sabato 14 giugno 2014

I MONDIALI DI FREDDIE BECCIONI: 2 - Il Salvatore d'Italia, la maconha e gli huni kui

José Bolivar Proano partì per l’Amazzonia con la moglie cagionevole di salute e una valigia di buone intenzioni. Io non esco da un romanzo di Sepulveda, ma al massimo da un editoriale del Secolo XIX in cui gli altri protagonisti sono Luca Bizzarri e Alessandro Zarbano. Potete capire quanto me ne freghi di fare poesia. Salgo sul volo interno della Tam da Bahia per Manaus con il ricordo fresco del pan di zucchero di Janina, conosciuta un paio di giorni fa sulla spiaggia di Bahia e con cui ne ho fatti due meno dell’Olanda ma nel medesimo stile. In tuffo come Van Persie, spingendo come De Vrij, scartando di lato come Robben.
Per non sembrare recidivo come Iker Casillas ed equivoco come Platini quando parla del Qatar, aggiungo che Janina ha l’età di Welbeck e sculetta come Sturridge, ma ha l’intelligenza di Choupo-Moting e a letto simula come Fred.
Sbarco a Manaus alle 7 del mattino e c’è già un’afa da bere cerveja, sudare tapioca e parlare il dialetto di Ventimiglia. Assaggio il caldo umido che mi veste con l’aria finto accondiscendente con cui Miuccia Prada agghinderebbe Blatter. Come mi hanno insegnato i grandi viaggiatori della letteratura italiana, Enzo Biagi, Pino Cacucci e Fabio Volo, non prendo il primo taxi fuori dall’aeroporto, ma il secondo.
E’ una Fiat che probabilmente producono senza permesso in Amazzonia, un misto tra una Croma e un battello fluviale equadoregno.
Estevao mi porta nella zona dello stadio, ma dice che stanno rifacendo la segnaletica e dobbiamo girare al largo. C’è tanta di quella polizia in giro che Vallanzasca rinuncerebbe a portare le mutande.
Ci fermiamo davanti al salsodromo, immenso assurdo corridoio con tribune laterali, roba che può contenere 200 mila esagitati, 300 mila persone o 150 mila testimoni di Geova.
Dal quotidiano O Tempo semiaperto sul sedile davanti, leggo la notizia che mi cambia la giornata e potrebbe cambiare la vita almeno a  un paio di persone.
Gigi Buffon non giocherà contro l’Inghilterra. Nella lingua che mastico grazie alle poesie di Vinicius De Moraes e alle canzoni tradotte di Raffaella Carrà (Alegria de viver su tutte, la so a memoria!), mi pare d’intuire che Sirigu non è al massimo, ma giocherà. Almeno, lui e Prandelkin ne sono convinti, ma a questo punto sento di avere una missione da compiere.
Sì, il vecchio Josè Bolivar andrà a matar el Tigrillo!
Mi esprimo al tassista con il cipiglio e lo stile di un Toquinho che declama “A far l’amore comincia tu”.
“Estevao, portami in qualche barrio dove posso noleggiare un figlio di puttana per un lavoretto facile…devo infortunare un portiere”
Da Avenida Rey entriamo a Petropolis. Gli elicotteri militari infestano il cielo come cervi volanti, a terra sembra di stare dentro un forno a convezione. Ci fermiamo in una traversa di Rua Crisantamo Jobim.
Ai lati baracche in fanghiglia cementizia pitturata di azzurro e verde, cofani spalancati di automobili in panne dai tempi in cui non avevano ancora inventato il motore a scoppio, facce indie che mi scrutano. Estevao fa segno di non preoccuparmi, sembra Del Bosque sul 2-1 per l’Olanda.
Entriamo in un pertugio tra un chiosco di frutta e verdura e un barbiere. Un avocado maturo mi si spalma sulla camicia, una ragazzina acerba, che avrà al massimo 12 anni mi alza la minigonna davanti con le mani tremanti e il sorriso di rossetto sbavato.
Da una casupola bassa col tetto in lamiera esce Hulk, o almeno la sua controfigura fuori dalla Russia.
Rassicurante, simpatico come una cartella esattoriale notificata il 31 dicembre del quarto anno dall’iscrizione a ruolo, mi fa segno di sedere. Non c’è una sedia manco a immaginarla disegnata a spray sui muri della favela.
La bambina col Parkinson da colla mi porge una cassetta sgangherata della frutta.
“Mia nipote, la vuoi, Bunda?”
“Noo, grazie…ne ho già una, la figlia di mia sorella!”
“Qual è il lavoro, Bunda?”
“Semplice. Dobbiamo introdurci al Quality Inn prima delle 10, entrare in camera del portiere Sirigu e accidentalmente incrinargli nuovamente la costola”
“Non so di che parli, Bunda. Ma per cinquemila reais si può fare”
“Affare fatto, ma chi minchia è Bunda?”
