“Tra un campionato
mondiale di calcio e l’altro passano quattro anni.
Tra un campionato mondiale di calcio e un campionato europeo di calcio passano due anni.
Tra un campionato nazionale di calcio e l’altro passano al massimo tre mesi, tra una partita e l’altra una settimana, tra una domenica di campionato e una sfida di coppa tre giorni appena.
L’importante, nella vita, è suddividere il presente in tanti piccoli passati prossimi che viaggiano qualche secondo prima di te, come una trasmissione via satellite.
Se li registri bene, non ci sarà bisogno di rivederli alla moviola”.
Questo scriveva, qualche mondiale fa, un mio caro amico che masticava di palle e di vita.
Si potrebbe aggiungere che tra un mondiale di calcio in Brasile e l’altro passano 64 anni e sarebbe già una buona conquista vederne due. Anche se il Brasile non è la culla del futebol, ne è sicuramente l’emblema e anche la faccia più bella. Stadi stracolmi di gente che salta come i cangurù di Bahia, danza al ritmo di pallosissimi samba e si colora la faccia meglio di Vendola, donne che si colorano le tette e la bietola senza Venderla, alla faccia del dominio televisivo e della pornografia da salotto.
E’ un dato di fatto che questo mondiale brasileiro potrebbe essere un crocevia. Difficile lottizzare una nazione così vasta, varia e legata a tante radici diverse, tenute insieme in maniera misteriosa, come lo spogliatoio dell’Inter. Negli ultimi due decenni ci hanno provato convincendoli che era un Governo di sinistra quello che glielo stava mettendo nel deretano, che era un capitalismo fatto in casa, quindi genuino, ecocompatibile, bio e privo di conservanti. Ora Dilma, la donna con il nome da servizio segreto e il cognome da ballerino armeno, con faccia e postura da albero della gomma, tranquillizza tutti e ricorda quando, durante i mondiali del 1970 a Città del Messico, nel Paese c’era la dittatura e lei era in carcere. Ora il suo esercito spara proiettili della stessa materia della sua faccia addosso ai dimostranti di San Paulo.
Crocevia o boomerang? Pare chiederselo anche Fuleco, l’armadillo mascotte di Brasil 2014, che tiene il pallone sul palmo della mano alla stregua di Amleto. Etere o non Etere?
Tra l’altro, lo sapevate che in dialetto carioca, Fuleco (anzi, Fuleço) significa “buco di culo”? Dite che i creativi della Federazione non lo sapevano? In ogni caso, propongo, in memoria dell’armadillo Flavio Keirrison Grifondoro, detto il Guru, di istituire per questi mondiali il Fuleço d’oro (Candreva, ve lo dico subito, è fuori concorso e per fortuna Montolivo ci ha pensato da sé).
Eppure questo Brasile così genovese, così genoano, così incredibilmente brasiliano. Così vicino e così lontano. Brasile che fu scoperto da un navigatore lusitano di nome Cabral, chissà se il nostro idolo, abbracciato troppo tardi e salutato troppo presto, è un lontano discendente. “From the cradle to the grave”, cantavano gli U2. Il Brasile non è la culla del calcio e Cabral non è la sua tomba. Ma quasi.
Sono dati di fatto, come quello che la caipirinha fa cagare e che se da noi i “No-Tav” sono considerati terroristi, l’inventore della caipiroska alla fragola dovrebbe essere deportato a Manaus, appeso per i piedi e costretto a guardare a testa in giù “La terra degli uomini rossi” di Marco Bechis fino a che non abbia imparato tutte le battute a memoria. Ma parliamo di cose serie con la stessa leggerezza con cui Montolivo affronta le amichevoli premondiali: cosa bere in Brasile che non sia d’importazione? Cachaça invecchiata 12 anni di Minas Gerais (la Ypioca Reserva si trova anche in Italia) e poco altro. Ora che il vino cabernet Forestier è stato acquistato dalla Richard, quella del Pernod, parabola minore che mi ricorda un giovane promettente quasi omonimo che il Grignolino di Grugliasco si bevve perché non sapeva fare il mediano e il prete di Conegliano non lo ha considerato, spedendolo a Watford, non resta che bere bella birrozza fresca. La migliore? Veneta! E’ la Schincariol, i cui fondatori arrivavano proprio dal paese di Guidolin.
