sabato 18 dicembre 2010

IL CONGO PRIMA DEL DERBY E LA VERTICALE DEL CARONI


Cazzi vostri, io me ne vado in Congo.
E per farvi capire che non è una provocazione, ci vado prima del derby. Mi spiace per i pochi fratelli che lascio e le fidanzate caucasiche occasionali, per le fidanzate dei fratelli che sono sacre e per le mogli che sono già più profane. Mi dispiace perdere la partita che vedrà le prodezze di Toni, l’esplosione di Rafinha, gli slalom di Mesto, la mobilità di Veloso e la panchina di Kharja. Sognerò un gol di Destro che per me non è scarso…no, però non è nostro…una doppietta di Rudolf. Ci arriviamo più invertebrati che mai, a questo appuntamento tradizionale. Come fosse la sagra delle puntarelle fuori stagione, come sapessimo già che finisce 0-0.
Mi spiace, amici; ma l’Italia mi ha veramente rotto i coglioni e non ci voleva Daniele Silvestri per capire che non sono il solo.
Me ne vado in Congo perché lì, quando un regime diventa ridicolo, si scende in strada e si fa la guerra.
Me ne vado in Congo perché in Africa c’è una logica delle cose: lagggiù non vedrai mai un disoccupato all’interno di una casa a rischio di crollo, con in mano un I-Phone.
Me ne vado in Congo perché voglio registrare un disco con una sublime band di musicisti di strada poliomielitici, che si chiama Staff Benda Bilili e se non ci credete, oltre ad essere cazzi mosci vostri, ascoltatevi il loro disco “Trés Trés Fort” e poi mi dite. Ma sottovoce, che mi sta sul culo quando la gente mi da ragione.
Me ne vado in Congo soprattutto per godermi la festa che ci sarà quando il Mazembe Football Club diventerà campione del mondo per club, dopo essersi inchiappettato i brasiliani.
Congo! Paese corrotto, incivile, zeppo di soprusi, governato da idioti pericolosi. Direte, dove sta la differenza? La differenza è che il divario tra ricchi e poveri è immenso, ma i ricchi sono lo 0,1 del Paese, non il 15 per cento!
Sono troppo incazzato e troppo poco furbo per commentare la fiducia al parlamento italiano, gli scontri di strada a Roma e degli infiltrati.
Per parlare dello schifo ho assunto un portavoce, l’ostricaro. E’ un personaggio che molti vorrebbero portassi con me in Congo e invece resterà, per scrivere un libro sulle memorie di Giorgio Bubba.
Ora però vi racconto una cosa vera: sono salito su un treno a Genova Brignole, ieri pomeriggio, e c’era un uomo che inveiva contro i passeggeri. A un certo punto ha tirato fuori il fontanile di carne e ha pisciato addosso a tutti! Ci sono volute cinque persone per bloccarlo, la polizia per identificarlo e un inserviente per disinfettare il vagone.
Il treno è partito con mezzora di ritardo e io avrei voluto tanto applaudire. Sui giovani d’oggi io ci scatarro sopra, sugli altri una bella pisciata magari sveglia.
Per calmare i nervi potrei parlare del Genoa, ma a chi interessa? Il nostro campionato, mi sembra di aver capito, si chiude domenica sera. Lo ha detto chi ne sa più di noi e io approvo parola per parola, lo sapete bene che sono aziendalista.
E’ un’annata iniziata male e progredita peggio. Non vedo l’ora che questa stagione finisca. Facciamo il derby, giusto perché è una partita storica, poi tutti in Congo, a vedere il Mazembe.
Oltretutto non c’è nemmeno la tessera del tifoso e si può andare a Kinshasa da Lumbumbashi con la sciarpa al collo. Al limite te la rubano i ragazzini che sniffano colla negli slum di periferia. Almeno si potessero giocare le partite in modalità manager, ci potremmo concentrare sul calciomercato di giugno.
Direi che si può tornare dal Congo giusto a giugno e luglio, quando lì piove e qui apre l’Ataquark.
Ci sono rimaste poche cose che danno soddisfazione, in questo stivale dei maiali. Mangiare, bere, la fica nostrana e un manipolo di tifosi rossoblu. Il resto lo trovi da qualsiasi altra parte. E anche il mangiare e bere, d’esportazione, se hai i soldi.
Ma il manipolo…di fronte al crollo verticale dell’Italia, prima di partire per il Congo, mi sono goduto uno di quei pranzi che non si dimenticano facilmente, se non con una lobotomia e una settimana di palestra. Tagliolini al tartufo bianco, tagliatelle al ragù di cinghiale, maiale al forno con patate, polenta e brasato e un numero compreso tra il cinque e il venti di varietà di dessert.
Tutto preparato da un uomo solo, con l’aiuto della moglie.
Potrei parlarvi dei vini, invece vi illumino sulla “verticale del Caroni”, unico antidoto contro un Paese allo sbando e contro i lanci morbidi di prima di Omar Milanetto.
Alla fine di un pasto del genere, di fianco a persone consenzienti (e che non vedono l’ora che ve ne andiate veramente in Congo) aprite una bottiglia di Caroni del 1993, che se lo sapete è un’annata unica nella storia del Caroni. Quell’anno i dipendenti della fabbrica misero in mora la società, ma non si chiamavano Meggiorini e Britos e la Caroni dovette chiudere. Per salvare quel che stava nelle botti, dato che la stagione era iniziata male e tutti speravano finisse presto, imbottigliarono il rum anzitempo.
Così invece di raggiungere il giusto invecchiamento e la famosa gradazione di 55,3°, si fermò “solo” a 44,5°. Si assaggi un bicchiere di Caroni 1993, lo si sorbisca piacevolmente, conversando e accompagnandolo con cioccolato fondente alla cannella.
Poi si passi al Caroni vero e proprio, dal 1992 a scendere. Dapprima sentirete il bruciore in gola che ho provato quando ho visto Gasparri saltare come Ricky Martin quando fa “un dos tres, alè alè alè”, poi respirerete roba forte come davanti a Montecitorio e infine capirete che ogni caduta verticale può essere compensata con un’ascesa di gusto.
Perché le stagioni, se vale la pena di vivere, non dovrebbero finire mai.
Solo una verticale, forse, ci salverà.
Io, intanto, me ne vado in Congo e mando cordialmente tutti quelli che non sono miei fratelli, a fare in culo.

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