venerdì 30 aprile 2010
PER FORTUNA O PURTROPPO
Devo ammettere che mi riconosco sempre più nella canzone di Giorgio Gaber "Io non mi sento italiano", soprattutto quando dice "...ma per fortuna o purtroppo lo sono". All'estero e in un Paese "al di sopra di ogni sospetto" come il Kenya, intendo dove per un motivo o per l'altro non è che ci sia una conoscenza particolare o un pregiudizio atavico nei confronti degli "spaghettipizzamafiamandolino" come, che so, in Germania, mi rendo conto che ci sono parecchi "per fortuna" e anche molti "purtroppo".
Per fortuna sono italiano, perché se fossi inglese mi toccherebbe recitare la parte dell'ex colonialista, mantenere sempre quella supponenza e quel distacco altezzoso che non mi appartiene.
Purtroppo sono italiano, perché se non lo fossi, non verrei avvicinato dai beach-boys in spiaggia a cui i miei connazionali hanno insegnato a chiedere "una hohaholahollahannucciahorta" con l'intonazione finto toscana e non mi apostroferebbero "uagliò, pari 'na mozzarella de bufala".
Per fortuna sono italiano, perché se fossi giapponese, troverei il sushi e il sashimi di Malindi una sbiadita imitazione e non riuscirei a mangiare quasi nulla che mi piaccia, mentre i ristoranti fanno certe pizze e spaghetti alla matriciana o alla carbonara da leccarsi i baffi.
Purtroppo sono italiano, perché ogni tanto vorrei immergermi completamente nella dimensione africana pur senza dover andare per forza in un Parco Nazionale e invece anche se mi reco in un villaggio a cinquanta chilometri nell'entroterra, dove regnano solo argilla, baobab e vegetazione, dove ti sembra di essere nell'ombelico del mondo e di non avere parentele se non quella ancestrale con Madre Natura, ti senti ad un tratto apostrofare da un gruppo di bambini: "ciao! caramella!"
Gli esempi potrebbero andare avanti all'infinito e in questo periodo devo confessare che ho grande invidia dei turisti stranieri non italiani che spuntano come funghi delle piogge (in realtà ci sono sempre, ma con il turismo di massa si vedono molto meno) in questo periodo. Zaino in spalla, pantaloni lunghi anche di giorno, felpe e zaini pesantissimi sulle spalle, pelle bianchissima e sorrisi estasiati. Girano quasi sempre a piedi o al massimo si concedono un Tuk Tuk. Per vedere cosa? Anfratti o scorci che spesso molti italiani che sono qui da vent'anni non conoscono. Quanti si sono fatti una passeggiata nello sporco e disordinato quartiere di Shela, scoprendo cortiletti arabi tenuti come gioielli in mezzo alla spazzatura e allo scolo delle fogne a cielo aperto? Quanti hanno visitato il retro delle moschee, togliendosi le scarpe senza paura di non ritrovarle (provate a lasciarle fuori da una chiesa di Milano o Roma, ma anche di Rimini), quanti si sono fermati a bere un succo di Tamarindo da Mansour o hanno pranzato da Jabreen?
Per fortuna sono italiano, ma ho imparato che a volte in Kenya bisogna eliminare qualche "purtroppo".
(Fedele Turci L'Odoardo)
mercoledì 28 aprile 2010
LA MALINDI DI CIANNI PINO: 2 - UN ANNO CON SUSAN
Ieri sera ho andato al ristorante con Susan, la mia fidanzata alta, per festeggiare il mio primo anno versato di Malindi. Hanno passato dodici mesi da quando ho sceso per la prima volta dall’aereo e ho visto tutti quei negri che sorridevano e anch’io ho iniziato a sorridere, anche se non capivo che cazzo c’era da sorridere sempre. Comunque ieri siamo andati a manciare in uno dei più lussureggianti ristoranti italiani di Malindi. Sapevo di fare una soppressa speciale a Susan, quando le ho pro imposto di manciare l’aragosta alla accattala, che non è che la devi prendere al volo…si chiama così o qualche quale di simile. Comunque Susan s’a fatto una faccia davvero soppressa…ha sorriso ma poco, era sballordita perché stava la prima volta che aveva per manciare un’aragosta. Con un vilo di foce ha sussurrato “cicchen”
“…si amore, butta la cicca e sciacquati la bocca con questo vino bianco sudafricano, che tra poco arriva l’aragostella”.
Io invece ho molto nostalgico della cucina di mia madre e sono ordinato gli spaghetti alla puttanesca. E non fate battute sceme su mia madre che vi spezzo i denti. E chi vuol capire, può essere capito.
Mentre mi manciavo gli spaghetti, mi fissavo a guardare la bella Susan, con le sue labbra sessuali, la sua pelle debbano morbido, che assaggiava l’aragosta, e aveva lo stesso sguardo stasiato di quando me lo ha…vabbè, questo non si può scrivere ma si può dire a voce.
Prendeva pezzettini piccoli di aragosta perché voleva farsela durare più a lungo, e masticava piano per sentire tutto il sapore di questo pesce un po’ crostaccio che a me non piace ma so che ha fantastico.
“Com’è, buona, amore?”
“Yes”
“Ma come, solo yes?”
“No, it’s very nice”
“Ecco, così va meglio, con quello che mi costa. La prossima volta assaggerai i gamberoni”
Porca miseria! Susan mi sviene lì davanti a tutti al ristorante! I camerieri l’aiutano a rialzarsi, sono stato pulsivo a fargli un’altra soppressa, ma io sono fatto così, quando vedo una mia donna felice, devo subito esagerare. Quella dei gamberoni me la potevo tenermela per un’altra occasione.
Un peccato, perché Susan dice al cameriere che non se la sente più di manciare l’aragosta…la sa appena toccata…mamma mia che spreco, se mi vedesse mio padre mi sputerebbe nel piatto in cui ho manciato io, e non è bello sputare sulla puttanesca.
La vita però è così, dico alla mia Susan: sempre la prima volta che si gusta qualche qualcosa, si rimane un po’ a metà. Anche io la prima volta che sono fatto l’amore, non è proprio che mi sembrava bello bello bello. Anche la signora Pina, che stava al piano di sopra e agitava quel ventaglio enorme, che era meglio perché così non le vedevo i nei in bassorilievo della faccia, non mi sembrava che si divertiva, anche se per lei non era la prima volta…ahaha proprio no!
Comunque, con Susan la prima volta invece è stata bellissima e mi ho innamorato, ma non troppo però mi sono fatto piacere che lei hai innamorato di me. Si vede che lei ci tiene a me, perché la mattina mi porta la colazione a letto e poi si lava i denti con il mio spazzolino, che è un fatto molto infimo e a me fa piacere perché si crea quella complicità che ci rende complici.
Prima di Susan ho conosciuto qualche tante altre ragazze, ma nessuna è come lei. Mi sa portato al suo villaggio che non è turistico, a conoscere la sorella che sta tanto male anche se non sembra e mancia due pacchi di medicine che compro io al giorno, poi i nipoti e poi uno africano grande e grosso che lei ha abbracciato tanto perché dice che è suo fratello che non vedeva da un anno.
Qualche quasi ho deciso: io me la sposo a Susan. Sempre che supera la prova gamberoni senza svenire ancora.
martedì 27 aprile 2010
FREDDIE BECCIONI: 6 - TUTTI A ZENA COL TRUCK
I milanesi ammazzano il sabato, io mi sfilaccio il fegato dopo averlo marinato per bene in un’emulsione di prosecco, amarone e Grey Goose.
Mi muovo dai navigli e respiro la primavera con gioia, mica come gli acerbi Gucher e Aleksic. Sono allegro, io…mica Allegri! Via alla seconda Grey Goose e dentro alla notte meneghina, per prepararmi al meglio alla partitona di domani.