Bisogna alzare un po’ il grado alcolico, per sopportare il calcio di oggi e la logica dei grandi eventi. Tutti promettono di dividere le acque come Mosè, e invece lasciano le acque alte e si dividono i dividendi come il Mose. Così ci tuffiamo in un mondiale lontano per dimenticare l’Expò milanese così vicino alla Calabria e la Carige così vicina alla dogana di Chiasso.
Il calcio tecnicamente soffre della stessa malattia di tutte le cose del mondo, c’è un appiattimento generale in forza di più concretezza, velocità d’esecuzione e meccanicità. Ovviamente sono fantasia e creatività ad accomodarsi in tribuna (o meglio, a restare fuori dallo stadio ed alimentare la protesta), più o meno è la stessa tristezza di vedere gli chef calabresi degli azzurri, che potrebbero giostrare tra sarde ca’ muddica atturrata o i perciatelli cu’ pisci stocco di Mammola, esibirsi quasi esclusivamente in vermicelli barilla (ma Abate li mangia?) con pomodoro e parmigiano, ovviamente senza soffritto.
Ma il Brasile no, lui non ci sta! Manifestazioni, scioperi, raccolte di firme per contare chi spera che la nazionale verdeoro non vinca i Mondiali. Tutto questo a pochi giorni dall’inaugurazione in uno stadio non ancora ultimato. Ma anche in Sudafrica consegnarono le chiavi degli spogliatoi due ore prima del waka-waka di Shakira. Per Brasil 2014 la sigla invece è cantata da un rapper mezzo cubano con il nome da cane e da una ballerina mezza portoricana con il cognome da meteora di Preziosi. “We are one, Ola Ola” e viva il Brasile! Sai che gioia per quelli di Rio e di Belo Horizonte, a cui già se dici che la samba è un ballo latino-americano fanno scattare il serramanico…è la globalizzazione, baby! Ma anche l’ignoranza, che tende ad assimilare tutto. Brasile? Caipirinha, Cubalibre, Churrascaria, Merengue, Pampero!
Il brasilianissimo Ricky Martin ha composto l’inno di riserva, dall’originalissimo titolo “Vida, ha, ha, ha”, Shakira, da Copacabana, ha già risposto con il controinno: “Dare: La la la”. Peccato che Pippo Franco non sia martinicano, perché un remix di “Chì Chì Chì co co co, curucurucurucù qua qua” sarebbe cascato a fejioada.
Solo su due cose davvero brasiliane, che si possono anche accorpare e ridurre a una sola, il popolino mondiale si trova d’accordo: le chiappe e i travestiti. Allora lo vedi che è tutto come la finta sinistra di questi tempi? Pensi sia donna, le apprezzi il culo, ma a un certo punto sfodera il Pingo de Pinga e te lo mette nel Fuleço. Etero o non Etero?
Va a finire che non disdegneremo, come di sorbirci questi mondiali e tutte le caipiroske mediatiche.
Scusate le digressioni e i francesismi senza nemmeno Ribery; torniamo al calcio, che tra un po’ si parte: vi starete chiedendo (e se non ve lo siete ancora chiesti, un Fuleço in omaggio a tutti voi!) “Per quale nazione e nazionale farà il tifo il Beccio?” Qui, miei cari orfani di Cabral, entrano in campo le tante anime di Freddie Beccioni. La propensione alcolica direbbe Costarica, per il Ron Centenario 30 anos, ma poi penso alle reali possibilità e torno inevitabilmente alla Cachaça. La propulsione mignottica mi direbbe Russia, ma poi penso a Capello e Putin, mi si ammoscia e torno direttamente a Copacabana in cerca di un bel Fuleçon.
