lunedì 18 gennaio 2010

IL SIGNOR TE' E LA CISTERNA DELL'ACQUA


Il dirigente dei servizi educativi del distretto di Malindi si chiama Chai. Mister Chai. Assistant District Education Officer.
Qui in Kenya il suo nome, come in Cina, in India e in tanti altri paesi d'Africa e d'Oriente, vuol dire té. Ma in gergo significa anche "mancetta". Te lo chiedono i poliziotti quando ti fermano a un posto di blocco improvvisato, te lo consiglia l’esattore delle tasse, lo raccomanda il lavamacchine al parcheggio e lo pretende il ragazzino insolente sulla spiaggia.
Il signor Mancetta non mi ha ancora chiesto una tazza del suo nome, per fortuna.
Lo porto in macchina a Gede, una dozzina di chilometri dal centro di Malindi, ad assistere alla posa del cartellone che indica il progetto della scuola calcio "Genoa Club Malindi" davanti alla scuola elementare, sul ciglio della grande strada asfaltata che vede transitare migliaia di turisti ogni anno. Gli racconto di cosa hanno fatto i miei amici rossoblu allo stadio, vendendo il libro che lui ha in mano ma che ancora non è possibile tradurre in inglese. Gli dico che presto anche il Genoa Cricket and Football Club manderà un aiuto concreto e convincerà (no, senza un “chai”) i suoi sponsor a fare lo stesso.
“I ragazzi avranno le divise rossoblu”
“Era meglio blu e azzurre - dice Chai – come quelle della scuola”
“Sì, ma la squadra è rossoblu”
“Capisco”
Stiamo in silenzio, fino a quando si arriva a Gede. Ad attenderci all’ingresso della scuola il preside, Mister Kanundu, che in kiswahili significa proprio Mister Kanundu.
Forse per questo lui si è già preso il “chai”. Mi ha fatto pagare la posa del cartellone un po’ di più del normale, dieci euro invece di sei. Io lo so che ne darà uno a testa ai due operai che hanno mescolato la sabbia col cemento e l’acqua, hanno scavato le buche e stanno posando i pali del cartellone, il resto va per la vanga, il sacco di cemento e qualcosa in tasca a lui.
Ma che ci vogliamo fare? Anche Mister Kanundu tiene famiglia…
Entriamo nella scuola e costeggiamo il grande campo di calcio che utilizzeremo per insegnare il più bel gioco del mondo ai bambini. Infine arriviamo sul lato sud, dove c’è lo spazio per costruire uno spogliatoio, sei metri per 15, con quattro docce e una toilette, e lo spazio per venticinque armadietti con la chiave e le panche. Di fianco ci sarà l’aula tattica, altri 6 metri per cinque.
Dietro, dove era stato previsto lo spazio per il pozzo, il pozzo non ci sarà.
Faremo una grande cisterna per l’acqua.
“Il tecnico che è venuto sul posto ha detto che qui non è cosa per il pozzo” dice Chai.
“L’acqua è salata e il terreno è duro. Poi ci vuole la corrente, per azionare la pompa che porta su l’acqua. E se non c’è corrente, niente acqua!” conferma Kanundu.
Insomma, mi guardano e mi fanno capire che il pozzo è una “roba da mzungu”, da bianco ricco che vuole fare le cose in grande. Per uno spogliatoio e irrigare il campo da calcio, basta una cisterna da diecimila litri per immagazzinare l’acqua quando arriva, una seconda linea con un meter “dedicato” e niente pompe e corrente.
“Basta costruirla in alto – spiega Chai – così l’acqua verrà giù nelle docce in maniera naturale”
L’acqua però nei nostri piani deve servire anche alla scuola, quando non ce n’è abbastanza…
“Facciamo la cisterna da ventimila litri, allora, e un rubinetto esterno che useremo quando siamo senz’acqua” rilancia Kanundu.
Con loro io non riuscirò a impormi mai. Si possono modificare, migliorare, occidentalizzare un po’ le cose, ma se si sradica la loro convinzione iniziale, si può star certi che andrà tutto a ramengo. Sarebbe come fare un torto all’Africa, alle ancestrali concezioni di questa gente, alla loro anima.
“Vada per la cisterna allora…”
“E con i soldi che avanzano…”
“Niente Chai, mister Kanundu…con i soldi che avanzano faremo qualche lavoro in più nella scuola. Capito?”
“Capito!”
“Mister Chai, ha qualcosa da aggiungere?”
“In effetti sì. Ho un cugino che è in grado di costruire l’appoggio in cemento per la cisterna, dovrà essere alto almeno tre metri e mezzo…gli faccio fare un preventivo?”
L’odore di tè si diffonde sempre più insistente sotto il grande mango, all’altezza dell’area di rigore.
E’ così naturale che mi viene da sorridere e battere una mano sulla spalla del dirigente.
Quante volte mi sono piegato come una giovane palma al vento, facendomi cadere senza rumore le noci di cocco ai piedi. Quante volte ho rinunciato a un affare, a un’opportunità o a un aggancio utile per una questione di principio.
Il principio e la fine sono la stessa cosa qui in Africa: due limiti.
Tutto il resto è qualcosa di sconfinato in cui, oltre al cuore e allo sguardo, si perdono anche i motivi.
“Farò fare un preventivo anch’io, Mr.Chai. Se quello di suo cugino è uguale, prendiamo lui”.

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