martedì 9 marzo 2010

TONINO CARINO: ADDIO AL SIMBOLO INVOLONTARIO DI UN'EPOCA


Ci sono persone che non sanno di essere un simbolo, di rappresentare l’evolversi della società nel bene e nel male e il mutare di abitudini e costumi. Non lo sanno quasi mai nel tempo presente, a volte se ne rendono conto quando la scia del loro involontario carisma si è già dissolta e diventano addirittura patetici se cercano di riprodurne la luminosità.
L’artista compone o recita per essere ricordato, per lasciare una traccia più profonda possibile del suo passaggio terreno e guadagnarsi l’immortalità virtuale. Lo scrittore, pur con molte più perplessità, cerca di fare lo stesso. “Scrivo perché ho paura che si perda il ricordo di me” diceva Fabrizio De Andrè. Il cronista, invece, si occupa di uno spazio temporale ristretto. Scrive e vende notizie che hanno vita breve. Per sua maggior dannazione, è sempre lì a commentare, a rivelare, a fornire informazioni, ma le sue “opere” muoiono. Come potrebbe sopravvivere nella memoria?
Solo diventando l’involontario protagonista di quelle notizie, trattandole così male da divenire più importante di loro. Chissà se Tonino Carino da Ascoli ha mai parlato di questo con qualcuno, magari con un collega con cui era in intimità nella redazione del Tg regionale di Ancona, o con un addetto ai lavori della società Ascoli Calcio. Chissà se si è reso conto che la società è cambiata parallelamente alla sua uscita di scena, e con lei sta scomparendo un certo modo di scrivere, di fare giornalismo, di comparire in televisione.
Tonino Carino da Ascoli se n’è andato come una notizia di giornata, a soli 65 anni.
Non era vecchio, ma già dimostrava un’età imprecisata, tra i 40 e i 70, quando venticinque anni fa si collegava durante “Novantesimo minuto” per offrire il suo commento della partita dell’Ascoli, quando i bianconeri marchigiani erano in serie A, o per fare il punto della serie B.
Piccolo, avvizzito, con il musetto da scolaro buono e la voce sempre ansiosa, le parole che si perdevano tra lingua e denti prima di saltare fuori come palloni dall’imprevedibile rimbalzo in area di rigore. Triturava congiuntivi, fantasticava sui nomi dei calciatori stranieri, di quell’Ascoli che continuava ad acquistare calciatori slavi per fargli un dispetto. Il suo dirimpettaio era Costantino Rozzi, vulcanico presidente della squadra locale e costruttore edile vecchia maniera (democristiana), che non mancava di bastonarlo se piovevano critiche. E allora l’Ascoli, anche quando perdeva 0-4 in casa, era volonteroso, sfortunato e le altre squadre erano ciniche e aiutate dall’arbitro.
Tonino Carino da Ascoli non era solo il simbolo di un calcio che non esiste più, ma anche di una televisione che ormai non permette che sia il pubblico a decretare il successo di un personaggio, di un eroe involontario da cinque minuti al giorno. Oggi il calcio è televisivo e sono gli inserzionisti pubblicitari a decidere chi è più adatto a mostrarlo. Così avviene in ogni altro ambito, anche nell’informazione, che (pur telecomandata, per carità) un tempo aveva la pretesa di essere asciutta, seria. Oggi ti arriva il commento alla notizia, prima della notizia stessa. E non si è fatta molta fatica ad avviare un processo di spersonalizzazione dei latori della medesima, dato che la società tutta va verso questa direzione.
Però, paradossalmente, i personaggi continuano a fare notizia, perché è nella nostra natura affezionarci all’individuo singolo in massa, e alle masse quando ci sentiamo soli.
Il gossip, poi, è pure aumentato.
Quando nei bar si parlava degli scivoloni lessicali di Tonino Carino, non ci si chiedeva se avesse lasciato la moglie per un’avvenente presentatrice, o dove fosse andato in vacanza. Perché non era giovane, non era bello e non aveva i denti scintillanti. Tonino era umano, era uno come noi.
Oggi forse siamo “noi” ad essere in pochi, o ad essere sprofondati nella parte non visibile dell’iceberg, travolti dal peso della vita in una società che in un quarto di secolo è cambiata radicalmente. Ci hanno tolto pezzetti di libertà, imponendoci le loro scelte, e come in televisione, scelgono loro le persone a cui dobbiamo affezionarci e le notizie che è meglio ascoltare.
Carino, Necco, Castellotti, Ferruccio Gard, Giorgio Bubba…non sono nemmeno più caricature e imitazioni buone per la Gialappa’s, perché anche la Gialappa’s preferisce imitare (o è costretta, se vuole lavorare) i protagonisti del Grande Fratello, che sono tutto tranne che protagonisti involontari della loro vita e del loro mestiere.
Tonino Carino da Ascoli è stato e rimane un simbolo di come eravamo, ma soprattutto di come potevamo essere. Oggi siamo soltanto bravi consumatori e ci sono scuole professionali per diventare simboli. Non è affatto difficile, basta seguire gli appositi manuali. Oggi è una De Filippi qualsiasi a stabilire se puoi aspirare a diventare un emblema di questa società, se hai carisma e porti audience. Nella tristezza propria di chi è allo stesso tempo uomo di (poco) spettacolo e cronista, sono contento di essere riuscito a vivere in un’epoca in cui ho potuto assistere a un cambiamento radicale di costumi in così poco tempo. D’altronde la storia mi insegna che le rivoluzioni durano anche meno. Tranquilli, non ci sarà nessuna rivoluzione. Qui le notizie muoiono in poche ore e non c’è nessuno che involontariamente le tenga in vita, la televisione e i suoi accoliti ci convincono che siamo uguali a loro, proponendoci modelli che in realtà non avrebbero niente a che fare con le nostre aspirazioni e le nostre potenzialità. E intanto il teatro muore, i cantautori non hanno più spazi, si taglia il cinema, l’editoria, lo spettacolo in generale. Per pagare milioni a una casalinga imbranata per presentare Sanremo (osannandola pure, perché “è semplice e naturale come noi”).
Tonino Carino avrebbe presentato molto meglio il Festival di Sanremo, se la Rai glielo avesse chiesto avrebbe preteso probabilmente soltanto l’indennità di trasferta e qualcosa in più.
E sarebbe sembrato molto più simpatico e naturale a tutti.
Chissà, un giorno la gente tornerà ad essere “involontaria”, a guardarsi nello specchio invece che riflettersi nei talk-show televisivi, ad essere protagonista della propria vita, e non spettatrice di quella di persone che non le somigliano.
Allora forse potremo parlare di tanti Toninicarini, senza apparire come superati, noiosi, impolverati, grotteschi animali nostalgici.

2 commenti:

Maurizio Pratelli ha detto...

cazzo freddie! mi ero perso tutto questo? Dai, un nostalgico idealista come me non puoi non leggerti!

freddie ha detto...

Nostalgico sì, ma niente lacrime, mi raccomando... Tu sei la mia parte resistente, fratello!