La predisposizione alla polverina mi dice Colombia, ma poi penso al nano, alle ballerine a Micciché e alla Santanché e mi fumo un narghilè. La progressione africana direbbe Ghana e Costa D’Avorio, ma rimane un’utopia e mi accontento di Balotelli. Infine la prostrazione genoana mi direbbe Croazia e Grecia, ma poi penso alla monetizzazione dell’infame, e dico…andate a prendervela tutti nel Fuleco! Vinca chi gioca meglio e speriamo non siano le solite.
In ogni caso, Russia e Colombia me le gioco. Il Belgio lo dicono tutti, quindi non ci credo.
Intanto, udite udite! Abbiamo la formazione rossoblu pre-cinese dei mondiali (dove Pre sta per “si toglierà dai coglioni?” e cinese sta per “guarda che ci tocca sperare”), che è quel che mi ha commissionato anche con una certa arroganza l’ala di sinistra dei GIR, a cui più che le chiacchiere anarco-sorco-situazioniste di un ubriacone fanno godere i quizzoni e altre robe da sdraio e ombrellone.
Eccola: PERIN, VRSALJKO, VAN DEN BORRE, VELOSO, VON BERGEN, BONUCCI (o RANOCCHIA), FETFA PIG, BEHRAMI, BOATENG, PALACIO, IMMOBILE. ALLENATORE: SABRI LAMOUCHI
Quizzone del Beccioni: almeno 4 di questi mi stanno tremendamente sui coglioni. Indovinate chi sono! La soluzione tra qualche giorno, dopo la sconfitta della Corazzata Prandelkin. E adesso, in onore degli scioperanti del metrò di Sao Paulo e del nostro Benefattore pronto a ballare l’Ola Ola a Guangzhou, beviamoci una caipirissima con ron Bacardi Anejo, balliamo un cha-cha-cha, stringiamo il fuleço e…tutti pronti per il magico mundial!
Tra un campionato mondiale di calcio e un campionato europeo di calcio passano due anni.
Tra un campionato nazionale di calcio e l’altro passano al massimo tre mesi, tra una partita e l’altra una settimana, tra una domenica di campionato e una sfida di coppa tre giorni appena.
L’importante, nella vita, è suddividere il presente in tanti piccoli passati prossimi che viaggiano qualche secondo prima di te, come una trasmissione via satellite.
Se li registri bene, non ci sarà bisogno di rivederli alla moviola”.
Questo scriveva, qualche mondiale fa, un mio caro amico che masticava di palle e di vita.
Si potrebbe aggiungere che tra un mondiale di calcio in Brasile e l’altro passano 64 anni e sarebbe già una buona conquista vederne due. Anche se il Brasile non è la culla del futebol, ne è sicuramente l’emblema e anche la faccia più bella. Stadi stracolmi di gente che salta come i cangurù di Bahia, danza al ritmo di pallosissimi samba e si colora la faccia meglio di Vendola, donne che si colorano le tette e la bietola senza Venderla, alla faccia del dominio televisivo e della pornografia da salotto.
E’ un dato di fatto che questo mondiale brasileiro potrebbe essere un crocevia. Difficile lottizzare una nazione così vasta, varia e legata a tante radici diverse, tenute insieme in maniera misteriosa, come lo spogliatoio dell’Inter. Negli ultimi due decenni ci hanno provato convincendoli che era un Governo di sinistra quello che glielo stava mettendo nel deretano, che era un capitalismo fatto in casa, quindi genuino, ecocompatibile, bio e privo di conservanti. Ora Dilma, la donna con il nome da servizio segreto e il cognome da ballerino armeno, con faccia e postura da albero della gomma, tranquillizza tutti e ricorda quando, durante i mondiali del 1970 a Città del Messico, nel Paese c’era la dittatura e lei era in carcere. Ora il suo esercito spara proiettili della stessa materia della sua faccia addosso ai dimostranti di San Paulo.