Le dichiarazioni del Prez mi hanno caricato a molla. Vogliamo il settimo posto e il match di Parma lo ha dimostrato, e io che non ci credevo e ho rischiato di diventare ciclista…per colpa di Pierflavio e degli ultras.
Bisogna fidarsi solo dell’istinto, e in qualche caso di Adamoli.
A San Siro, invece, l’Inter del Principe ha già battuto l’Atalanta e i giocatori sono nei migliori ristoranti della metropoli e poi si concederanno l’ultima serata di “sciambola” prima di tuffarsi nel ritiro più importante dell’anno. Io li voglio vedere questa sera, voglio capire chi di loro è da Genoa. Perché lo so che un paio di loro arrivano, anche se Branca (che ci odia perché è doriano dentro) non digerirà che gli rispediamo al mittente quel ciabattone di Suazo. Ma tutto andrà a posto perché gli regaleremo una favola: il Principe che bacia Ranocchia, dopo un gol al Meazza!
Allora in chiave Grifone pensavo ad Arnautovic: ha tutte le carte in regola, come cantava Piero Ciampi. E’ olandese, quindi piace al Gasp, è giovane quindi piace al Prez. Ha giocato pochissimo quindi non piace a Mou. Nessuno lo ha ancora nominato, quindi piace alla stampa.
Un bel prestito con finto diritto di riscatto e vero premio di valorizzazione.
Becco “Arna” al LoolaPalooza, in compagnia di una bionda messa giù da paura che, se è la sua fidanzata, è sprecata come un Casinò con privè a Campomorone.
Faccio pervenire una magnum di Moet, tanto per far capire che non scherzo, e poi mi presento.
“Beccioni…enchanté…il cantante…”
Toh, non è la fidanzata ma solo “un’amica” e conosce bene Svetlana.
“Allora Marko – dico a un certo punto al bimbo che mi guarda storto come dopo un tackle di Pestrin – verresti al Genoa?”
Lui ha in bocca le bollicine e, sbruffando una risata, me le spruzza tutte in faccia…ma che cazz…per fortuna Svetlana 2 mi asciuga prontamente e domani, con notevole esborso, potrà essere mia.
“Mi piacerebbe, perché no?” risponde, a bocca vuota, come gli avessi chiesto se gli andrebbe una pista di bamba. “Magari viene anche mio compagno Santon e anche Destro…”
“Lo so, lo so, Santon gioca bene con entrambi i piedi…”
Questa me la segno, è uno scoop! Allora vuol dire che gli diamo Mesto?
Ci finiamo il Moet e ne ordina un altro lui. Sicuramente a Barcellona sarà in tribuna.
Intanto nel locale arriva Quaresma. No, per favore, lui no. Mi ha trivellato la minchia. No, se lo accettiamo, e loro dovessero acquistare il Papa, giuro che divento interista.
Giù di botto in pochi minuti l’altra boccia.
Svetlana 2 vorrebbe l’uomo maturo epatico, invece stasera le tocca l’imberbe ma duro apatico.
Esco dal locale e mi sento come se avessi vent’anni di più e la faccia di Schifani. Sensazione orribile che bisogna attenuare con la Grey Goose che ho lasciato in macchina, dentro un cooler.
Faccio due passi e vedo uscire dall’Hollywood, la discoteca di Maldini, due o tre giovanotti. Un muratore bergamasco vestito a festa colombiana, mi fa: “Quello è Simone Padoin!”.
Colgo l’occasione e lo fermo.
“Ehi, ehi Simone! Vieni al Genoa?”
“No, grazie, torno a Bergamo con il Tir”
Ma io intendevo…cazzo, però…figo muoversi in Tir, modello Hi-Trucks ‘merigani…e io che credo ancora sia il massimo il Suv…me lo dovrei comprare anch’io…non un Tir, magari un Truck, che l’Hummer è già superato…un bel truck…Allora senza truck e senza ingann (ahaha le grandi battute folgoranti del Beccio) chiedo informazioni su Guarente…ma lui non c’è.
Mi avvio al Suv pensando al Truck.
Ho il chitarrino in macchina, scrivo una canzoncina simpatica…
“Tutti a Zena col truck”…dedicata alle nuove mode e al calciomercato…sentite qua un assaggio.
Se fossi un Palacio sarei demolito/Se fossi un po’ Mesto sarei più intristito
Se fossi il Papa sarei riconvertito/Se fossi Amelia sarei un travestito
Se fossi Guarente, sarei già guarito/ Se fossi acqua fresca, mi sarei già bevuto
Se amassi Foggia, mi sarei trasferito/ Se amassi Chico, sarei un pervertito
Qui non si può fare un acquisto normale/senza riscatti o senza cambiale
Qui si esclama “GASP!” come Donald Duck/E si va tutti a Zena col truck!
Ogni colpo di genio ha bisogno della sua clacque, mi trasferisco al Pink Leopard, un locale per scambisti sulla Nuova Paullese. Non sono gli scambi che animano la mia fantasia questa sera, tipo Floccari per metà Foggia e tutto Hitzplesberger. Svetlana 2 ha messo a letto il bimbo di Enschede e mi raggiunge. Ama la vodka e mi marca stretto, come farà domani Bocchetti con Rocchi.
Parte un’altra Grey, facciamo l’alba e ci ritiriamo nel mio loft sui Navigli.
Dopo aver discusso dell’ingaggio, tutto il resto sono trattative intime, preliminari di contratto, compartecipazioni a letto, prestiti secchi e con diritto di riscatto. So già che al risveglio si andrà alle buste. Ma la sessione è stata davvero faticosa. Riapro gli occhi che Svetlana 2 è al cellulare con Svetlana 1, manco fossero due volanti nel Rione Sanità.
Sono le cinque meno un quarto, un sole anemico e nemico fa capolino dalle tende. Un presentimento mi assale: accendo il televisore su Sky e vedo Morganti fischiare la fine.
Piovono fischi come fossero pietre, sento urlare “venduti”…la quaterna arbitrale deve averne combinate di cotte e di crude. Vedo il risultato, Genoa 1 - Lazio 2.
Addio Europa, addio a tutti quei giocatori che sarebbero venuti solo con la vetrina europea: Kuranyi, Menegazzo, Cavenaghi, Ledesma…
Gasperini dirà che è tutta colpa sua, il Presidente lo perdonerà e la pace tornerà a regnare sulle nostre primavere tranquille, senza sussulti, senza motivazioni, senza sorprese.
Mi riprendo dallo shock e mi sembra di capire che presto mi giocherò la rivincita: Svetlana 1 - Svetlana 2.
E domani prometto che cambio macchina, in estate anch’io voglio andare a Zena col Truck.
martedì 20 aprile 2010
THEY CALL IT "MAL D'AFRIQUE"
Imagine a space where sky does not dominate you, it runs through you
where you don't breathe air, you taste it
a place where time doesn't run, it simply rolls by
where your nerves no longer get nervous.
A place where people stop to say hello to you,
not just a quick glance
a place where everything, even when unpleasing, is real, as everything is life.
Suffering from mal d'Afrique is something coming from the depth of your soul,
before being a state of mind.
It's something you feel beating in your stomach,
it is there, it lives there, no matter of the heaviness of the old continent so hard to digest, no matter of a young and fresh coconut.
...mal d'Afrique is learning to lose time observing an orange head lizard while bending its legs.
...mal d'Afrique means using your eyes like a pencil and make a drawing of a baobab tree standing out against the sky, low and turquoise.
...mal d'Afrique is looking at a mechanic with no idea where to start repairing the engine of your car.
...mal d’Afrique means getting excited in front of a flying sunset, being aware that tomorrow, in any case, you will see a new one, apparently identical but with new shades.
