mercoledì 29 ottobre 2008

NONNO KAZUNGU E LE RIFORME (seconda parte)

"E’ che per fare le riforme, c’è bisogno di tutti - disse Nonno Kazungu – la Costituzione è proprio come una casa: per quanto solida, ogni tanto va rinnovata, si deve cambiare il tetto di makuti marcito dopo le piogge, gli stipiti in legno della porta rosicchiati dalle tarme, il materasso ridotto a un ammasso informe di lana infeltrita"
"Che schifo!" disse Kibebe
"Come si è ridotta male la nostra costituzione…" sospirò Kamongo.
I muratori battevano con pesanti mazze sulla pietra bianca del pavimento, per appianarla. La casa africana, così come la vita da queste parti, è fatta a mano. Dalle fondamenta all’ultima finitura. E’ un processo lento e stancante, una tela di Penelope tribolata e senza termine ultimo, ma dà grande soddisfazione, anche perché difficilmente da queste parti ci sarà una seconda casa e quasi mai si ha la possibilità di una seconda vita.
"Mi ha detto la signora Ottavia che anche in Italia devono riformare tutto, altrimenti non riescono ad andare avanti a costruire nuove case e a restaurare quelle vecchie" aggiunse Kadenge a cui, anche per tenere vivo l’ardore dei muratori, questa metafora dello Stato-Casa piaceva.
Il nonno, come sempre, affievolì l’entusiasmo del nipote.
"Inutile avere un progetto per una casa meravigliosa, se hai pessimi muratori che la devono erigere"
I sette kibarua della casa di Kadenge si voltarono lentamente e degnarono Kazungu di un’espressione che sembrava voler dire: "Ehi, vecchio, noi non siamo di Kakoneni, massimo rispetto per le tue rughe, ma se ce l’hai con noi ti avvertiamo che una sera magari, ebbri di vino di palma e con qualche "bangi" di marijuana alle spalle, ci capiterà di passare dal tuo villaggio e avremo due cosette da dirti…".
Quello sguardo aveva raggelato perfino Kibebe lo scemo e le rondini in cielo avevano invertito il senso di rotazione del loro volteggiare.
"Che cosa incredibile il genere umano, occhi come specchi dell’anima, gestualità collegata all’istinto, mimica facciale come istanze del cuore" pensò il nonno, che sentendosi leggermente rattrappire il muscolo rettale, ebbe fiato omogeneo per aggiungere velocemente "chiaramente non mi riferisco alla tua ottima squadra di muratori, nipote…".
Gli specchi dell’anima s’illuminarono del sole in controluce e ripresero ad inquadrare le mazze e le cazzuole, la gestualità tornò ad essere ritmica fatica e la mimica facciale passò alle dipendenze dei bicipiti e divenne semplicemente smorfia.
"Vedi – sussurrò Kamongo all’indirizzo di Mwachiro, il vicino di casa di Kadenge, un macrocefalo nerboruto che sembrava essere stato partorito da un baobab – una casa per venire su bene ha bisogno di un buon ingegnere, bravi architetti e giusta manovalanza. Tutti gli elementi concorrono allo stesso modo e sono egualmente importanti".
Lo Svaporato in questo caso avrebbe pensato: "E io che consideravo Kamongo un conservatore…"
Ma lo Svaporato non c’era e nonno Kazungu non si era ancora del tutto ripreso dalla gaffe con i kibarua, per apprezzare l’intervento progressista del rappresentante.
"Non sono d’accordo – proclamò Kadenge Davide – se l’ingegnere è un incapace e il progetto fa pena, è inutile avere operai specializzati bravissimi"
"Gli unici che contano poco sono gli architetti, allora" disse Mwachiro.
"La classe di mezzo" confermò il nonno.
"In Kenya stanno lavorando proprio su questo…" lo rimbeccò Kadenge.
"Migliorare l’incidenza degli architetti?" chiese Mwachiro?
"No, stroncarli sul nascere! O sei ingegnere, o sei operaio…" disse sconsolato nonno Kazungu.
Kibebe lo scemo, a qualche metro di distanza, scacciava le mosche dalle grandi orecchie con ciuffi di piante secche che ogni tanto gli restavano impigliati tra i capelli lanosi.
Captò l’ombra di uno dei tre baobab del terreno di Kadenge e si incamminò balzellante. Poi, con aria soddisfatta di giaguaro all’inizio del processo di digestione, si accovacciò alla sua maniera ai piedi della grande pianta.
"L’ho sempre detto io, le case danno troppi problemi. Meglio dormire qui"

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