“Ahahaha”
“Duemila subito e tremila dopo, Bunda”
Sarà un intercalare.
“Duemila subito ma li do a Estevao e li tiene lui…altrimenti mi scappi, Bunda!”
Hulk mi vibra una maxiceffa che sortisce effetti indesiderati: dal timpano destro riascolto per intero l’inno del Cile cantato fuori sincrono da Sanchez, Isla e Vidal.
Bunda vuol dire asino, e può essere riferito solo a un europeo.
“Chiedo scusa, non lo sapevo…”
Estevao esce da una stanzetta con un sacchettino nero in mano.
Ci porta a sud di Petropolis, in un negozio di uniformi. Devo ammettere che il sosia di Hulk con la livrea sta che è una bellezza. Sembra Frankenstein junior quando cantava Puttin’ on the Ritz.
Io decido di vestire più classico, da maschera del teatro di Fitzcarraldo. Preparo anche lo sguardo carismatico e tenebroso di Klaus Kinski.
Ci dirigiamo al Quality Inn.
Estevao consegna a Hulk un ciuffo di qualcosa.
“Eh no, dai, non facciamo scherzi che roviniamo tutto”
“Amigo, è legal! Ista è maconha…è un’erba che se fai un tè cura la malaria, che da queste parti ti stende come Van Gaal a Del Bosque. Solo che noi la fumiamo, è mas divertido! Manaus nao è crackolandia!”
Divertido un casino, mentre arriviamo in zona Quality Inn, Manaus si è già trasformata in Bellagio, Estevao sembra Vasco Da Gama e ho delle visioni strane: tucani e pappagalli svolazzano tra panni stesi e fili del telefono, donne con bambini in grembo ballano in mezzo alla strada, poliziotti del traffico chiedono mance abbordabili per lasciarti passare.  Tutto è a colori di instagram e c’è anche Alberto Molinari che fotografa vetrine, pali della luce, autobus e mignotte e li spara in tempo reale su facebook.
Hulk ha un cugino che lavora lì dentro e due o tre buoni motivi per ricattarlo.
Il cugino ha confermato che Sirigu sta ancora dormendo e che Balotelli non ha passato la notte in albergo. C’è un imponente servizio di sicurezza rinforzato da Albertini al centro e Gabriele Pin sulla destra. Come spesso accade, manca la fantasia. E quello, se permettete, è il campo del Jorquera di San Fruttuoso, di Freddie Beccioni.
Scorgo il secondo di Prandelkin che fa segno di rientrare.
E’ il momento, mi avvicino addobbato di cotanto travestimento.
“Buongiorno, sono dell’Istituto Brasiliano di Cultura Italiana. Domani al teatro Amazonas di Piazza Sao Sebastiao, c’è una matinée di musica lirica in onore della nazionale, in ricordo di quando il tenore Caruso suonò a Manaus. Qualcuno di voi potrà partecipare?”
“Ehm…non so, dovrei chiedere” balbetta il potentissimo e rispettato Vicepresidente della FIGC, facendo vibrare le sue labbra da dromedario.
Ci avviamo nella hall. Vedendomi con loro, la security non muove un capello. 
Hulk intanto è già al quinto piano, con il pass del cugino al petto e un vassoio di bronzo in mano.
Le poltrone in pelle rossa sono già occupate dai mattinieri: De Sciglio con un tablet, Barzagli con un ipad, Immobile con la PSP, Insigne con le miccette e Abate con la barbie.
Approfitto della distrazione del consierge, alle prese con mille domande di Abete sul conto del bar notturno, e inforco le scale. Incrocio una donna delle pulizie con la faccia da Fuleço e le consiglio di farsi un frigobar di cazzi suoi.
Il piano, non il quinto, è così semplice che lo capirebbe anche Cassano:  attendiamo fuori dalla camera di Salvatore Sirigu, uno da un lato della porta e uno dall’altro. Appena la porta si aprirà, faremo finta che passando si lì, per la sorpresa dell’evento e per evitarlo, ci si scontri. Hulk cadrà addosso al Sirigone e con il pesantissimo vassoio, accidentalmente, gli fracasserà la terza costola destra, quella che lo ha fatto soffrire fino a tre giorni fa.
La strada per Perin sarà spianata! Mattia sarà l’eroe di Italia-Inghilterra e la sua quotazione salirà permettendo al Genoa di rimettere a posto le finanze in vista dei pagamenti di fine giugno.
Sì, sono io! Klaus Beccioni, eroe dei due mondi, Salvatore Rossoblu di San Mattia Consacrato grazie a Salvatore Martire Scostolato e Sconsolato!   