...learning that it's not true that if you don't wish for anything, you won't get anything, being content with less is not always a defeat and living from day to day is a good way to update your life.
...understanding your own differences and accepting the other people diversity in a place where, maybe, neither Jesus could have stated that men and women are all the same.
...mal d’Afrique means living in harmony with the moon phases, with the local time zone, in peace with the life cycle and without losing your balance on a chinese (bi)cycle.
...mal d’Afrique is understanding you will be misunderstood and resign yourself, is boring boredom, is making lazy laziness, is knocking out intelligence subjecting it to your own rhythms, is putting your way of thinking in prison and releasing it against a bail your heart will pay, eternally, by easy seasonal instalments.
...mal d'Afrique is a heathen silence, a religious roaring, a mood.
...mal d'Afrique, the true one, is an incurable well-being.
(thanks to Alessandra Gardini for translation)
lunedì 19 aprile 2010
FREDDIE BECCIONI: 5 - FINTI GENOANI, VERE RUMENTE E IL "VODKA MADONNA"
Evaporato in una nube islandese/in uno dei molti tornelli del Ferraris/con un bisogno di trazione anteriore/troppo “se tifi Genoa piangi” per essere corrisposto…
Domenica mattina, Svetlana dorme e io non riesco a scrivere una canzone come si deve.
Peccato, sarebbe la ballata numero mille, da professionista.
La novità è che non mi fanno andare a Parma…te le fanno soffrire le ultime trasferte senza tessera del tifoso…Sono incazzato soprattutto perché da Ugo, sulla via per Traversetolo, fanno i migliori tortelli dell’Emilia e il suo antipasto di salumi e sottolii è una meraviglia tale che riesco anche a pasteggiare a Lambrusco (secco).
Così mi tocca prendere il Suvvetto e andarmene a Zena, perché la cabala mi dice che se me ne sto a Milano, perdiamo. Non che ne faccia un dramma, ma il Prez ha detto che ce la dobbiamo giocare fino in fondo, e poi quella faccia di Colonnata di Ghirardi mi sta sul culatello.
Zia Esterina e zio Tiberio non ci sono, il destino li ha chiamati in Calabria, per il funerale del fratello del vecchio doriano che è morto prima di lui perché tifava Toro. Approfitterei di Sky per vedermi la partita in santa pace, scoreggiando sul divano di un doriano, ehehehe.
Arrivo in discreto anticipo a Sant’Ilario con tre bocce di Grey Goose e una scorta di focaccia al formaggio da fare invidia a un avellinese, entro in casa e…nooo!
C’è Pierflavio.
“Ah…anche tu qui?”
“Vedi un po’, è casa mia, Dodi Battaglia…”
“Vabbè, casa dei tuoi genitori, diciamo…”
“E tu sei solo un cugino che ne approfitta. Un po’ come i delegazionisti con il Ferraris…”
“Perché devi sempre offendere per primo?”
“Perché sei entrato già con ostilità. Non possiamo vedere la partita insieme?”
“Con te che non fai altro che criticare?”
“Io non critico mai durante la partita, faccio le mie considerazioni prima e dopo. Durante la partita, tranne oggi che era vietata la trasferta, io canto…”
“Anche io canto…”
“Sì…lasciamo perdere…”
“Tu sei contro la dirigenza che ha costruito il più grande Genoa di sempre”
“…e lo ha distrutto dopo soli dodici mesi, vendendo i tre pilastri principali”
“Sei contro il più grande e duraturo allenatore che abbiamo mai avuto”
“…che riteneva Olivera più forte di Figueroa e Suazo meglio di Floccari. Che fa giocare Palacio terzino e anche se ha una delle difese a 4 più forti d’Italia, la fa giocare a tre e prendiamo sessanta gol”.
“Vedi che con te non si può parlare?”
“Parlare di calcio sì, di fede cieca negli uomini no. L’unica fede è quella nei colori e nella nostra storia. Nemmeno il “popolo rossoblu” esiste più. Esiste l’idea. Allora mi puoi dire che sono un idealista”
Minchia. Mi tocco le palle (me tastu se ghe sun, dovrei dire, ma Milano mi ha contagiato) e capisco che con le parole di Pierflavio non potrei mai scriverci una canzone. Nemmeno alla Claudio Lolli.
“Quando però il Genoa ti vince il derby 3-0 con Milanetto e Rossi, non sei lì a ringraziare l’idea…”
“Sono lì, così come c’ero a Genoa-Cosenza e a Salerno. E tu, dov’eri? Ho le mie idee e me le tengo. Nessuno può comprarmi. Scommetto che a te piace la Tessera del tifoso…”
“Ehm…”
Mancano due ore alla partita.
Mando affanculo Pierflavio e prendo una decisione storica: mi compro un bel biglietto di gradinata Nord e mi godo finalmente il mio stadio, senza timore.
“Ti prendo il motorino, se non ti dispiace, caro…”
“Basta che non lo rivendi realizzando un’interessante plusvalenza…”
Ma rivaffanculo.
Prima di entrare mi fermo al mercato coperto, c’è un fruttivendolo ancora aperto e un droghiere.
Compro un chilo di limoni di Sicilia e una bottiglietta di Tabasco.
E’ la ricetta del “Vodka Madonna”, il mio cocktail preferito. ¾ di Grey Goose, ¼ di succo di limone tre gocce di tabasco e ghiaccio. Roba che se le lo bevi d’un sorso, reciti l’alleluja, se ne bevi quattro di fila, canti come Jeff Buckley. Se ne bevi dieci, fai la sua stessa fine.
Me ne faccio sette, artigianali con un bicchiere di plastica. Con un’intuizione degna di Milanetto, utilizzo il ghiaccio del bancone del pesce, che ha appena chiuso.
Sono pronto per entrare nel Tempio.
In silenzio, con una sciarpina azzurra per non dare nell’occhio, sono nella Nord a tifare Milan.
Che mi fa un po’ schifo comunque, ma è sempre meglio di una bastonata in testa. E io lo so bene…
Dopo dieci minuti dal calcio d’inizio ho capito qual è la tattica delle rumente. Primi venti minuti a correre come dei forsennati cercando il gol, come contro di noi. Questa volta però non ce la fanno. Segna invece Borriello!!! Ecco il vero derby…grande ex genoano…ce l’avessimo avuto noi quest’anno…intanto da Parma arriva la notizia che il Grifone è in vantaggio.
Piovono fischi. Da cicloamatori a ciclo-odiatori….ahahaha questa è bellissima.
All’intervallo, dopo che i ciclotimici con velleità europee hanno sfiorato il pari e i rossoneri con illusioni scudettare sembrano la fotocopia sbiadita di quelli che hanno preso tre pappine a Manchester, ascolto un po’ di discorsi cerchiati.
Alcuni sostengono che Genova sono loro, per diverse ragioni: perché da quando ci sono, hanno vinto più cose, perché loro hanno il presidente genovese e il Genoa ce l’ha avellinese (ma chi l’ha detto, come minimo è silano), perché la Sampdoria è “l’immagine positiva e ottimistica di questa città”. Quest’ultima frase mi è piaciuta talmente che sono andato di persona a complimentarmi con il signore che l’ha pronunciata, gli ho detto che ci avrei scritto una canzone sopra e il suo amico, battendomi la spalla, ha detto “ma lei non è Beccioni, il cantante? Ma non era genoano?”
Alla parola “genoano” si sono girati in una ventina, tra cui equadoregni, senegalesi, due zoccole ma genovesi e un genovese ma figlio di puttana che mi ha preso per il collo e tirato giù.
Sono volati calcioni, cazzotti e accuse di arrivismo. Poi un’anima pia non genovese mi ha raccolto e mi ha rimesso al mio posto.
