venerdì 17 ottobre 2008

CRONACHE DA UN TOUR: ARONA 1978

L'insegna, manco a dirlo, è rossa.
Quante saranno le Case del Popolo, disseminate e ancora non disinnescate, sul territorio italiano?
In Lombardia di certo meno delle sale bingo, meno delle Spa.
L'edificio sembra conoscere la parola "resistenza" e si comporta di conseguenza. Le stagioni non pesano, ristagnano. Sarà il lago che tutto ammanta, anche gli anni galoppanti di inflazioni e liberismi eccessivi, che tutto riveste di una patina melmosa e che, miracolosamente, lascia intatti alcuni simboli di un età che non torna.
Di un'età povera, ingenua, anche un po' ignorante come può essere chi vede solo il rosso o il nero a guisa della pallina di una roulette o di un romanzo di Stendhal impolverato in una libreria in finto palissandro; di chi vede gli esseri umani come realmente sono, pecore e capre brucanti e brulicanti in cerca di una guida saggia e, perchè no, dispotica e costretti ogni tanto a inventarsene una per non disperdersi.
L'edificio, giallo scrostato, avverte nel tazebao protetto da una teca in astinenza da vetril, che questa sera nei locali del circolo andrà in scena lo spettacolo "Malindi, Italia" di Freddie del Curatolo, con la partecipazione di Franco Cufone. Dal disegno della locandina spiccano pizze sbocciate da un baobab e ancora non è dato sapere in che anno siamo. Anche gli avventori delle sei di sera, bianchino spruzzato campari alla mano e sguardi da allunato dimenticato dalla Nasa e svestito dello scafandro dall'alcool, non lo rivelano. C'è lo scemo del paese e il piccolo boss, così grosso da coprire le scritte di una lavagna e un'altra insegna all'ingresso.
Dentro è la Storia. La nostra recente commedia di provincia. Bancone e sedie in fòrmica, vetrinetta a specchio che mette in mostra la Vecchia Romagna e la grappa Nardini ma piange di polvere la perdita del Punt e Mes, dell'Amaro 18 Isolabella, del Cordial.
Dalla radio gracchiante arriva "Heartbreaker" di Dionne Warwick, l'accoglienza è delicata come si addice a chi non è capitato qui per caso. La siciliana tuttofare ci mostra lo stanzone, l'ala convegni, la dance hall, l'aula magna, la sala ristorante, l'area concerti. Quaranta metri quadri di tavoli da briscola e un palco giallo con un tappeto persiano a coprirne le disgrazie.
Impianto e mixer d'avanguardia, se veramente siamo nel 1978, all'alba della distruzione degli ideali e dell'invenzione del digitale.
La siciliana apparecchia i tavoli. Come dev'essere, non c'è un bicchiere uguale all'altro ed anche le forchette si guardano tra loro come camerieri di etnie diverse al primo giorno di lavoro in una pensioncina di Viserbella. Prove microfono, chitarra secca e bianco fermo spruzzato campari.
Sarà il rosso dell'aperitivo, sarà la data sotto la testata della bibbia rosa, ma la Casa del Popolo inizia a roteare e la forza di gravità appiccica alle pareti vent'anni di storia: fotografie di eroi che diventano terroristi ingialliscono, bandiere di partiti che non esistono più stingono, articoli di giornali che raccontavano la vita diventano leggenda.
Si fatica a crederci, siamo nel 2008.
Accanto all'insegna rossa appare un'altro cartello: "Taverna Etnica del Faraone", dietro alla lavagna c'è un poster che pubblicizza sette diversi tipi di kebab. Il Faraone è in cucina, suo nipote rimesta lo spezzatino al curry. Gli ho portato il cocco, per trasformarlo in un piatto africano.
"Siamo due africani finti" gli dico.
"No, io sono egiziano".
Torno nella sala concerti.
Venti coperti prenotati, michette e caraffe di vino, buffet.
Pubblico delle piccole occasioni, quelle che ricordi per lungo tempo e d'improvviso, roteando, un giorno ti si attaccheranno alle pareti.
Uno spettacolo straordinario, dirigenti d'azienda, operai, copyrighters, liberi professionisti, pensionati, sindacalisti, casalinghe in viaggio come su uno sgangherato e divertente charter keniota. Parole, e non vola una mosca, se non quelle che amano le verdure grigliate. Canzoni, e scattano le mani a tempo con le turbolenze della vita, quelle che poi si aggiustano fino all'atterraggio finale, salutato da un applauso ai piloti che per una volta non è liberatorio, ma gioioso. Equipaggio e viaggiatori insieme a bere birra, ad accorciare le distanze, ad annullare fusi orari.
Africa andata e ritorno con una macchina del tempo e dello spazio.
Infatti siamo tornati dove eravamo: ad Arona, sul Lago Maggiore, nel 1978.
Ai tempi delle Piramidi.

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