Crocevia o boomerang? Pare chiederselo anche Fuleco, l’armadillo mascotte di Brasil 2014, che tiene il pallone sul palmo della mano alla stregua di Amleto. Etere o non Etere?
Tra l’altro, lo sapevate che in dialetto carioca, Fuleco (anzi, Fuleço) significa “buco di culo”? Dite che i creativi della Federazione non lo sapevano? In ogni caso, propongo, in memoria dell’armadillo Flavio Keirrison Grifondoro, detto il Guru, di istituire per questi mondiali il Fuleço d’oro (Candreva, ve lo dico subito, è fuori concorso e per fortuna Montolivo ci ha pensato da sé).
Eppure questo Brasile così genovese, così genoano, così incredibilmente brasiliano. Così vicino e così lontano. Brasile che fu scoperto da un navigatore lusitano di nome Cabral, chissà se il nostro idolo, abbracciato troppo tardi e salutato troppo presto, è un lontano discendente. “From the cradle to the grave”, cantavano gli U2. Il Brasile non è la culla del calcio e Cabral non è la sua tomba. Ma quasi.
Sono dati di fatto, come quello che la caipirinha fa cagare e che se da noi i “No-Tav” sono considerati terroristi, l’inventore della caipiroska alla fragola dovrebbe essere deportato a Manaus, appeso per i piedi e costretto a guardare a testa in giù “La terra degli uomini rossi” di Marco Bechis fino a che non abbia imparato tutte le battute a memoria. Ma parliamo di cose serie con la stessa leggerezza con cui Montolivo affronta le amichevoli premondiali: cosa bere in Brasile che non sia d’importazione? Cachaça invecchiata 12 anni di Minas Gerais (la Ypioca Reserva si trova anche in Italia) e poco altro. Ora che il vino cabernet Forestier è stato acquistato dalla Richard, quella del Pernod, parabola minore che mi ricorda un giovane promettente quasi omonimo che il Grignolino di Grugliasco si bevve perché non sapeva fare il mediano e il prete di Conegliano non lo ha considerato, spedendolo a Watford, non resta che bere bella birrozza fresca. La migliore? Veneta! E’ la Schincariol, i cui fondatori arrivavano proprio dal paese di Guidolin.
Bisogna alzare un po’ il grado alcolico, per sopportare il calcio di oggi e la logica dei grandi eventi. Tutti promettono di dividere le acque come Mosè, e invece lasciano le acque alte e si dividono i dividendi come il Mose. Così ci tuffiamo in un mondiale lontano per dimenticare l’Expò milanese così vicino alla Calabria e la Carige così vicina alla dogana di Chiasso.
Il calcio tecnicamente soffre della stessa malattia di tutte le cose del mondo, c’è un appiattimento generale in forza di più concretezza, velocità d’esecuzione e meccanicità. Ovviamente sono fantasia e creatività ad accomodarsi in tribuna (o meglio, a restare fuori dallo stadio ed alimentare la protesta), più o meno è la stessa tristezza di vedere gli chef calabresi degli azzurri, che potrebbero giostrare tra sarde ca’ muddica atturrata o i perciatelli cu’ pisci stocco di Mammola, esibirsi quasi esclusivamente in vermicelli barilla (ma Abate li mangia?) con pomodoro e parmigiano, ovviamente senza soffritto.
Ma il Brasile no, lui non ci sta! Manifestazioni, scioperi, raccolte di firme per contare chi spera che la nazionale verdeoro non vinca i Mondiali. Tutto questo a pochi giorni dall’inaugurazione in uno stadio non ancora ultimato. Ma anche in Sudafrica consegnarono le chiavi degli spogliatoi due ore prima del waka-waka di Shakira. Per Brasil 2014 la sigla invece è cantata da un rapper mezzo cubano con il nome da cane e da una ballerina mezza portoricana con il cognome da meteora di Preziosi. “We are one, Ola Ola” e viva il Brasile! Sai che gioia per quelli di Rio e di Belo Horizonte, a cui già se dici che la samba è un ballo latino-americano fanno scattare il serramanico…è la globalizzazione, baby! Ma anche l’ignoranza, che tende ad assimilare tutto. Brasile? Caipirinha, Cubalibre, Churrascaria, Merengue, Pampero!