“Vuole continuare a seguire la partita?” mi ha detto.
“Come no, adesso viene il bello, ribaltiamo il risultato!”
Sarà stata la botta in testa, ma ho iniziato a tifare i ciclisti. Ecco che arriva il rigore di Cassano e l’espulsione del Bocchetti del Milan, che si chiama Bonera.
Che grinta le rumente, mentre da Parma annunciano che Palacio ha raddoppiato.
Intanto il Milan si mangia in dieci almeno tre volte il vantaggio e il Parma in cinque minuti pareggia. Boato di approvazione dalla Nord. Ma sì, maledetto Gasperini che non sa difendere, esulto anch’io! E al gol di Fatic ho anche un brivido di scontentezza.
A dieci minuti dal termine succede qualcosa di incredibile. Come avessero bevuto anche loro il Vodka Madonna, i giocatori del Milan vagano ubriachi per il campo. Non riescono a tenere il pallone tra i piedi, non hanno tattica né idee. Noi lo capiamo e prendiamo coraggio e alla fine, all’ultimo minuto di recupero, Pazzini la mette dentro!
E’ più forte di me, esulto! Siamo con un piede in Champions League! Abbraccio l’uomo che mi ha preso a calci, bacio il pugno che ruppe il mio naso, mi faccio avvolgere da una sciarpa cerchiata e vedo qualcuno che scatta una foto con il flash di un cellulare.
Che mi succede?
Troppi Vodka Madonna?
O forse sto abbracciando le idee di Pierflavio…ma sì, sono talmente genoano che sto diventando doriano! Ha ragione lui, sarebbe stato meglio un allenatore come Del Neri, con un solido 442. Non ne possiamo più di Gasperini, con quel modulo che una volta vinci 5-3 e l’altra ne prendi 4 e a casa. Che se non sei più che in forma, sei inguardabile. Per non parlare del nano che fuma il sigaro e del suo amico Peter Falck. Mi sono sempre stati sul cazzo, ma in fondo hanno capito tutto del calcio moderno e sanno spendere bene i soldi. Loro i tre pilastri, Palombo Cassano e il Pazzo, non li hanno venduti, hanno preso solo giocatori funzionali al modulo dell’allenatore e non si divertono a giocare al calciomercato.
Forse non è un motivo per cui debba tifare il Doria, forse solo un finto genoano può diventare una vera rumenta, forse ci stanno portando a una lenta e inesorabile fusione.
Per ora la fusione è sicuramente mentale e privata, sono ancora sotto l’effetto del Vodka Madonna. Una volta tornato a casa, sui Navigli di Milano, con Svetlana, la mia Gibson e due litri di tè verde freddo, ci penserò meglio.
E quando avrò trovato la soluzione, sarà comunque troppo tardi.
venerdì 16 aprile 2010
LA MALINDI DI CIANNI PINO: 1 - L'INNAMORAMENTO
Ho arrivato a Malindi qualche quattro anni fa e mi avevo subito innamorato. No che non avessi innamorato anche prima, qualche volta. In Italia. Quando stavo ragazzo mi avevo innamorato della mia compagna di classe Amelia, ma lei ci piaceva Rabito, l’unico col motorino. Quando io e Bruno Savaste gli siamo bruciati il motorino, un po’ ha cambiato idea. Poi ho innamorato (poco poco) anche di mia moglie, quella che siamo sposati e c’abbiamo due figli non tanto belli.
Allora un giorno che avevo voglia di andarmene dal mondo e da Benevento, Bruno mi dice perché non te ne vai a Malindi a vedere anche per me perché c’è delle persone, amici di amici di gente che si conosce, che dice di stare bene. Allora prendo l’aereo che è proprio come un aereo anche se è un ciart, e vado a Malindi. L’albergo è grande e c’è anche la piscina con gli ombrelloni che non li puoi spostare e anche il posacenere non lo puoi spostare che arriva uno negro e te lo sposta lui. Così con tutto, arriva un altro negro e ti aiuta lui. Vai in spiaggia ti avvicinano tanti negri e ti parlano una specie di italiano e ti dicono se vuoi questo e vuoi quello, però ridono e vogliono sapere come ti chiami, e io gli dico a tutti Cianni, e loro dicono “ciao Cianni”. Allora io gli offro una malboro e loro guardano il pacchetto e dicono “queste non ci sono in Kenya”. Ma che cazzo di posto è che non ci sono le malboro. Però dopo ho scoperto che ci sono le sporsman morbide che ce ne compri quattro con una malboro. Allora qui sono avuto la prima impressione di innamoramento. Poi uno dei negri che mi chiamano Cianni mi sa portato a mangiare in un ristorante africano che chiamarlo ristorante è dire baracca. Però siamo mangiati il pollo buonissimo con il risotto pieno di odore, sti panzerotti fritti con la carne e il piccante, le patatine fritte e anche due ciampati che sono due frittelle che usa come pane. Bevendo cocacola perché uno è mussulmano e non si può bere il barbera.Tutto per due e non ci credevo ancora adesso che siamo pagato due euro a testa! Ma ci crede Bruno a questa cosa o lo sapeva già? Il terzo innamoramento è stato la sera quando abbiamo andato alla discoteca. Hanno tutte le ragazze belle, alte, zizzuse e vestite come le attrici di televisione. Hanno tutte negre ma belle, con le bocche rosse grandi. Hanno un culo che non ti dico. Tutte! E poi fanno come i negri sulla spiaggia, vengono lì e ti salutano, ti danno la mano e dicono come ti chiami io mi chiamo Susan, come ti chiami io mi chiamo Jasmine, come ti chiami io mi chiamo Lynne, come ti chiami io mi chiamo Rita. Io dico sempre “io mi chiamo Cianni” tranne all’ultima che prima dico “minchia Rita come a mia nonna!”. Fossi avuto una nonna così mi facevo anche a mia nonna. Allora offro da bere alle ragazze anche se questa discoteca non è una baracca e una birra costa come tutto il pranzo del pranzo. Però le ragazze ballano e anche io ballo con loro e una anche le tocco il culo quando balliamo e lei non dice niente, penso che vuole andare a letto poi c’è un’altra che si strofina che sembra che vuole andare a letto anche lei. Devo decidere perché non sta bello andare a letto con due la prima sera. Allora decido Susan che è la più alta e dico a Rita domani sera se non mi fidanzo vengo con te. Dove esiste un posto come questo nel mondo?
A Benevento no di certo.
