lunedì 9 marzo 2009

RUBY IL FACOCERO E GLI ERRORI UMANI (Genoa-Inter 0-2)

A nonno Kazungu questa cultura italiana del calcio non piace. Ha visto la partita ieri sera, come sempre al Safari Bar, e lascia scolpito sulla formica dei tavolini il suo commento. Il nonno è uno che parlerebbe semplice anche se dovesse spiegarti i postulati di Keplero e lo fa con una flemma che somiglia al soffio del vento poco prima dell’alba.
“E’ vero – dice – riguardando le azioni c’era un rigore su Milito, un fuorigioco fischiato a sproposito che lo metteva solo davanti al portiere (un signor portiere) e forse il tiraccio di quel nero con i nervi occidentali non aveva oltrepassato del tutto la linea di porta. Ma se il Grifone avesse giocato meglio, il pareggio lo avrebbe portato a casa ugualmente. Il problema è che abbiamo un portiere ruminante, Ruby il Facocero. Come il gibbuto quadrupede di savana, gira sempre al largo delle situazioni, anche di quelle che andrebbero a suo vantaggio. Così quando c’è una pianta succulenta, prima di capire che è un bocconcino prelibato, ci gira attorno tre o quattro volte, la annusa, avanza e poi arretra, si guarda intorno dieci volte. Non è stupidità, è insicurezza e la mamma, che era insicura più di lui, non gli ha mai insegnato che la pianta, come fanno i portieri col pallone, va aggredita senza preoccuparsi del circostante.”
Concordo con Kazungu. Siamo quinti in campionato con un portiere improponibile. “Certi numeri uno della Coca Cola League non li fa…”. Magari tra i pali non hanno lo stesso istinto felino, ma escono meglio incontro all’avversario e soprattutto non seminano il panico nei confronti dei propri giocatori durante le azioni in area. Come fa un difensore a sapere come si muoverà l’improvvisatore carioca se ogni volta ne combina una nuova? Il piazzamento da ridolini sul primo gol dei Bisciastriscia è emblematico. Fa quello che insegnano a non fare già negli allievi a un portiere. Qui in Kenya vedo ogni sabato una partita di serie B e ci sono almeno dieci portieri che scambierei alla pari con quel bravissimo ragazzo, padre esemplare e uomo di fede che è Fernando Moedim. Cito il giovane Agazzi della Triestina, ad esempio. Uno che deve crescere, che ogni tanto per troppa sicurezza ne combina una. Ma almeno ha i fondamentali, li ha imparati nella scuola calcio dell’Atalanta, non sulla spiaggia di Copacabana giocando a beach soccer con Ze Elias e Leovigildo.
Io chiamerei in causa anche il preparatore Spinelli. Si dice che Ruby sia cresciuto in questi anni. Io non lo credo affatto. Attualmente mi da lo stesso affidamento di Muslera alla Lazio, che l’anno passato deridevo credendo che noi avessimo un goalkeeper di altro livello. Ad esempio, Navarro non è una cima, ha meno istinto tra i pali. Ma i fondamentali ce li ha. Non lo vedrai facilmente andare a rucola nella sua area o avanzare e indietreggiare come un pugile timoroso durante un contropiede avversario. Vengano pure gli errori, le papere. Fanno parte del gioco, come la rovesciata mancata di un campione, come il gol mancato da Thiago Motta ieri sera. Ma la mancanza delle più elementari nozioni, quello da un portiere di una squadra che ha il gruppo, i gioielli, la società pronta, la voglia e soprattutto la tifoseria adatte per stare in alto, non è sopportabile ed è incredibile come l’allenatore e la dirigenza non se ne siano accorte. Ieri sera, come nel 3-0 con la Fiorentina (perché per me sarà sempre un 3-0, che è la differenza tra noi e loro) la differenza in campo l’hanno fatta i portieri. Non avremo la fortuna e i soldi per acquistare un nuovo Frey o un Julio Cesar, ma con Rubinho perdiamo tranquillamente 10 punti a campionato, senza rendercene conto. E chi ha visto ieri sera le parate di quel simpaticone di Sereni, se ne può rendere conto. Quante volte abbiamo giocato alla pari con l’avversario e siamo stati puniti da “un episodio?”. Una volta su due, in quell’episodio (Udinese, Lazio, Milan, Fiorentina tanto per dirne subito alcune) c’era di mezzo lui, il terzo uomo a Dallas, il primo tra i pali a Marassi.
Nonno Kazungu mi sente parlare, forse capisce e mi posa una mano sulla spalla. L’alba africana è qualcosa per cui vivere. L’arbitro della partita qui viene accettato finanche con troppo fatalismo, ma tant’è. Come dice nonno Kazungu: “I veri errori, da sempre, non li fa la natura delle cose, li commette l’uomo”.

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