Il brasilianissimo Ricky Martin ha composto l’inno di riserva, dall’originalissimo titolo “Vida, ha, ha, ha”, Shakira, da Copacabana, ha già risposto con il controinno: “Dare: La la la”. Peccato che Pippo Franco non sia martinicano, perché un remix di “Chì Chì Chì co co co, curucurucurucù qua qua” sarebbe cascato a fejioada.
Solo su due cose davvero brasiliane, che si possono anche accorpare e ridurre a una sola, il popolino mondiale si trova d’accordo: le chiappe e i travestiti. Allora lo vedi che è tutto come la finta sinistra di questi tempi? Pensi sia donna, le apprezzi il culo, ma a un certo punto sfodera il Pingo de Pinga e te lo mette nel Fuleço. Etero o non Etero?
Va a finire che non disdegneremo, come di sorbirci questi mondiali e tutte le caipiroske mediatiche.
Scusate le digressioni e i francesismi senza nemmeno Ribery; torniamo al calcio, che tra un po’ si parte: vi starete chiedendo (e se non ve lo siete ancora chiesti, un Fuleço in omaggio a tutti voi!) “Per quale nazione e nazionale farà il tifo il Beccio?” Qui, miei cari orfani di Cabral, entrano in campo le tante anime di Freddie Beccioni. La propensione alcolica direbbe Costarica, per il Ron Centenario 30 anos, ma poi penso alle reali possibilità e torno inevitabilmente alla Cachaça. La propulsione mignottica mi direbbe Russia, ma poi penso a Capello e Putin, mi si ammoscia e torno direttamente a Copacabana in cerca di un bel Fuleçon.
La predisposizione alla polverina mi dice Colombia, ma poi penso al nano, alle ballerine a Micciché e alla Santanché e mi fumo un narghilè. La progressione africana direbbe Ghana e Costa D’Avorio, ma rimane un’utopia e mi accontento di Balotelli. Infine la prostrazione genoana mi direbbe Croazia e Grecia, ma poi penso alla monetizzazione dell’infame, e dico…andate a prendervela tutti nel Fuleco! Vinca chi gioca meglio e speriamo non siano le solite.
In ogni caso, Russia e Colombia me le gioco. Il Belgio lo dicono tutti, quindi non ci credo.
Intanto, udite udite! Abbiamo la formazione rossoblu pre-cinese dei mondiali (dove Pre sta per “si toglierà dai coglioni?” e cinese sta per “guarda che ci tocca sperare”), che è quel che mi ha commissionato anche con una certa arroganza l’ala di sinistra dei GIR, a cui più che le chiacchiere anarco-sorco-situazioniste di un ubriacone fanno godere i quizzoni e altre robe da sdraio e ombrellone.
Eccola: PERIN, VRSALJKO, VAN DEN BORRE, VELOSO, VON BERGEN, BONUCCI (o RANOCCHIA), FETFA PIG, BEHRAMI, BOATENG, PALACIO, IMMOBILE. ALLENATORE: SABRI LAMOUCHI
Quizzone del Beccioni: almeno 4 di questi mi stanno tremendamente sui coglioni. Indovinate chi sono! La soluzione tra qualche giorno, dopo la sconfitta della Corazzata Prandelkin. E adesso, in onore degli scioperanti del metrò di Sao Paulo e del nostro Benefattore pronto a ballare l’Ola Ola a Guangzhou, beviamoci una caipirissima con ron Bacardi Anejo, balliamo un cha-cha-cha, stringiamo il fuleço e…tutti pronti per il magico mundial!
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