Allora un giorno che avevo voglia di andarmene dal mondo e da Benevento, Bruno mi dice perché non te ne vai a Malindi a vedere anche per me perché c’è delle persone, amici di amici di gente che si conosce, che dice di stare bene. Allora prendo l’aereo che è proprio come un aereo anche se è un ciart, e vado a Malindi. L’albergo è grande e c’è anche la piscina con gli ombrelloni che non li puoi spostare e anche il posacenere non lo puoi spostare che arriva uno negro e te lo sposta lui. Così con tutto, arriva un altro negro e ti aiuta lui. Vai in spiaggia ti avvicinano tanti negri e ti parlano una specie di italiano e ti dicono se vuoi questo e vuoi quello, però ridono e vogliono sapere come ti chiami, e io gli dico a tutti Cianni, e loro dicono “ciao Cianni”. Allora io gli offro una malboro e loro guardano il pacchetto e dicono “queste non ci sono in Kenya”. Ma che cazzo di posto è che non ci sono le malboro. Però dopo ho scoperto che ci sono le sporsman morbide che ce ne compri quattro con una malboro. Allora qui sono avuto la prima impressione di innamoramento. Poi uno dei negri che mi chiamano Cianni mi sa portato a mangiare in un ristorante africano che chiamarlo ristorante è dire baracca. Però siamo mangiati il pollo buonissimo con il risotto pieno di odore, sti panzerotti fritti con la carne e il piccante, le patatine fritte e anche due ciampati che sono due frittelle che usa come pane. Bevendo cocacola perché uno è mussulmano e non si può bere il barbera.Tutto per due e non ci credevo ancora adesso che siamo pagato due euro a testa! Ma ci crede Bruno a questa cosa o lo sapeva già? Il terzo innamoramento è stato la sera quando abbiamo andato alla discoteca. Hanno tutte le ragazze belle, alte, zizzuse e vestite come le attrici di televisione. Hanno tutte negre ma belle, con le bocche rosse grandi. Hanno un culo che non ti dico. Tutte! E poi fanno come i negri sulla spiaggia, vengono lì e ti salutano, ti danno la mano e dicono come ti chiami io mi chiamo Susan, come ti chiami io mi chiamo Jasmine, come ti chiami io mi chiamo Lynne, come ti chiami io mi chiamo Rita. Io dico sempre “io mi chiamo Cianni” tranne all’ultima che prima dico “minchia Rita come a mia nonna!”. Fossi avuto una nonna così mi facevo anche a mia nonna. Allora offro da bere alle ragazze anche se questa discoteca non è una baracca e una birra costa come tutto il pranzo del pranzo. Però le ragazze ballano e anche io ballo con loro e una anche le tocco il culo quando balliamo e lei non dice niente, penso che vuole andare a letto poi c’è un’altra che si strofina che sembra che vuole andare a letto anche lei. Devo decidere perché non sta bello andare a letto con due la prima sera. Allora decido Susan che è la più alta e dico a Rita domani sera se non mi fidanzo vengo con te. Dove esiste un posto come questo nel mondo?
A Benevento no di certo.
martedì 13 aprile 2010
FREDDIE BECCIONI: 4 - LA CILIEGINA SULLA PARTE SINISTRA DELLA TORTA
Per me il derby è una perfetta metafora di vita.
Chissà perché, mi ricordo nei minimi dettagli soltanto quelli vinti (specie quelli stravinti) e di quelli perduti mi sovviene a malapena il risultato. Se avessi un derby da rievocare come ricordo ogni canzone che ho scritto, avrei seicento anni e mi sentirei un po’ stanco, ma un derby vinto è più di una canzone, diciamo un album. Ecco, un cd per ogni derby vinto.
Neanche Lucio Dalla…anche perché che cazzo di derby ha Lucio Dalla? Bologna-Crevalcore?
La prima stracittadina a cui ho assistito è datata 1967. Era marzo e fu una partita come quella di ieri, ma all’incontrario. Segnò quasi subito Rivara, per il Genoa, e i seguenti attacchi dei ciclisti risultarono sterili come la cagna di zio Tiberio e inutili come suo figlio Pierflavio. Avevo otto anni ed ero in Gradinata Sud, con il mio dorianissimo papà. Ricordo che urlavo come un indemoniato e mi arrabbiavo con i giocatori della Samp che non riuscivano a pareggiare. Ero talmente scatenato che un signore grande e grosso, incurante di mio padre (o forse con lui compiacente) mi sollevò di peso e mi scaraventò qualche metro più in là. Quando mi rialzai, vidi la luce. Il simbolo del grifone in alto nel cielo, una bandiera messa di traverso nei distinti che mi indicò la via. Da allora sono genoano. Ma non vado in gradinata Nord, non si sa mai.
Questo derby è troppo importante, per noi potrebbe essere il coronamento di una bella stagione, il segno della continuità della gestione Gasperini, la ciliegina sulla parte sinistra della torta.
Sono arrivato a Zena in gran silenzio nel pomeriggio di domenica. Lungi da me passare dagli zii e da quel disfattista di Pierflavio. Per scaramanzia, dopo tre giornate senza vittorie, ho optato per una domenica senza Grey Goose. Con un nervoso che nemmeno mezza boccia di Zacapa mi ha attenuato, ho preso una suite al Jolly Hotel Plaza dietro via Assarotti e ho chiamato Marinela, una cubana che faceva i cori e i servizietti per una band di merengue in cui suonava un mio ex compagno di liceo.
Mi ha salutato con la lingua e si è concessa un bagno pieno di schiuma cantando una canzone allegra che mi ha messo subito a mio agio.
“Di chi è esta cancion, chica? Sono nervioso para el clasico de esta tarde!”
“Non està preoccupado, Celia Cruz…”
“No, non c’è Cruz, avevamo Hernan Crespo e stasera avrebbe fatto comodo, ma trattava il Gasperson come un dilettante, pretendeva di decidere lui i movimenti in campo…che vergogna, uno della sua età…stasera però gioca Sculli centravanti, come all’andata!”
Mentre Marinela si fa bela (ahaha, rima baciata con la lingua…) ho ordinato due chili di farinata dall’affossato nella piazzetta qua dietro e due magnum di Cristal 2002. Il derby capita solo due volte all’anno, o no?
Intanto inizio a sentire, fuori dalla finestra, la circolazione intasarsi come le mie arterie dopo tre Grey Goose. Ansia a mille. Giocherà Dainelli?
Arriva il consierge, gli dico di entrare pure, per vedere se mi riconosce, ma nello stesso istante Marinela esce nuda dal bagno, col suo metro di gamba e il resto in ottimo stato.
Salvo la farinata, che praticamente mi arriva morbida tra le braccia come un cross di Mesto, ma le due bocce di “sciampo” vanno in frantumi come il ginocchio di Jankovic e il consierge ne avrà per un paio di mesi…meglio di Juric.
E’ un piccoletto stempiato, sembra Cassano tra vent’anni. Marinela tenta di rianimarlo, gli si piazza sopra, col manto erboso del Ferraris ad altezza occhi, ma è peggio. Allora indossa un accappatoio, mette le scarpe e se lo prende in braccio, mollandolo nell’ascensore con un bigliettino.
Altro giro di Cristal, altro regalo.
Accendo la tv e mi sintonizzo su Primocanale.
“Nooo, c’è Scarpi?”
Marinela rientra e si toglie anche il tacco dodici, l’unica cosa che le era rimasta addosso.
“Ecco, niente scarpi…”
Sembra che qualcuno si stia picchiando in corso De Stefanis. D’altronde è il derby. Almeno non malmenano me…ma con la tessera del tifoso queste cose non succederanno più e non avrò bisogno di travestimenti per andare allo stadio. Bella roba ‘sta tessera del tifoso, finalmente anche i genoani d.o.c. come me che spesso sono costretti a stare a casa, con un semplice bancomat…taaaac, vanno allo stadio. E gli altri, tornino pure al bar sport come quando rompevano i coglioni in bianco e nero.
L’angoscia sale e la coscia…pure.
Fischia il Tagliavento, soffia la Tagliabufera…ahaha sono talmente simpatico che riesco anche a ridere da solo nel pathos di un derby. Peccato che Marinela non capisce. O forse è meglio così.
Subiamo, subiamo. Tackle molto decisi e Fischia il Vento va a senso unico.
Se Palombo fosse dalla nostra parte…vorrei proprio vedere.
Invece dalla nostra parte c’è Moretti che non riesce a saltare più in alto del consierge. Gol delle rumente, proprio mentre arrivano le nuove bottiglie di Cristal.
Stappo e il gioco del Genoa si fa più effervescente. Se Palladino avesse la genialità di Ribery, gli farei io personalmente le cicatrici. Sculli arriva puntuale sui cross rasoterra di Criscito in area, come il locale da Ventimiglia a Riva Trigoso. Dobbiamo sperare in Mesto.
