lunedì 4 maggio 2009

DAHIATSU

Dahiatsu Mitsubishi non era un'automobile.
Mitsubishi era il cognome del padre, Dahiatsu il nome che lo stesso genitore, cuoco d'albergo in pensione, e abile solutore della settimana enigmistica, gli aveva regalato in cambio di un esistenza infelice a Riccione, quindicimila chilometri da Osaka.
Già da picolo Dahiatsu creò non pochi grattacapi al padre, una delle persone più tranquille e misurate della riviera. Ma non è di lui che vogliamo parlare, né della sua maniera di preparare il sushi per il proprietario del Miramare e spaghetti alle vongole per duecentotrenta persone.
Non vogliamo parlare nemmeno del proprietario del Miramare.
Non vogliamo parlare di Dahiatsu.
Non vorremmo proprio parlare.
Non stiamo parlando, casomai siete voi che parlate sottovoce mentre state leggendo.
Buon giorno!
Dahiatsu aveva un amico.
Ad Ivrea.
Si chiamava Antonio.
Non è vero. Dahiatsu non può avere amici a Ivrea, non tanto per la cittadina di cui apprezzo centro storico, il carnevale e talune boutiques di formaggi, né tantomeno per i suoi abitanti con cui mi scuso per essere stati citati nella storia di Dahiatsu.
Semplicemente, Dahiatsu non può avere amici.
Il padre l'ha imprigionato, nel 1997, tra il ventidue e il ventitre verticale delle parole crociate a schema libero e, per un bambino di undici anni, è difficile evadere dallo spazio esiguo tra "un'imposta come la Zanicchi" e "pronome di persona".
Il ragazzo, da quel giorno, ha sviluppato cattiveria, cinismo, arti marziali e un'imprevista passione per le detrazioni fiscali.
Incasellato e non ancora liberato, è cresciuto in lui il desiderio di vendetta nei confronti del padre e del genere umano.
2011: Dahiatsu a tutt'oggi lavora come redattore della rubrica "Risate a denti stretti".

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