mercoledì 27 gennaio 2010

AFRICA, DOVE IL GIORNO NON HA MEMORIA


Oggi in tutto il mondo è il “Giorno della Memoria”, ma qui nessuno sa cosa sia.
La memoria serve a poco da queste parti e il giorno sopporta a malapena il peso di se stesso.
Ci sono tante feste in Kenya: tutte le ricorrenze cristiane e parecchie di quelle musulmane, c’è il giorno dell’Indipendenza come in America, quello della Repubblica come in Italia, il compleanno del primo presidente della Repubblica come in Papuasia, il compleanno del secondo presidente come solo in Kenya.
Dopo essersi eletto presidente, il 30 dicembre 2007, il signor Mwai Kibaki ha dichiarato il 31 dicembre festa nazionale, “post-election day”. Felice intuizione, la gente ne ha approfittato per iniziare a massacrarsi gioiosamente.
Ha ragione il nostro premier del presente e del futuro Silvio: troppe feste fanno male.
Ma il “Giorno della Memoria” a Malindi è cosa sconosciuta. Qui si vive alla giornata, al massimo alla Memoria si può dedicare un’oretta, si potrebbero istituire i “Quarantacinque minuti della Memoria”, tra mezzogiorno e un quarto e l’una. Poi tutti a mangiare.
“Lei sa cos’è il Memory Day?”
Lo chiedo al proprietario del chiosco di frutta e verdura.
“Vuoi della rucola? E’ arrivata freschissima”
“Memory day?”
“No, non ne ho. Scrivimelo qui che provo ad ordinarlo”.
Provo con l'ambulante delle schede telefoniche.
“Memory day?”
“No, ma ho la tariffa sul week-end, se vuoi”
Ottengo un'alzata di spalle e uno sguardo attonito anche dalla guardia giurata di una banca e dal fintovero masai che ha il banchetto di perline nel mezzo del centro commerciale.
L'Africa non ricorda la Shoah, qualcuno ha sentito parlare di Olocausto, ma è una cosa di tanto tempo fa "che riguardava i tedeschi e gli israeliani", mi dice un indiano kenyan-born che ha studiato a Mombasa.
La memoria a Malindi è cattiva e vicina, molto vicina.
E' la memoria del giorno, di ogni giorno in cui si suda per il pane e si lotta per quel sudore.
In Africa continuano ad uccidersi in maniera barbara, ieri in Kenya, oggi in Congo e da vent’anni in Somalia. Sotto le mentite spoglie di "pulizia etnica" o di “gioco di potere” si scatena la guerra peggiore, quella dei poveri.
Niente docce o fosse collettive, niente camere a gas. Qui girano machete e coltelli, torce e benzina.
Il potere, quello vero che non gioca, non muove un dito, questa è il vero “stato di pulizia”.
Ci hanno provato con la democrazia, con il capitalismo. No, non fa per l'Africa, per il Regno in cui da sempre il leone si batte con la gazzella, il leopardo con il facocero e non c'è battaglia. La democrazia ha insegnato al leone come battersi con il leopardo e, quel che è peggio, alla gazzella come uccidere il facocero.
Perchè? A che serve? A chi serve?
Dal Giorno della Memoria in poi siamo abituati a pensare che dietro ogni eccidio, ogni epurazione, ogni guerra, ci siano motivi economici, politici, sociali. In Vietnam per l’oppio e la Cina, in Iraq per il petrolio e il terrorismo, il Venezuela per la cocaina e Chavez (no, questo non ancora…).
In Kenya sembra assurdo ridurre tutto a due africani ricchi e ubriaconi che vogliono comandare, a due boss di lobby tribali di potere che, dopo essersi sfidati e aver causato migliaia di morti, si sono stretti la mano sorridendo e sono tornati a fare inciuci come nel resto del mondo.
Eppure è così. D’altronde siamo nella Terra del “Non c’è un perché”.
Oggi, “Giorno della Memoria” 2010, altre centinaia di innocenti a poche migliaia di chilometri da casa mia sono stati ammazzati e siamo in così pochi, quaggiù, a portare addosso il peso di così tanti giorni da vivi.

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