Per settanta minuti è tutto un aspettando Coitò (ah, che titolo per una ballata un po’ irriverente…) e Marinela ne sa qualcosa. Stillicidio di preliminari sulla trequarti senza nemmeno tanta fantasia, e poi non si affonda.
“Entra Acquafresca!”
“Non c’è più Zacapa?” chiede Marinela.
Non c’è più speranza, anche Robert non va a segno.
L’hotel, l’idromassaggio, il Cristal, l’Havana…tutto si fa triste.
C’era una coreografia, c’era il clima giusto, quegli altri avevano soltanto quattro sciarpette e un catenaccio.
Marinela si riveste, lascia le mutandine in bagno ed esce dalla camera, visibilmente delusa.
Ad aspettarla, all’ascensore, c’è il consierge.
Ha finito il turno e gli hanno ridato il menisco. Mi fa recapitare una torta.
Non c’è la ciliegina e c’e solo la parte destra.
Se il derby è una metafora della vita, sto facendo un po’ una vita di merda.
lunedì 12 aprile 2010
IL CATENACCIO ALL'ITALIANA DI UNA SQUADRA STRANIERA (da grifoni.org)
A spiegarglielo a questa società che molto spesso il campionato del Genoa è un campionato falsato. Siamo l’unica squadra a dover giocare due volte all'anno, in campionato, contro un team straniero. Il Grifone non è avvezzo all’Europa, l’ha frequentata solo due volte in vent’anni e anche questa sera ha fatto difficoltà a capire che non valeva il rotondo risultato dell’andata.
Quel 3-0 che nell’ottica del doppio confronto ci metteva probabilmente al riparo dalla qualificazione, facendo una partita spigolosa di contenimento. E in quest’ottica siamo scesi in campo e abbiamo interpretato la gara fino all’unico gol subito, e regalato dal solito Scarpi, uno che in Europa ha già dimostrato la sua esperienza e il suo valore contro il più titolato Valencia. Un suo errore di valutazione, di posizione, di tempo e di grammatica ha dato la possibilità a Moretti di dimostrare che dopo sette mesi di saggia impostazione tattica di Gasperini non è più né un terzino di fascia né tantomeno un centrale difensivo.
Gli stranieri, modesta e arcigna squadra polacca che come un Treviso dei bei tempi cerca di dare il massimo nella prima mezzora per poi scomparire dietro la linea della palla, invece sapevano che il risultato dell’andata non contava, e sembra ne fosse al corrente anche l’arbitro Tagliavento.
I nostri, orchestrati dall’imberbe Milanetto, uno dei ragazzini buttati nella mischia dal mago Gaspar, specialista nel lanciare i giovani, che si trovava di fronte l’anziano Poli, hanno preso le redini dell’incontro e non le hanno più lasciate, convinti che comunque un pareggio sarebbe stato un risultato di prestigio. Così l’invenzione iniziale del 55, con Palladino e Palacio talmente larghi da far rimpiangere Giuliano Ferrara su La7, si è trasformata in qualcosa che, pur senza centravanti, ha prodotto scampoli di gioco (non bello, ma migliore di quello degli stranieri) mostrando che l’unico very original puntero che abbiamo si chiama Giandomenico che ora scolpisce di pettine e ora lavora di vanga. Il secondo tempo ha dimostrato a molti di noi che se la delegazione accettata nel campionato italiano per riscrivere in maniera bizzarra la storia del calcio dell’immediato dopoguerra, qualora dovesse andare in Champions League, testimonierà il ritorno a un calcio molto italiano, pratico e senza fronzoli, ma non chiamatelo catenaccio, per carità, perché la CISA, la CORBIN e la ORIV potrebbero farvi causa, e Ponte Milvio salterebbe in aria all’istante.
Certe squadre che hanno complessi d’inferiorità grossi come i coglioni di Papasthatopulos, ci marciano sopra tranquillamente per sessanta minuti, e altre ci hanno vinto anche campionati mondiali. Se poi gli regali venticinque minuti, un centravanti, un saltimbanco fuori forma all’ala sinistra e gente che si pesta i piedi come norvegesi in un salsodromo, ecco che viene fuori un bell’uno a zero con cui non si passa a un livello superiore, ma si attenua per una sera il dolore di cinquantaquattro anni da ospite.
sabato 10 aprile 2010
QUELLA STRANA, BELLISSIMA MALATTIA DEL MIO PAPA'
Il mio papà, che ancora chiamo "babà", perchè non riesco bene a battere le labbra quando tiro fuori il fiato e anche perchè spesso è dolce e sa di liquore, deve avere una malattia strana. Non è niente di grave: lo posso toccare, ci gioco insieme e andiamo al mare a fare il bagno almeno due volte alla settimana. Mangia e beve più del nostro cane e, anche se è grosso, si muove bene e mi prende in braccio. Però ogni tanto, specie la domenica, è molto nervoso, urla, sembra gioire ma poi si arrabbia, cambia umore molte volte in poco tempo e gli esiti dei suoi "attacchi" sono imprevedibili. Qui in Africa mi sembra di capire, nell'esperienza accumulata in pochi mesi, che sia molto difficile essere incavolati, stressati o depressi. Perchè abbiamo il sole tutto l'anno, possiamo stare quasi nudi dalla mattina alla sera e io, ad esempio, faccio il bagnetto nella mia piscina gonfiabile tutti i giorni, gioco in giardino con la tata e con i miei genitori, ho tanti bambini africani che mi vengono a trovare e mi trattano come una reginetta, tutti sorridono quando mi vedono. Insomma, mi sembra una bella vita! Invece ogni tanto il papà si rabbuia. Devo dirvi che questa malattia probabilmente si cura con i colori. La casa dove viviamo, infatti, è quasi tutta rossa e blu. Anch'io devo essere stata contagiata, o forse la malattia è ereditaria. Fin da piccolissima, vedendo quelle cose che si appendono che mi dice la mamma si chiamano "gagliardetti", sentivo istintivamente il bisogno di prenderli e staccarli dal muro. Uno in particolare stava sopra un grande specchio, e c'è ancora. Allora, da quando riesco a farmi capire, chiedo di salire in braccio al papà, quando lo vedo preoccupato, e di cantarmi una canzone che fa più o meno così: "Genoa Genoa Genoa, coi pantaloni rossi e la maglietta blu, il simbolo del Genoa è la nostra gioventù...". Mentre la canta, mi guardo allo specchio, batto le mani e vedo papà ridere. Poi, ogni settimana, per un'ora e mezza papà scompare, è seduto sul divano, di fronte alla televisione, ma è come assente. Dice la mamma che ci sono due volte all'anno che addirittura è assente per tutta la settimana e ho capito che questa è la settimana dell'anno in cui è più malato del solito. Allora ogni tanto gli chiedo di salire in braccio e di cantare per me. Poi vedo quel bellissimo rapace che un po' sembra un leone africano, disegnato sulle bandiere, sui cuscini che abbiamo e su un sacco di altre cose, lo vedo sulla schiena della mamma e mi viene da pensare che non sia proprio una malattia, ma un segno distintivo, qualcosa di speciale. E che se ci stai male, lo fai perchè viene dal cuore e lo stai dividendo con tante altre persone. E in quel momento ti senti meno solo, proprio come succede quando stringo forte il mio papà che mi prende in braccio.
FORZA GENOA, ora e sempre!
