mercoledì 1 aprile 2015

SICK BOYS REVUE, BELLE STORIE "MALATE" DI ROCK AND ROLL


Ascolti quattro ragazzi maremmani, “malati” di punk e ci senti dentro quarant’anni di rock and roll.
E’ una bella sorpresa “Sick tales”, energica ed energetico lavoro in studio dei Sick Boys Revue, ghenga di Follonica nata sette anni fa come cover band dei californiani Social Distortion, da cui hanno preso il nome (Sick Boy è il nickname del leader Mike Ness), la copertina (che sembra uscita dal video anni Trenta di "Machine Gun Blues", con tanto di "Walking my baby back home" in sottofondo) e da cui sono partiti per un bel viaggio che strada facendo e con l’aggiunta del chitarrista Max Rocker, si è colorato di rockabilly, hardcore e punk londinese.
“Sick Tales” raggruppa queste esperienze e passioni senza fartele pesare, mantenendo la leggerezza del gioco musicale che ha fatto la fortuna di band come Ramones e Buzzcocks.
Si parte con il singolo “Sick boys plays rock and roll”, che sembra una legenda (viene ripreso anche alla fine delle tracce, quasi a chiudere un cerchio nel segno delle saltellanti sonorità da cui il punk non può non prescindere). Bei muri di chitarre, si sente anche il lavoro di una volpe del punk-rock come Lester Greenowski, che ci mette la stessa mano usata nella sua “Such a shame”.
Ma i Sick Boys vanno oltre e si capisce che possono osare di più, hanno quasi la compattezza e le radici degli Strokes quando rifanno “Clampdown” dei Clash. “By my side” si fa apprezzare per gli incroci di chitarre tra Max Rocker e il frontman del gruppo, “Il Commisserio”. Quando il suono si fa grosso, appaiono in filigrana le cose meglio dei Ramones. Ma non scimmiottati, perché questi malati di rock trasudano autenticità, nulla è di maniera e la cosa piace. “People call me sick” è forse un episodio minore. Pur non cadendo nella trappola del pop-punk, si lanciano in un terreno già troppo arato, con assolo didascalico.
Quando temi un calo di prestazione, ecco che ti arriva la sferzata d’estro. “Becoming myself” è un tocco di classe che magari farà storcere il naso agli integralisti del punk, ma il cui inizio bluesy con l’armonica strizza l’occhio al folk americano con il peso specifico del rock and roll, e ricorda i Blues Traveler dei primi album.
“Loving me” è la più Buzzcocks dell’album (“What do i get” e “Ever fallen in love” docet) e “Panem and Circenses” si sposta verso l’hard rock tosto e seventy, alla Dogs D’amour, con finale travolgente.
Le “storie malate” dei ragazzi di Follonica si fanno ascoltare con piacere, tra la compattezza della sezione ritmica di “People can’t change” (bella energia) alle spruzzate di british punk di “Tell me”, fino a recuperare l’aria sixty e un pizzico glam del Johnny Thunders di “Born to loose” o dei New York Dolls in “Contraddictions in my town”, uno dei brani più lineari e piacevoli. Si chiude con “Lesson learned” che sembra parlare proprio dei SBR, ormai troppo maturi per seguire i “lalala” dei Social Distortion, che rimarranno sempre una bella palestra, e che anche quando le chitarre hanno voglia semplicemente di filastrocche punk, con batteria che lavora di charlie e crash a tutto spiano e basso che si porta dietro la baracca, sanno bene come fare, con la voce ficcante del Commisserio che non te le manda a dire.
Ogni tanto c’è bisogno di farsi raccontare senza retorica la favola bella del rock and roll e delle sue mille sfumature. E immaginiamo che dal vivo sia una storia ancor più coinvolgente.

1 commento:

Unknown ha detto...

Freddie sei una grande anima trasversa, come la palla quando incoccia la traversa .... da ora in poi uno dei miei più importanti referenti per la lunga e storta via che ci condurrà storti alla saggezza... Raff Bombadillo Badaluc dai Colli di Oriente nella Patria del Friuli