venerdì 30 aprile 2010

PER FORTUNA O PURTROPPO


Devo ammettere che mi riconosco sempre più nella canzone di Giorgio Gaber "Io non mi sento italiano", soprattutto quando dice "...ma per fortuna o purtroppo lo sono". All'estero e in un Paese "al di sopra di ogni sospetto" come il Kenya, intendo dove per un motivo o per l'altro non è che ci sia una conoscenza particolare o un pregiudizio atavico nei confronti degli "spaghettipizzamafiamandolino" come, che so, in Germania, mi rendo conto che ci sono parecchi "per fortuna" e anche molti "purtroppo".
Per fortuna sono italiano, perché se fossi inglese mi toccherebbe recitare la parte dell'ex colonialista, mantenere sempre quella supponenza e quel distacco altezzoso che non mi appartiene.
Purtroppo sono italiano, perché se non lo fossi, non verrei avvicinato dai beach-boys in spiaggia a cui i miei connazionali hanno insegnato a chiedere "una hohaholahollahannucciahorta" con l'intonazione finto toscana e non mi apostroferebbero "uagliò, pari 'na mozzarella de bufala".
Per fortuna sono italiano, perché se fossi giapponese, troverei il sushi e il sashimi di Malindi una sbiadita imitazione e non riuscirei a mangiare quasi nulla che mi piaccia, mentre i ristoranti fanno certe pizze e spaghetti alla matriciana o alla carbonara da leccarsi i baffi.
Purtroppo sono italiano, perché ogni tanto vorrei immergermi completamente nella dimensione africana pur senza dover andare per forza in un Parco Nazionale e invece anche se mi reco in un villaggio a cinquanta chilometri nell'entroterra, dove regnano solo argilla, baobab e vegetazione, dove ti sembra di essere nell'ombelico del mondo e di non avere parentele se non quella ancestrale con Madre Natura, ti senti ad un tratto apostrofare da un gruppo di bambini: "ciao! caramella!"
Gli esempi potrebbero andare avanti all'infinito e in questo periodo devo confessare che ho grande invidia dei turisti stranieri non italiani che spuntano come funghi delle piogge (in realtà ci sono sempre, ma con il turismo di massa si vedono molto meno) in questo periodo. Zaino in spalla, pantaloni lunghi anche di giorno, felpe e zaini pesantissimi sulle spalle, pelle bianchissima e sorrisi estasiati. Girano quasi sempre a piedi o al massimo si concedono un Tuk Tuk. Per vedere cosa? Anfratti o scorci che spesso molti italiani che sono qui da vent'anni non conoscono. Quanti si sono fatti una passeggiata nello sporco e disordinato quartiere di Shela, scoprendo cortiletti arabi tenuti come gioielli in mezzo alla spazzatura e allo scolo delle fogne a cielo aperto? Quanti hanno visitato il retro delle moschee, togliendosi le scarpe senza paura di non ritrovarle (provate a lasciarle fuori da una chiesa di Milano o Roma, ma anche di Rimini), quanti si sono fermati a bere un succo di Tamarindo da Mansour o hanno pranzato da Jabreen?
Per fortuna sono italiano, ma ho imparato che a volte in Kenya bisogna eliminare qualche "purtroppo".
(Fedele Turci L'Odoardo)

1 commento:

Maurizio Pratelli ha detto...

per fortuna sei freddie