venerdì 31 ottobre 2008

CHILDREN OF AFRICA


“Buongiorno, signore”
Malindi, Kenya. Nel 2008 è normale sentirsi apostrofare con un “ciao” dai bambini locali, al posto del loro morbido e colorato "Jambo".
Agitano le loro piccole mani, si appostano ai lati delle strade e urlano i loro saluti sorridenti per farsi notare. Chissà, quei bianchi si fermeranno e magari avranno una caramella o una moneta per noi, magari ci portano a fare un giro sulla loro bellissima automobile.
Gli italiani sono molti, da vent’anni a questa parte, a Malindi. La popolazione locale e specialmente i giovani, da sempre più ricettivi, hanno imparato i loro usi e costumi, conoscono le loro abitudini e si sono abituati al loro modo di fare. Sanno quando si può tentare un approccio o quando e meglio stare alla larga, perché gli italiani non sono tutti uguali. Quel che si può donare a tutti è un sorriso, accompagnato da un saluto. Non costa niente, soprattutto non provoca dolore, fatica e disagio.
Per quello c’è già la loro vita nelle capanne, la coda fuori dai fatiscenti ospedali, il lavoro duro nei campi della mamma e quello in cantiere di papà, che spacca blocchi di marmo per 2 euro al giorno.
Un sorriso.
Un saluto.
Eppure qualcosa distingue il saluto appassionato di Kaingu da quello degli altri bimbi vestiti di pochi stracci impolverati e di una gioia che prendono direttamente dalla terra, come radici che si nutrono di sole, frutti della natura e umidità. Kaingu dice “buongiorno, signore”, non “ciao”.
E’ l’equivalente del classico benvenuto keniota, che in swahili suona “Jambo bwana”.
C’è anche una canzoncina orecchiabile che illustra come il rito di ossequio per i nuovi arrivati sia praticamente l’inno nazionale, da queste parti.
Kaingu ha otto anni, forse. Forse sette, a scuola ci va da meno di due anni. Ma la sua età parte da quando è stato battezzato, lo stesso giorno i genitori lo hanno registrato all’anagrafe. Due doveri al prezzo di uno.
I suoi coetanei inseguono un paio di scarpe, una maglietta colorata, una bella penna da mostrare ai compagni di classe con orgoglio e far gonfiare d’invidia quelli che dicono “sei amico di un mzungu, di un bianco, non ti vergogni?” ma in realtà sognano una penna uguale, e un amico diverso dai soliti. Kaingu invece ha ricevuto un dono per lui preziosissimo: un dizionario italiano-swahili.
Lo ha stampato una signora italiana che abita a Mombasa. Ogni giorno Kaingu impara una parola nuova e la pronuncia davanti a un bianco per vedere l’effetto che fa. Quando qualcuno lo corregge sull’accento o sulla corretta pronuncia si corruccia, sgrana i grandi occhioni neri e chiede “scusa?” fino a che il bianco non gli ripete la parola. A quel punto il piccolo ed efficacissimo registratore nella testa del bambino è già in funzione. Non scorderà quella parola per il resto della vita.
Telefono cellulare, Quaderno, Pantaloni, Gelato, Macchina, Mangiare, Stanco, Correre.
Ogni giorno una decina di vocaboli nuovi. Da solo, a sette anni sta imparando una lingua nuova.
Ieri qualcuno gli ha detto un proverbio: “finchè c’è vita c’è speranza”, lo ripete tutto il pomeriggio e guarda nel suo dizionario, stretto tra le mani come un gioiello o un rosario.
Vita – speranza.
Adesso il suo saluto è completo e non può che far sorridere ma anche stringere il cuore: “Buongiorno, signore! Finchè c’è vita c’è speranza”.

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