Siamo pronti. Con i mocassini formo qualche ruga sul tappeto a quadri del corridoio, la cui instabilità potrebbe diventare una scusa supplementare. Hulk mi strizza l’occhio e fa segno di preparare gli altri tremila, che lui sparirà dalla scala antincendio dove lo attende il cuginetto. Che si chiama Danilo Silva, almeno così è stampato sul pass.
Mentre trasferisco i contanti dalla tasca dei pantaloni a quella della giacca, ecco che si apre la porta.
Ci dirigiamo l’uno verso l’altro e via! Inciampo e mi ritrovo per terra insieme a Salv…no cazzoooo, insieme a Perin!
Due secondi per guardarci in faccia. Hulk è sopra di noi.
“Noooooooooooo non farloooooo! Ele nhao è Sirigu”
Mattia è atterrito ma mi guarda con un ché di curiosità, Hulk brandisce il vassoione.
Forse ha capito, mi frappongo tra lui e il capellone rossoblu. Mi arriva un colpo di bronzo tra lo sterno e la bocca dello stomaco. Saltano costole come su una brace.
Lingua tra i denti, occhi inespressivi, pomo d’adamo ingrossato. Ho l’espressione di Messi dopo mezzora di gioco.  Hulk mette la mano nel taschino della giacca, si rialza e sparisce.
Mattia si libera facilmente della mia morsa e fa per rialzarmi.
“Ma che cazzo è successo?”
“Ci…uhf…ci siamo scontrati con un cam…ggghhff…cameriere…ti ho protetto dalla sua caduta…”
“Ma…a te ti ho già visto…tu non sei quel tifoso cantante…Brenzoni…no, Beccini…”
“Beccioni, Freddie aghff…Beccioni…mi fa piacere che tu mi conosca, caro”
“E…scusa la domanda… che ci fai qui?”
“Uhf…eh…domattina c’è uno spettacolo di musica italiana al Teatro Amazzhhff…Amazonas organizzato in onore della nazionale…mi hanno inv…ehgff…invitato. Mi raccomando, non dire niente di questo incidentino, okay? E forza Genoa! Uuhffhff…peccato che Sirigu si sia ripreso, vero?”
“Peccato? No no va bene così…mi cagavo un po’ addosso a giocare io”
“Ah…ecco!”
“Ma anche tu non dirlo a nessuno questo, okay?”
“Tranqu…ohfff…nquillo, non sono mica un cazzo di giornalista”
“Dai, vado che sono in ritardo…oh ci vediamo eh?”
“Sicuro!”
Mattia sale sull’ascensore. In corridoio non c’è nessuno. Cerco di riprendere la posizione eretta.
Sento dei passi. Vorrei essere un membro della tribù amazzonica Huni Khui, che non hanno mai avuto rapporti con la civiltà. Quelli che sono stati fotografati solo dagli aerei, e mai comunque da Alberto Molinari. Sbuca uno del personale, con la faccia da Herrera del Messico, il calciatore più bello dei mondiali, se al posto di giocarlo esseri umani, partecipassero i cercopitechi.
Ha il pass di Hulk, è il cugino stronzo Joao!
“Por favor amigo, qual è o’ quarto de Sirigu?”
Mi indica quella da cui è uscito Perin.
“BUNDA!!”
Cerca di vibrarmi uno schiaffone e mi spintona verso la scala antincendio.
Eccomi, un artista di strada con due costole incrinate e la condizione atletica di Forlan, in giro per Manaus.
Mi vedo Uruguay- Costarica all’Eddie’s Pub, cercando di deglutire un bobo de camarao, zuppone di gamberi di fiume in salsa di rifiuti tossici al profumo di alberi disboscati da Bono, Jovanotti, Sting e qualche altro Che Guevara con i soldi. Disgustoso ma più digeribile della zuppa Campbell per Muslera.
Rinfrancato dal risultato a sorpresa e da una mezza boccia di Ypioca Reserva e con l’idea che allo stadio ci saranno parecchie zanzare, torno verso Petropolis in cerca di quella meravigliosa cura contro la malaria.
Maconha, ragazzi! Quando si dice le medicine naturali!
Che divertido allo stadio!
E’ tarda notte e sono ancora in giro a festeggiare. Non so se quel che ho visto era vero, ma tanta gente che saltella con bandiere tricolori, di cui nessuno parla una parola d’italiano, ma quasi tutti conoscono la grammatica ventimiusa, mi fa pensare che davvero abbiamo vinto. Anche se non posso credere che il migliore in campo sia stato davvero Darmian, che con Barzagli e Paletta abbiamo preso solo un gol e che Candreva abbia giocato 80 minuti e colpito un palo.
Speriamo che domattina non si presenti nessuno al Teatro Amazonas.
Sono in modalità Huni Khui e non ho proprio voglia di cantare.
Forza Genoa, Forza Italia, w la maconha!

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