Agata Zena del Curatolo
martedì 6 aprile 2010
DIANE BIRCH, CANZONI DI UN TEMPO POSITIVO
Canzoncine che fanno bene all'anima...musica leggera come si faceva una volta, elegante e calda, con il piano che fa il piano, i fiati discreti, una bella chitarrina e soprattutto una grande voce femminile. Sto ascoltando "Rewind" di Diane Birch, una che non si vergogna di appartenere a un tempo che forse non è più, una nuova Carole King (eh, sì, ci assomiglia molto) e tutto l'album d'esordio ("Rise Up", lo stesso singolo "Valentino") è proprio piacevole, positivo, morbido, raffinato ma non pretenzioso ma nemmeno banale. Un tempo positivo, dove il gospel ("Photograph") non fa il verso agli happy choir neri e alle chiesette del Tennessee, dove c'è aria di quel già sentito ("Don't wait") che fa piacere risentire e che fa muovere le caviglie proprio come quando si sentiva la terra muoversi sotto i piedi.
Non mi ha pagato nessuno per dire che "Bible Belt" è proprio un bel dischetto.
domenica 4 aprile 2010
FREDDIE BECCIONI: 3 - SERSONE, PIERFLAVIO E I TIFOSI VERI
Adoro quando il Grifone gioca di sabato. Così posso scendere a Zena intorno alle 11 del mattino col mio amico Donuts, gran genoano e superammanicato, un po’ provato dal venerdì milanese in Brera, e gustarmi la prima Grey Goose della giornata all’altezza di Casei Gerola. Me la scolo tutta in dirittura del casello di Genova Est, per paura del posto di blocco, ma tengo sempre una mignon di Amaro 18 Isolabella in tasca. Così se mi ferma la volante, scendo dal Suv e, davanti all’agente, m’ingollo il liquore d’un fiato e dico: “da adesso in poi guida il mio amico…è che quando vedo un poliziotto mi emoziono e devo bere qualcosa”. Secondo il codice della strada l’agente non può più farmi la prova del palloncino...ahahaha, quello s’incazza ma non ci può fare niente!
Su questa goliardata ci ho scritto anche una canzone: “Più furbo di un palloncino”. Sapete chi mi ha insegnato questo trucco? Proprio lui, Serse Cosmi. Mannaggia all’uomo del fiume (altro titolo buono per una canzone, scusate…smetto un attimo di scrivere e la compongo, ballata alla De André, ovviamente) con lui ne ho fatte di crude…cotto era sempre l’umbro, alla fine della nottata. A Finale Ligure c’era un localino per scambisti, si chiamava “Fermento”. Ci presentavamo con due mign…no, ma forse questo non si può dire perché Sersone è ancora sposato…comunque mi ricordo le baldorie dopo il 3-0 di Treviso, quando c’incontrammo a metà strada a Cremona, e la sera del pareggio in casa col Catania, che andammo in giro tutta notte a cercare Pantanelli, “in che cazzo di discoteca sarà quel bastardo…”.
Eh, quante avventure con quel crapone. Oggi me lo ritrovo con l’acqua alla gola, da avversario. Non so se chiamarlo, ma è già tardi e devo lasciare la macchina da zia Esterina e prendere il motorino di zio Tiberio, che tanto sta a casa a guardarsi il Doria in televisione. Mentre Donuts svolanta come un pazzo per Sant’Ilario, apro una Grey Goose e indosso già la sciarpa “Io non mollo”. Tanto per gradire e ribadire il concetto con l’ironia che mi è propria, mollo invece una sonora scorreggia.
“Dicono tutti che non mollano, ma poi…hahahaha” urlo, bloccando l’apertura dei finestrini.
“Fai veramente schifo, Beccio” starnazza Donuts, togliendo la circolazione interna dell’aria condizionata del X-Five. Poi smette di lamentarsi e fa finta di svenire. La mia spalla ideale.
Arriviamo all’una e qualcosa a casa degli amati zii. Quella santa donna sta già preparando il pranzo per domani (ecco il secondo motivo per cui godo quando il Genoa gioca di sabato), mentre zio Tiberio è assorto nell’Avvisatore Cicloturistico. Lo saluto con due dita sul coppino e un’alitata di vodka, lui leva lo sguardo dal Secolo e mi fa: “il motorrino non gè”.
“Cazzo, come non c’è, zio!?!”
“Lappreso Pierflavio”
Nooooo. Sono arrivato troppo tardi. E adesso mi tocca correre, o più realisticamente prendere un taxi. Pier è il secondogenito degli zii. Lo so, dovrei dire “mio cugino”, ma un po’ detesto quei presuntuosi di Elio e le Storie Tese, un po’ non vado d’accordo con Pierflavio. Lui è uno dei quattro gatti rossoblu che non fanno altro che criticare: Gasperini, la dirigenza, la Nord, la Fifa, la Uefa, il Coni, la Daspo e questo paio di maracas. Sembra non ci sia nulla che funzioni nel Grifone che da tre anni ci fa godere nelle zone alte della classifica. Lui dice che sono critiche costruttive, che con la squadra che avevamo l’anno scorso dovevamo andare in Champions e che avremmo dovuto tenere Milito e Thiago Motta, e magari comprare altri due campioni così…per poi andare in bancarotta…è uno di quelli che solo perché erano a Salerno e a Giulianova, credono di poter fare a chiunque la morale, e che ci siano tifosi di serie A e di serie B. In verità io in C non sono andato mai a vedere la squadra perché in quel periodo il sabato sera suonavo sempre al piano bar di via Fiori Chiari a Milano, e facevo le nove del mattino. Ai tempi bevevo Moskovskaya e quella merda mi ha rovinato il fegato. Mi alzavo alle due se andava bene. Mi dici come facevo ad andare allo stadio?
“Zio, però mi avevi promesso…”
“Lo so, ma Pier mi addetto che non te lo meriti, perché vuoi che il Cenoa abbantoni il Ferraris”
“Ma anche tu lo vuoi, zio!”
“Sì, ma non guì a Sant’Ilario…”
“Perché?”
“Troppo casino, sotto casa. E poi l’otore di salsizza mi da la nausea. Io la domenica voglio cotermi il pranzo di Esterì e poi quardarmi il Doria in tv”.
“Comunque Pierflavio di calcio non capisce un belino…”
“Mi vuoi offendere, Federico…”
Quando mi chiamano Federico, potrei fare un gesto estremo, tipo lanciarmi fuori dalla finestra dalla rabbia o staccare la cornice del ritratto di Cristoforo Colombo che c’è in salone.
“Scusa, devo andare un attimo in bagno, poi riprendiamo il discorso” dico, e filo di corsa a sgargamellare l’altra mezza Grey Goose. Torno più sereno.
“Mmmmhhh…chiamami Freddie, per favore zio…perché ti dovrei offendere?”
“Perché io la penzo come ammio figlio. Avevate una sguadra da gembions e non solo non la racciungete, ma vendete anche i due pezzi migliori? Per combrare chi, Froccoli e Grespo che poi a cennaio mantate via per accattarvi quel rottame di Suazo e chillu… come si chiama, Dolceacqua?”
“Acquafresca”
“Eeeh…acqua fresca. Noi Cassano e Pazzini ce li siamo tenuti, e senza spendere molti soldi in più, guarda dove siamo…quest’anno ve la mettimm’ in du’ cul!”
“L’ho sempre detto che Pierflavio, sotto sotto, è un doriano…”
“Se la penzi accuesto modo, allora è giusdo che abbia dato il motorrino attuo cuggino, Federì”
Sento di avere un principio di dermatite seborroica.
“Scusami, zio, la conversazione è assai piacevole, ma devo proprio scappare, altrimenti arrivo tardi allo stadio. Ci vediamo più tardi…”
“Vai, ragazzo…e salutami a Zapatero!”
Ma vaffanculo, terrone del cazzo.
Bacio zia Esterina e torno da Donuts, che nel frattempo si è addormentato nella macchina, in garage. Dev’essere l’effetto della scorreggia ancora in circolo.
Apro la porta, effettivamente c’è un fetore tremendo.
Lo scuoto.
Niente.
Suono il clacson.
