrica dismessa. Aspettai i 14 anni di una di loro per andare al cinema a vedere "Cristiana F.".
Mi chiedevo se fosse possibile amare allo stesso tempo il punk, il rock and roll, Fabrizio De André e quell'istrione che faceva impazzire le ragazzine problematiche di cui mi innamoravo.
Grazie a David Bowie ho capito molto presto che non ci sono generi, etichette, filosofie, bandiere.
Non c'è politica, ideologia, pregiudizio che possa fermare l'onda emozionale della musica. Ci sono gli Artisti Totali e tanti bravi mestieranti che riescono a trasmettere qualcosa.
Bowie apparteneva alla prima categoria, e mi ha insegnato che se non c'è vita su Marte e nemmeno dopo la morte, sicuramente c'è un universo di avventure, di emozioni e di curiosità dentro di noi che non bisogna mai smettere di esplorare.
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