Fa uno strano verso, tipo un rabbino con le adenoidi durante la preghiera ebraica del sabato.
Cazzi suoi. Lo lascio in macchina e vado.
Prendo al volo un taxi. Grande, ha il gagliardetto del Genoa!
“Al Tempio, per favore!”
“Doooveee?”
“Allo stadio, al Luigi Ferraris!”
“Ah, ecco…pensavo che eri un testimone di Geova…”
“Conviene anche lei con me che bisognerebbe fare un altro stadio ex-novo?”
“A me quel che decide la società, va bene”
E tronca lì.
Cerco di ristabilire la comunicazione.
“Che facciamo oggi?”
“Pareggio. 1-1. Gol del Livorno al novantesimo”
Mi tocco le palle, resto in silenzio, pago e scendo davanti allo stadio.
Indosso un berrettone alla Stefano Rosso, quello di “che bello, gli amici una chitarra e uno spinello”, che io ho parafrasato nella mia geniale “Una storia onesta” che fa “che brutto, i nemici un pianoforte e un tiro di coca”, metto degli occhiali neri spessi e i baffi finti ed entro in tribuna. Questa volta va così, dopo Siena non ho voglia di essere riconosciuto.
“Buongiorno Beccioni” mi urla la maschera, vedendomi da lontano. Ma che cazz…
Due oltre il cancello si girano, armeggiano in tasca e lanciano verso di me una lattina piena di birra. Mi sposto di scatto.
Colpiscono un ragazzino con la madre e succede un mezzo parapiglia.
“Grazie, sono astemio” grido, sghignazzando, alzando il dito indice e prendendo la via dell’ingresso. Il movimento innaturale delle labbra mi fa cadere i baffi e, mentre mi chino per raccoglierli, mi arriva qualcosa in piena nuca che sembra una palla di baseball lanciata da Faso.
Maledetti ultras, è diventato sempre più difficile assistere a una partita del Genoa, ma questa volta in ospedale non ci voglio andare.
Passo i novanta minuti nell’infermeria dello stadio e all’urlo della Nord faccio per alzarmi in piedi, ma la testa gira e reagisce in malo modo, come Juric a una veronica di Totti.
“Chi ha segnato?” faccio all’addetto
“Boh, chi è?” risponde
Ma vaffanculo, infermiere doriano.
Nel mio stadio dei sogni, l’infermeria sarà sostituita da una Spa con massaggi thai e cromoterapia.
Mancano pochi minuti alla fine ed è tutto calmo, che strano, non si sente neanche la Nord incitare la squadra, deve essere proprio una gara tranquilla.
Entra in infermeria un uomo con un cappottone, un berretto alla Lucio Dalla e una folta barba.
Se la toglie.
E’ Donuts!
“Amico, come stiamo gioc…”
Non riesco a finire la frase. Vibra una loffa micidiale a due centimetri dal mio naso, deve avere assaggiato in anteprima le verdure ripiene di zia Esterina.
Perdo i sensi pensando che comunque siamo riusciti a battere 1-0 il coriaceo Livorno dell’amico Cosmi, che doveva salvarsi a tutti i costi. Siamo ancora in corsa per l’Europa League e domenica prossima c’è il derby…stasera chiamo Sersone e gli presento Zadka e Karina, ce ne andiamo a Varazze e in culo a Donuts, a Pierflavio, al tassista e a zio Tiberio…e buona Pasqua a chi tifa Genoa veramente.
sabato 3 aprile 2010
KIJWETANGA: IRITRATTI DEI CANDIDATI - 2 MAMA MRAMBA
Mama Mramba: Vera figura di donna giriama imprenditrice, ormai quasi sessantenne, ha cominciato vendendo manghi sulla Malindi-Watamu per conto dello zio, in un chioschetto senza tetto. Poi è passata al commercio di kanga e kikoy, prima sulla strada stessa, poi a Watamu, infine con un negozietto a Malindi. Dai 16 anni ai 30 ha sfornato un figlio ogni due anni, pur continuando a lavorare al negozio, adibito ad asilo nido. Sei di loro sono ancora vivi, tutti maschi hanno formato un gruppo di acrobati, i “Mama Mramba Show”, che girano per i villaggi turistici con il loro spettacolo, vendendo anche a fine spettacolo i kikoy e kanga della loro mamma.
venerdì 2 aprile 2010
KIJWETANGA: I RITRATTI DEI CANDIDATI - 1 MZEE NGOMBE
Mzee Ngombe: Di età variabile tra i quaranta e i settant’anni, da ragazzo era guardiano di mucche. Il padre gli lasciò un grande shamba a Kijwetanga e piano piano, grazie a traffici non sempre chiarissimi, riuscì a riempirlo di capi di bestiame. In pochi anni diventò il più importante allevatore del villaggio e si mise a costruire capanne misto fango/cemento facendole pagare più o meno a seconda della percentuale di cemento nel fango. Gli piace essere rispettato e ama essere considerato l’uomo più intelligente di Kijwetanga. Da capovillaggio ha portato l’acqua dolce (ma solo nelle vicinanze di casa sua) e l’elettricità (ma solo a casa sua), ma dispensa consigli gratis a chiunque, e aiuta chiunque non decida di aprire un’attività in proprio ma di mettersi alle sue dipendenze o entrare in quota nelle sue svariate attività.
giovedì 1 aprile 2010
ELEZIONI 4
“Se trovi una capra, cucinala prima che puoi”. E’ un antico proverbio mijikenda che, come tutti i proverbi della zona, viene molto rispettato, anche se è palesemente in conflitto con il proverbio numero uno della tradizione mijikenda, che recita “haraka haraka haina baraka” (a far le cose di fretta non c’è nessun guadagno”). Si cerca di mediare, quindi, di fare le cose seguendo i propri ritmi, stando attenti a non attardarsi troppo. In questo caso il proverbio resiste anche perché nella sua accezione originaria e antica voleva significare: “certe occasioni capitano raramente nella vita, approfittane al volo!” ma oggi nello specifico ricorda che la capra viva è facilmente riconoscibile dal suo proprietario, una volta diventata una prelibatezza culinaria, è semplicemente buona da mangiare. Nessuno potrà mai essere accusato di aver rubato un arrosto.
Karege, il guardiano delle capre di Mzee Ngombe, conosce bene questo proverbio e sa che chiunque abbia trovato Jessica, la sua nerina preferita, da li a poco ne farà un banchetto. Ma la capra non è pasto singolo, è evento da intero villaggetto, quindi Karege, dopo aver invano tentato di recuperarla ai margini della Sokoke Forest, ha perlustrato ogni singolo agglomerato di capanne ai piedi della foresta pluviale. “Jessica è sicuramente laddove ci sarà un matrimonio o un funerale”. Così, con l’aiuto del fratello Kazungu Tatu, membro della commissione elettorale di Kijwetanga e acerrimo nemico del suo datore di lavoro Mzee Ngombe, si è appostato dietro un baobab, e può vedere Jessica, legata a una staccionata, che viene nutrita con spinaci ed erbe aromatiche. Da questo particolare può supporre che verrà cucinata domattina all’alba. Bisognerà agire col favore delle tenebre.
Nel frattempo a Kijwetanga, Baba Ngombe, capo villaggio tuttora in carica, ha respinto la richiesta di parte del comitato elettorale e dei candidati Mama Mramba e Baba Olongo, di annullare le elezioni per mancanza di un membro della commissione elettorale e per divergenze sulla validità di alcune schede. Quindi lo scrutinio va avanti. Su 42 schede spogliate, secondo i dati del piccolo spioncino “Doxa” Madafu, la situazione è la seguente: Mzee Ngombe 17 voti, Mama Mramba 17 voti, Abdul “Ricotta” 7 voti, Baba Olongo 1 voto (il suo).
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